fiume

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fiume della vita

lunedì 26 maggio 2014

"QUELLA" MAGNIFICA CARMEN DI BIZET FUORI COPIONE




La lampada era accesa. La tiene sempre accesa anche quando lei non c'è. La pendola si è fermata. Erano anni che non le  capitava di sentire congelato dal silenzio il suo toc toc  denso e implacabilmente monotono ma che le teneva costantemente compagnia. E ora qualcosa si era rotto nell'ingranaggio dovuto probabilmente al cambio di parete. L'avrebbe portata a riparare quanto prima, si propose la donna senza indugiare un minuto in più a riflettere su quanto le sarebbe costata la riparazione.  Nelle orecchie teneva  l'eco potente e ipnotico dello sciabordio marino della sera prima, e questo le bastò per rimettere in moto il passato rendendolo emozione che artiglia le budella.  Magia di memoria "attiva" che fa rinascere la vita.  Dà uno sguardo distratto al salotto che contiene tutto il suo mondo.  Ne sente il ritmo frenetico sospeso da lunghe pause di ozio, l'irrequietezza senza mèta come da sbronza, la solitudine che tampona con le camminate interrotte solo da qualche scatto di fotografia, la tristezza che smarrisce e se ne va come fa la nebbia quando sale, la percezione di un cammino particolare e strano dove scoramento ed esaltazione si sarebbero alternati come il battito della pendola che ora non sentiva più. Il vassoio d'argento della posta si alzava per le tante lettere ancora chiuse. Le passò indifferente con le dita affusolate.  Mani da filosofa, gli aveva detto un giorno qualcuno. E lei aveva riso senza capire perché mai avesse detto così.  Lei era musicista e aveva fatto esercizi incredibili e dolorosi per allargare le dita e rendere la mano più idonea a suonare il pianoforte e accompagnarsi meglio al canto.   Sorrise alla vista di una lettera color avorio. L'avrebbe serbata per dopo tranquillamente seduta sul divano.   Tolse le grappette a due fogli. Guardò la scrittura senza riconoscere che era la sua. Le capita sovente. Scrive veloce e in ogni inimmaginabile posizione.  Un altro dei motivi per giustificare il male alla schiena che la prende ogni tanto e che le fa ingurgitare un bel poco di aulin perché non sopporta il dolore. Dovrei riprendere gli esercizi yoga come nel tempo dei grossi progetti, si dice con piglio deciso consapevole della promessa che avrebbe regalata al vento. L'occhio le andò alla finestra. La visuale non era più quella del merlo canterino che la svegliava col suo canto.  Alla grande quercia che giocava con la magnolia dando frescura nella Canea estiva come la poppa tenera d'una madre al suo piccino, avevano preso il loro posto file di case che a lei pareva gli entrassero da ogni angolo della sua, se svelta non ne avesse protetta l'intimità con la pesante tenda di broccato. Pesante anche per aver contenuto ogni raggio di sole nel caso di invernate fuori tempo. Vedeva balconi, panni stesi, tapparelle abbassate, tetti, volti anonimi che non le dicevano nulla. Era stato duro adattarsi alla comunità condominiale, anche se il palazzo era bello e la gente salutava con affabilità.  Comunque lei aveva un segreto che intuiva essere invidiato dagli altri. Lo capiva dai loro occhi sgranati e adombrati da fastidio irritante quando dava loro il buon giorno. Nessuno  però avrebbe  immaginato che il suo segreto consisteva solo in una "melodia" che cantava da sola anche quando lei non voleva ascoltarla, quando l'onda della malinconia si alzava e si faceva così profonda da renderla udibile solo alla sua anima quando alla notte si raccoglieva per fare un po di Conticini con lei.   Comunque un giorno avrebbe percepito qualcosa anche di loro oltrepassando le apparenze, magari nella frazione di un silenzio.   Si trovò davanti una caraffa d'acqua. Dal lavello prese il bicchiere lasciato con un fondo di ametista.  Sentì ancora sulla lingua il sapore di viola di quel vino toscano che gli amici le avevano donato sapendo dell'imminente partenza. Lo lavò e per un secondo ne ammirò controluce il vetro dal colore blu. Si versò l'acqua. La mandò giù d'un fiato senza però riuscire a farsi rinfrescare il cuore. Si sentì seccare una stupida lacrima sul bordo di due ciglia unite dal rimmel.   Risentì il ruscello da lontano, il cinguettio dei mille uccelli sempre diversi, il profumo acutissimo dei tigli, le polpette che fumavano allegre nel l'aria, la grafica di cardiologia  a terra sventolata come una penna di alpino.  Chissà se anche ora avrebbe avuto lo stesso destino. Improvvisa l'onda piena di salso della sera prima ai suoi piedi, la trasportò a quella magnifica prova generale della Carmen di Bizet. 

 Terme di Caracalla. Un cielo azzurro come da notti tunisina.  La schiuma sui piedi mescolata a dei capelli verdi per la intromissione delle alghe a Terracina o era Fondi? Alzò le spalle per quella sovrapposizione di memoria.  La corsa pazza e in alberata per arrivare in tempo alla prova generale. Rivede la stupenda chiesetta romanica di Santa Maria in Galera che lei cocciuta peggio del mulo di carafà aveva voluto onorare con una preghiera e un occhio di rinnovata meraviglia, il fazzoletto grande come un lenzuolo per asciugare lo zampillo di lacrime .   Il seno alto.  La febbre sugli zigomi.  Era giovanissima e ovviamente inesperta, eppure l'avevano chiamata per sostituire una cantante famosa che si era ammalata. Il Maestro era Carlo Franci.             E fu proprio "quel salto" non previsto dal copione sul tavolo dell'osteria a far scrosciare di applausi tutto il teatro e a dare l'incipit al pensiero di molti che, l'arte vera è invenzione, creatività, rottura di regole, se la si accorda  con tutto, espressione di se e di una propria verità, ma secondo moduli che bisogna scoprire, o meglio riscoprire perché tutto è già stato fatto, detto e cantato, e il passato non è che la soffitta in cui bisogna frugare per trovare quello che già inconsciamente apparteneva, ma che si ignorava di possedere.    Quella, appunto, che le fece buttare le scarpe all'aria, ballare il fandango a piedi nudi, coi capelli lunghi sciolti da ogni fermaglio, mentre tutto diventava visione primitiva di gioia, di bisogno fisico, mentale, e di spiritualità che si può esprimere solo attraverso la fisicità, per contemplarla poi col distacco di un sorriso scanzonato e buono. Credo di non ingannarmi se affermo che, fu proprio da quella prima esperienza che il senso estetico della donna, divenne il suo ideale di perfezione. Quello che passa attraverso l'armonia di un corpo, poiché anche il corpo possiede un suo linguaggio che parla al di là delle intenzioni e dei meriti di chi lo possiede, nella felicità d'esistere, nella gioia di rappresentarla fosse pure solo sulla scena, nella varietà delle sue tematiche, rispettandone il copione, ma sempre con qualche trasgressione che lo renda unico e nuovo. La donna si scosse per il buio diventato anche lui fisicità. La lampada era ancora accesa creando strani disegni al soffitto.. Per una vecchia abitudine tese l'orecchio. Nessun chiacchiericcio di uccelli. Solo l'ombra della lampada sul pavimento e l'eco del risucchio di un'alta marea. Specchio di un accordo di dominante mai risolto, perso in una notte d'estate e lungo un fiume chiamato Vita, con qualche oliva verde che ha imparato a nuotare, felice per non essere finita in qualche sacco della spazzatura.   Allungò una mano per spegnere la piccola lampada. Sentì il clic come qualcosa di familiare. Sospirò e  fissò un punto imprecisato della stanza.   Da una fessura della tapparella sfrecciò un biancore che la mise di buon umore. Una stella si sarebbe accesa lassù e lei l'avrebbe vista anche al buio.  Ad alta voce esclamò. "Si. La vita è sempre bella ciononostante e malgrado tutto."   e si avviò a dormire in pace con tutto, con quel ricordo come solco di fuoco, una piccolissima cicatrice sulla coscia sinistra come presa di coscienza di un legnoso banco di prima elementare, con una matita in mano tutta risucchiata e con l'ingenuità di padroneggiare avvenimenti e circostanze come angelo Giustiziere, per mezzo di quella forza interiore via via irrobustita e da cui prese il via la sua inventiva e la sua creatività che così riccamente le ha inciso il cammino.

 Mirka

 

Carmen Seguedilla



5 commenti:

  1. La tua (famosa) energia vitale che trabocca anche quando taci. Eccola qui. Vera com'è vera la poesia che ti ha spinto a sottolineare la felicità trasgressiva senza turbarne l'ordine. Bello bellissimo.F

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  2. Vibra ,martellante la tua libera figura di donna .Nucleo d'essenza in quel dettaglio. Un grandissimo abbraccio. Liliana

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  3. I miei occhi che vedono anche senza vedere F.forse si. Loro dicono anche per quella forza indomita che fu il lieve passo di quel tempo. Grazie veramente di cuore. Mirka

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  4. Nella memoria vibra anche per me,cara amica LILIANA che saluto sulle note di quel misterioso scatenante fandango. Mirka

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  5. ?..ciononostante e malgrado tutto sempre un Evviva. Mirka

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