fiume

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fiume della vita

mercoledì 22 giugno 2016

UNO DUE SEI








Uno due tre e si fermava, per riprendere subito dopo con  testardaggine quasi capricciosa,  il gioco che insegue la certezza per renderla nitida anche al cuore, pur consapevole di frugare nel dolore.   Uno due quattro,   un equilibrio tra  numeri pari.   Hanno tutti lo stesso colore, quei numeri.  Un colore rosso scuro. Rosso come la terra bruciata dal troppo sole, rosso come una ferita che prova a cicatrizzare ma non riesce neppure col premio finale della dimenticanza.   La donna sa che le farà male rovistare fra quei buchi roventi sui nervi, anche se è cosciente che non sarà quel dolore a portarla alla morte. O meglio. Di certo non sarà quel tipo di dolore a farla morire. E se anche fossero, sarebbe per condurla al perdono sul l'assoluto del distacco che più non lascia seguito.  Dopo tutto non ha mai avuto paura della morte se non per solitudine di mani. Da quando ricorda, e cioè da sempre, s'è educata ad accettare la realtà senza mai occultare il vero sentito, raccontandosi illusioni. Magari rimuovendolo per riprendere il percorso di elaborato solo un poco più tardi. Un'educazione fine, la sua. Capitolare, lucida, implacabile, severa e costosa, a livellato di chirurgico operare, ma spiazzante miti e pietosa bugia dal sapore acetico.  Anche ora che scrive sa che nessuno nè ascolterà il dritto asciutto degli occhi . Ma che importa. Quando si è cresciuti negli anni, si può benissimo parlare e ascoltarsi anche da soli, senza più il desiderio della condivisione che cerca di rassicurare nel mentre maldestramente avanza una consolazione privata dal Sentimento e dalla empatia.    Uno due tre quattro.    cinque sei.  Quattro uomini e due donne.  Scosta la sedia dal tavolo e fa per alzarsi. La sua verifica è giunta a termine. Quattro sono stati gli uomini che hanno ab/usato delle sue lacrime, due le donne che l'  hanno vista dirompente restando impassibili a guardarla, se non per la vigilanza d'attesa che quelle lacrime finissero per respirare più comodamente disputandosi il merito dell'ultimo saluto  convenzionale e senza lacrime.   Karina lasciò cadere sul quaderno la penna usata per scrivere di quei brutti ricordi, liberando finalmente la gola da quel nodo che da un paio d'anni minacciava di bloccarla nel suo volo leggero d'anima bambina, e sempre parlando da sola concluse anche il conteggio di quella dura aritmetica con queste parole  "Nel l'uomo è sempre l'impotenza a raggiungere, a fare, ad Amare, la paura istintiva che difetti e idiosincrasie vengano scoperti togliendo il fascino di un "prima" maniera, che genera il godimento della sofferenza di una donna, dandogli il piacere delle lacrime, mentre nella donna sarà sempre il conflitto combattuto fra l'amicizia fondata sul sentimento e un poco di fredda  e dura razionalizzante due più due fa sempre quattordici, che tenta di mediare la "vergogna" di sentirsi in colpa.    Karina supplicò il Dio con la lucidità che doveva avere un Ralph Waldo Emerson affinché le regolasse il dono della dimenticanza più che il perdono, che di quello non ne sarebbe mai stata capace se non sul finale della storia senza seguito a presso.  Il cinismo ricevuto e visto negli occhi altrui, non ammette sconti di bontà generosamente regalatale comuni da naturale predisposizione.  Bruciano quelle ferite fa impassibile freddo degli occhiali, anche sul pieno di piacevoli passaggi condivisi.  Ma per lei e per il  "suo"  bene, questo solo chiedeva al Dio. La serenità per quel giusto che mette distanza ad altre ferite più o meno giustificata da contingenze comprensibili dalla logica dichiarata a bene, ma lontana dalla veritiera Capacità di sentire dimostrativa, se non col lucido di amorevole parola.  Per un attimo rivide il caldo brodo delle sue lacrime, gli impassibili spettatori e lo stomaco le si rivoltò.   Ma fu un attimo.  Karina sa che anche lei ha le sue colpe, nè vuole esimersi dalla responsabilità a riconoscerle come da ingenuità imperdonabile per l'adulto capace nella distribuzione. Pur tuttavia riserva agli altri, per intero, tutto il pieno del compatimento per l'inganno crudele recato al loro cuore impoverito con la meschinità del gesto, anzi ché arricchirlo con la bontà vera di uno slancio empatico e umano, ma alquanto inutile perché non equilibrato dentro quel giusto riconosciuto tale sulla calma della  critica distanza.  Con fastidio spazzò l'ultima lacrima restata come un ghiacciolo a sei punte aguzze sul bordo del l'occhio sinistro. Chiuse lentamente il quaderno degli appunti, col pensiero già oltre e altrove, scostò la sedia e si alzò. Respirò a fondo. Fece qualche smorfia per rilassare i muscoli contratti del volto, e si allungò come faceva Omero, il suo gatto, restato a far la guardia lassù, al Nord dello Stivale, nel giardino coi lillà e gelsomini a maggio e la neve ridente nel sole di gennaio, nella "Casa Della Gioia" e poco distante da sua madre. E totalmente sorrise. Grazie al buon Dio, o per le improvvise soste della buona sorte, poteva rinfrescarsi gli occhi stanchi e brucianti su ben altre visioni, nel l'intuizione che si avvale del buio della notte, come per il dolore, per ricomporre i sogni più alti sino alla commozione più profonda rendendola luminosa dì riscattato come di Speranze per la continuità del volo, Invisibile a tutti se non per una strana luce misteriosa che appare e scompare a secondo della luna di certe notti estive,  e che pare un occhio vigile di Madonna.  Mirka (Dai Racconti -Il Destino Nel Nome)
















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