Aurora
fissava un punto situato sul soffitto proprio sopra la sua testa. Non
riusciva a prendere sonno, ma non le importava. In fondo, in quel
punto viveva il suo mosaico colorato col quale le piaceva dialogare
nelle notti insonni come questa. E si rivolgeva al centro di quella
ragnatela cresciuta tra due alberi di quercia bagnata di rugiada al
mattino e dall'umido muschio nelle notti. E percorrendo con gli occhi
sgranati quel l'argento labirinto con qualche buco nero, qua e
là, si trovava sempre a concludere a modo di ritornello che batte tra
arterie e vene sulla fronte ho avuto scrupoli per tutto e verso tutti, solo nel l'amore mi sono donata libera e piena sino a che qualcosa lo trasferì a chi troppo giovane partì per non tornare. Che l'eternità era tutta li, unica carne col nido e uova dentro a un solo cuore, senza croci di pesi se non il valore di ognuno da portare come matricole a vita, ma già maturi anche al l'incrocio delle reciproche coscienze e dove lo spazio era il loro tempo. Un poco di terra da arare e il resto tutto da scoprire. Sempre con gioia per poi lasciarlo in custodia al l'infinito impianto che sta di Sopra. Chiude gli occhi Aurora e finalmente si abbandona al sonno non prima di chiedersi Chissà se da qualche parte una rosa bianca continuerà a torcersi come fa lei per non avere più giardino nè Patria o invece si è modificata in qualche freddo pugnale di stella indifferente che brilla per tutti!? (Dai Racconti Il Destino Nel Nome) Mirka "Rhapsody" (Rachmaninov)
Cosa sono gli anni se non acquietare le brame che di Achille sentimmo un giorno senza la fragilità del tallone? il confondere l'ombra con un poco di luce a sera il dormire raccolto a sé e come copertura la nebbia che ci dica son giunto a casa oppure mi sbaglio che il legno d' Elpenore è l'unico in trafitto di memoria.
Infiorati sono gli anni di malinconie per i giganti creduti essere e potenti mentendo su l'ora il giorno e l'anno che barare un poco si doveva per garantirsi la vanità ché non volasse troppo presto e subito la nudità della paura.
Un peso gli anni depositati sul terriccio su cui posando criptica visione spinta al viaggiare curiose scimmie e grottesche figure si pensò come "non fosse" un ozioso gioco gli arpioni a trafiggere le ginocchia oltre la ruggine.
Portano sempre via gli anni un poco di cielo nel mentre ce l'avvicinano e non si sa se vivi o morti ancora siamo Supplicando solo un poco di pietà per il minuto concesso alla gioia del perdono immaginato.
Un'allievatalentuosa ma dal carattere ancora instabile, ombrosa, forse anche con qualche conflitto interno, sensibilissima da scoppiare in singhiozzi per una semplice osservazione fatta con materno affetto ma capace di frementi effusioni per un passaggio musicale che l'ha particolarmente colpita, non è facile da gestire, incoraggiarne la volontà già di per se stessa esitante. Ma quando quest'oggi, dopo quasi due ore di ripetizioni, riusci a portare a termine felicemente la lezione e vidi nell'allieva i lucciconi agli occhi, allora ringrazi Dio due volte. Una per avercela fatta a fermare il battito di ciglia d'impazienza, la seconda per essere stata capace di non frenarne l'entusiasmo restato incollato sul panchetto del pianoforte. Se poi a mia volta ero ammagonata per reminescenze mie, sono stata non brava ma bravissima. Il premio del giorno comunque, mi fu assicurato da questo inaspettato bellissimo risultato. Mirka
Più che un dolore pieno E' quella fitta a ricordarmi quel bicchiere svuotato sino a trovare lo specchio di noi stessi un poco tonti sempre eternamente svegli quando il non tempo brividi quando la febbre tranquilli come quando si ama senza andar fuori di testa. Incastri di luci e ombre col corpo caldo anche nel profilo sfilato sul muro della stanza Amica dove la stufetta ardeva poco distante dal singolo letto attaccato alla parete eppure un nulla mancò sempre alla meta.
Fu specchio d'essenza quel grido bimbo cresciuto tra i rovi e il sugo di lampone
monello di strada irriducibile ma nelle sue maschere di Arlecchino e Pulcinella non vi fu mai mercato di sè se non per finta. Furiosa esplosione di botanica fu quel lampo liberatorio solo per la benefica pioggia che argentina saltò volò e ricamò
A una festa di bimbi ero bimba anch'io. Forse ancora più piccola di loro così per un poco mi sono sembrata. Si festeggiava il compleanno di uno di loro e duopo fu frustare la fantasia come si fa con un puledro un pò pigrone. Inventarsi di tutto. Dalle fiabe tradizionali (mimandole) a quelle dell'ultima generazione (la Peppa- Rai yoyo). Li devi però guidare e io avevo perso la voce per il troppo dire e fare, i troppi camuffamenti. La testa non più avvezza a tanto rumore cominciò a picchiare a far male. Frastornata mi guardo attorno senza nulla vedere poi in un'angolo, a terra, una scatola di metallo col coperchio appena un poco scostato ma abbastanza per farmi capire trattarsi di gomma colorata, quella che i bimbi usano per imparare a dare forma alle cose che vedono. Il "pongo" per intenderci. Ancora sopra i pensieri mi dirigo come una riproduzione in alabastro del volto di Chefren conservata in qualche Museo di Belle Arti mi abbasso, prendo fra le mani la scatola, la sbarazzo del coperchio vi immergo le dita quasi con voluttà. La voluttà che dà il sentire senza pensare. Mi rialzo. Fra le mani ho una palla di gomma gialla le dita appiccicose e gialle pure loro. Mi fermo ben piantata sulle gambe che mi fanno sentire più una statua di sale che un'essere vivente. Qualcuno mi chiama a gran voce anzi strillano il mio nome " Torna qui dai vieni vogliamo che ci inventa un'altro gioco." Sento sul volto stamparmi un sorriso da ebete, ma vado. Vado incontro a un'orribile destino già segnato. Lenta come un'elefante di sabbia e zitta. Mi vedo come la Depositaria dell'Enigma della Sfinge. Uno stuolo di divini "pargoletti" mi si infila tra le gambe e dentro ogni altra piccola cavità che non immaginavo d'avere. Un gesto istintivo mi porta a tirare il naso al bimbo più vicino. Una risata corale mi scuote dal torpore da rimbambimento. Il piccolo ha il naso giallo sulla punta appiccicato un pezzetto di quella gomma gialla che tenevo fra le mani. Immediati si affollano i ricordi come tanti soldatini di fiori quei fiori di malva con cui si giocava col fiato sospeso quando si era bambini. Con un guizzo riporto tutti al gioco di allora. E come per magia sparita il male alla testa e ogni peso di stanchezza.
Mirka
In dialetto emiliano "piròl" vuol dire "piuolo" cioè piccolo cavicchio di legno; pirulèin o pirulin si intende come "piccolo cavicchio". Questo nome, nei vezzeggiativi delle madri e delle nonne veniva usato per definire il piccolo pene del neonato. Nel gioco questo nome s'intendeva la parte centrale del fiore di malva (mèlva), in particolare lo stilo centrale del fiore alla cui estremità è lo stigma (che ha la funzione di trattenere il polline essendo lo stigma coperto di sostanza appiccicosa)e alla cui base è l'ovario. il fiore di malva si trovava lungo le carraie, lungo i viottoli, intorno a casa. Noi bimbi, quando a gruppi si percorrevano a piedi la strada per andare a scuola, alla chiesa o da un'amico.si raccoglievano i fiori di malva e l'appoggiavamo, capovolgendolo, sulla punta del naso. Delicatamente poi si tirava via la corolla del fiore e spesso lo stilo centrale si staccava e rimaneva attaccato per lo stigma alla punta del naso. L'adesione era favorita in quanto lo stigma era appiccicoso e la cute del vertice del naso era di per se stessa unta dal sebo. Il "pirulino" rimaneva così attaccato al naso ma ogni passo era rischioso e la deambulazione piteva favorire la caduta. La gara era rappresentata dal fatto che si sarebbe usciti vincitori solamente se quel pirulino non si fosse staccato dal naso e caduto entro breve. A scopo scaramantico i bambini recitavano una specie di mantra per mantenere attaccato quel pezzo di fiore. Il mantra era questo "Pirulin sta in pèe, per amor dal ciel, per amor d'la tèra, pirulin sta in tèra. Una tradizione questa propriamente del guastallese ma diffusissima in tutto il reggiano.
"Su percalifragilistiespiralidoso" (Mary Poppins)
Nota. Alcuni arricchimenti della tradizione presi dalla cortese disponibilità del curatore di una raccolta a cui va il mio grazie (Bagnoli)
Nel suo monologo lei continuava a chiedersi se fosse giusto distinguere per domandarsi. L'unica risposta che ne ebbe fu sempre e solo questa. Esperienza con molti cavalli di Troia e con qualche sospeso lasciato in bella vista sul pallottoliere. Principio e Fine. Forse.