fiume

fiume
fiume della vita

sabato 31 ottobre 2015

TU SAI CHE IO SO



Io so che tu sai quanto ora mi pesa il mattino senza "quel" caffè che riempiva la stanza di sole prima che l'aurora, dentro l'inverno con la neve bianca che cadeva e pareva danzasse l'eternità del viaggio fuori da ogni paura.  Eppure  tu non sai quanta lieve freschezza c'era in quel fumo che non c'è e che ora pesa.



. Mirka


  


Arabesque  (notturno n.1  C. Debussy)




Nota: Questo appunto è stato trovato da me tra un vinile e l'altro. Mi sono detta La memoria è un  impercettibile battito di uno sconosciuto senso dell'eternità,  il filo luminoso di una ragnatela che si spegnerà solo con noi. 

giovedì 29 ottobre 2015

LEZIONE DA UN PICCOLO FIORE



Breve premessa. Negli anni del collegio s'impara di tutto. S'impara a fantasticare su come scavalcare un muro evitando di rompersi l'osso del collo. S'impara a ingraziarsi la Badessa o Madre Superiora in cambio di un peccato di gola o di quell'ora di sonno in più al mattino, la concessione del permesso di frugare nel libro della Divina Commedia (senza troppo capirci), come farsi perdonare il carattere ribelle dagli sbalzi d'umore incredibili e tali da far sbalordire un esorcista. S'impara a reprimere il valore della schiettezza e quindi dei "diritti" percepiti come tali, sostituendoli con il muto linguaggio degli occhi abbassati come la donna delle pulizie (di un tempo) o rivolti al cielo come santa Teresa d' Avila. Si imparano le buone maniere buttando fuori tutta la lingua appena la monaca ha voltato le spalle.. S' impara l'arte della finzione a fare per deviare l'attenzione sulla tua natura predisposta alla pigrizia e all'ozio con gli occhi spalancati. S'impara la Musica come gioia e condanna. Gioia quando liberamente  scatena le emozioni anche quelle più sconvenienti o tristi sino a sentire la morte vicina e Amica. Condanna quando s'impongono di vedere bello quello che a te non piace e...gli interminabili studi disciplinari. S'impara la scalata della perfezione imperfetta. Si studia duro mentre la testa si perde nel bel Cappellano che ha raccolto nel confessionale il tuo candore innocente lasciandosi nel fondo l'ombra di un torbido e una caotica inquietudine. S'impara lo stupore delle prime scoperte dei piaceri della sessualità subito nascosti accuratamente con occhioni grandi come la luna. E s'impara a ricamare dei favolosi piccoli capolavori di pazienza dei quali insuperbirsi i come avrebbe voluto uno dei settecento diavoli che si dice infestino il Creato. S'impara a scottarsi le dita lasciandole orgogliosamente integre. S'impara insomma ciò che serve per affrontare l'ambiguità della Vita bifronte.

 Ma eccoci al racconto. Il sole era spuntato da poco e la giornata prometteva serenità. Presi il mio lavoro a telaio e mi misi accanto alla finestrella dove vi era più luce non perché avessi problemi di vista, tutt'altro, allora godeva di una ottima vista che mi permetteva di effettuare splendidi ricami prima che potesse perderla forzandola al lumicino per leggere di nascosto. Stavo infatti ultimando una tovaglia in puro lino, arricchita da ghirlande di superbe rose e timide viole che si intrecciavano armoniosamente a cascatelle di narcisi, Pratolini, mimose e ciclamini in un tripudio di linee e colori. Con l'aiuto dell'ago e dei fili multicolori e soprattutto con l'abilità delle mie dita, riuscivo a far sbocciare fiori delicati dalle mille sfumature e immortalarla sulla stoffa. Ogni tanto mi soffermavo ad ammirare l'operato e si compiaceva della mia bravura, anzi, ne ero addirittura orgogliosa perché mi pareva d'aver raggiunto la perfezione in questo lavoro tipicamente femminile. Ma quel giorno un episodio mi insegnò qualcosa di molto bello che mi piace raccontare. Sul mobiletto (piccolo scrittoio) accanto alla finestra avevo posto,tempo addietro, un vaso nel quale avevo messo a dimora,in un piccolo pugno di terra, un bulbo di ciclamino sottratto furtivamente al giardino di una zia e lì l'avevo lasciato nel totale disinteresse. Dopo un po' di tempo mi accorsi che erano spuntate quattro foglioline. "Toh" mi dissi "è sopravvissuto senza cura" e sinceramente provai quasi tenerezza. Cominciai allora a seguirlo con tutte le attenzioni dovute; le foglioline crescevano mostrando la loro aggraziata forma di cuore, di un bel colore verde intenso ai bordi e verde chiaro al centro, interamente venate da una sottile rete simile ad una trina. Un giorno tra le quattro foglie, fece capolino un bocciolo di ciclamino. Se quel fiore avesse avuto occhi avrebbe visto con quanta gioia avevo accolto l'inatteso fiorellino, così piccolo ma perfetto nelle caratteristiche del suo genere. Quel giorno stavo appunto ricamando quando un raggio di sole entrò nella stanza illuminandolo. Impercettibilmente il raggio raggiunse il mobiletto sul quale era posto il vaso e sempre impercettibilmente raggiunse anche il ciclamino.
Tra una gugliata e l'altra osservavo il bocciolo inondato di luce.  A un certo punto cominciai a notare che la sua forma conica stava cambiando. Ma si,si stava gonfiando come un palloncino e nel gonfiarsi si accorciava. Pareva facesse fatica ad aprirsi perché i suoi petali, alla punta, erano ancora avvoltolati come se non volessero sciogliersi dall'abbraccio che li teneva uniti dalla nascita. Incuriosita smise di ricamare cominciando ad osservare attentamente ciò che stava avvenendo. Ad un tratto,nella spinta del calore del sole,avvenne una specie di esplosione, i petali si aprirono di colpo sciolti dalla loro stretta e uno di essi velocemente si rovesciò all'indietro,verso l'altro come in atteggiamento di lode a un'invisibile creatore. Fu in quel momento che da esso scaturì l'intenso profumo del ciclamino che invase tutta la stanza. Io guardavo stupita quel piccolo miracolo. Non credevo ai miei occhi; avevo assistito a uno dei tantissimi misteri di "crescita" che ci dona la vita e che noi consideriamo attratti soltanto dal fatuo scintillio delle cose del mondo che ci schiavizzano per le loro false promesse.
Fui come risvegliata da un sonno e capii il messaggio udito nella "voce sottile del silenzio" attraverso quel piccolo e infinitamente grande miracolo che è anche lo sbocciare di un fiore. Per un istante capii anche la mia pochezza e mi vergognandosi per essersi cucita addosso un vestito intessuto di vanità e superbia. Si ,superbia, perché attributivo soltanto a me la capacità di espressione nell'arte del ricamo mentre era uno dei talenti che Dio mi aveva donato  e che dona a ciascuno di noi in modi diversi.
Sono passati molti anni da allora. Il ricamo appartiene ormai ai ricordi di un tempo e di uno "stato di transito". Anche la vista non è più come quella di allora. Eppure,da quel giorno,i miei occhi, e mi riferisco agli occhi dell'anima, non hanno mai smesso di vedere la Bellezza e la grandezza di un Piano Superiore in cui traspare Amore operante anche a nostra insaputa in quel guizzo della percezione di un "qualcosa" che si riforma fuori dalla nostra volontà e attraverso la natura che rompendo si espande e si dilaga nei prodigi delle sue forme più svariate,nel mistero velato e occultato in modo che, ognuno, e a modo suo,gli si avvicini diventando lui stesso fonte di inesauribile prodigi anche nel nuovo di un piccolo gesto scappato nel quotidiano,nella sofferenza da vivere fino al limite del possibile e poi "offrire". La lotta come lo stesso "principio del piacere" e lontana da ogni distruzione,il rispetto per ogni specie che ci vive accanto curiosi d'accettare la diversità. Un risveglio sempre pronto ad affacciarsi. La gioia di lasciare libera  ogni crescita  anche se osservata con amorevole attenzione senza che qualcuno ce lo dica o ce lo imponga ma come voce che ci suggerisce il cuore. Un bulbo rubato perché faccia sempre rumore nell'intimo di noi. La Bellezza rubata per moltiplicarla con gratitudine. Se ne può non esserne ancora consapevoli ma l'inconscio sa perché ha fatto quel gesto.  Non fare mai nulla se ha per fine un personale tornaconto, ma consapevole dei frutti che nel silenzio si sentono spuntare,rossi o viola che siano non importa, ma pieni del loro succo che un poco sa anche di noi.


Mirka

lunedì 26 ottobre 2015

LEI




Da poco era passata la Pasqua e da un giorno la commemorazione di un giorno altrettanto bello. Forse più bello per chi non andava a messa la domenica. Il 25 APRILE. I fiori gareggiavano col Cielo. Lei ne fu felice. Come sempre. Solo per la frazione di un attimo l'anima si arrestò dal suo Volo appena cominciato. Uno strattone Invisibile la riscosse da quella Volontà  sovrumana di restare.  Lei "non voleva" andarsene  per la coscienza di "quel tutto" in addivenire.   Non potendo parlare, lasciava agli occhi la forza di volontà, intensa come la luce di un mezzogiorno estivo forando la stessa luce.  Poi reclinò il capo.   Sapeva che il messaggio sarebbe passato dalla mente passando subito oltre, cosciente che non sarebbe arrivato alla profondità delle viscere, a modificarne la natura, né il corso del Destino.     Così tacque per sempre.      E dire che l'amava. L'amava di un Amore che credeva più forte d'ogni limite pensato da umana potenza.   Eppure non bastò.    Ancora a distanza, Aurora si emoziona a quel ricordo, e si domanda se Amare sia invece una condanna più che la voce comune che gli attribuisce il miracolo di fare nascere la gioia.  Una condanna da sentire oltre lo stesso finito, con l'impegno della Responsabilità ad agire per non vanificare l'offerta del sacrificio. (?)     Sconfitta, Lei parve arrendersi a ciò che quella volta non poté cambiare.   Stanca chiuse gli occhi alla vita come per abbandonarsi a un lungo sonno.  Fu l'unica volta che nel volto non le si riflessero i bagliori del sorriso.   Il sorriso sempre portato in ogni lotta e quella volta perso per sempre. Una nebbiolina rosa si stava formando attorno a Lei. Aurora ebbe l'impressione di vedere la mano di Dio, implacabile nella sua volontà fatta di affilato coltello.  M. (Dai Racconti Il Destino Nel Nome)


"Im Abendrot" (Vier Letzte Lieder -R. Strauss)


"O pace, vasta e silenziosa,
 pace profonda del tramonto.
Siamo così stanchi del cammino-
è così, forse, che si muore? (H.Hesse)

 


domenica 18 ottobre 2015

UNA SCOSSA POI LA NORMALITÀ COME SE NIENTE



Fu sorpresa quell'incontro e io battei le ciglia. Il cuore sussultò come smarrito uccello senza memoria del suo nido. Ma di tutta quella teatralità da copione, a colpire la mia attenzione fu il suo sguardo fissato sulla minuscola catena che portavo al collo con la ancor più minuscola cifra E. appena sopra i seni. Lì si fermò la sua tenerezza mentre al contrario s'induriva un poco il mio cuore sciogliendolo col burro della Compassione. Certo i rapporti umani, non meno di quelli coniugali sono governati da una legge generale, diventata prassi di "civiltà" (io la chiamerei più realisticamente ipocrisia ma sorvoliamo) che vuole in presenza di estranei non ci siano rivelazioni indiscrete, non "scene" rivelatrici che, per quanto il freno esercitato  per lunga scuola possa salire di temperatura e induca qualche dubbio su cosa sia passato fra i due facendo anche trapelare il sospetto di un colpevole e di un offeso, per cui se ne deduce, teatralmente saggio mantenere un comportamento calmo e sorridente come "se niente", come se "non fosse", in modo che, anche al più smaliziato resti difficile trovare un appiglio per criticare o peggio immaginare equivocando su un pantano inventato. Da qui però, al gesto dell'indifferenza che mira a far soffrire chi in tutta coscienza non ha MAI danneggiato, ce ne passa di acqua sotto i ponti. Mi viene allora spontaneo pensare a ciò che ha scritto uno dei tanti cinguettanti di mia conoscenza "Siamo tutti pagliacci tristi". Con piacere gli rispondo anche se indirettamente "Si. Ma a sipario alzato. Al chiuso, non so."   Forse solo delle misere nudità umane e tremanti, eccentrici e forse anche arguti e divertenti, un tempo, ma molto più sbrindellato ora e con una legge morale che si presenta chiara e  "fiera" solo quando fa comodo.

 Mirka

 Musica Notturna per Le Strade di Madrid  (L.Boccherini)















mercoledì 14 ottobre 2015

FRA POCO SARA' SERA

<






Fra poco sarà sera.


Le luci del giorno già muovono al declino.
Un raggio di luce prova a farsi strada fra un mantello rattoppato di nuvole in cammino.


 Fra poco sarà sera.


 Dei colpi di giovane tosse  mi rallenta il battito del cuore.
 M'incupisce il ricordo lontano, vivo come carne ammaccata da poco.


 Fra poco sarà sera.


 Il mio pianoforte tace.     Non può.
 Manca il delirio dell'anima e la magia che ne perfora i suoni.


 Fra poco sarà sera.


  Nella mia insonne oscurità respirerò un richiamo di Cornice.

  Limpida sorgente di fronte che non smise la trasparenza su le pieghe.

 Ombra di me stessa su la luce verde della foglia.

 Palpabile Assenza che martella su un mattone.


  Fra poco sarà sera.



Mirka





"Notturno" (Op 48 N.2 -F. Chopin)





domenica 11 ottobre 2015

LETTERA ALLA MOROSA

I maschi, come le femmine, ma soprattutto i maschi, da quando il mondo è stato creato, sono sempre stati pronti a inventarsi alibi, più o meno credibili, per giustificare una "mancanza" o una "scappatella".  Poco è cambiato e ancor meno cambierà. Noi siamo fatti della stessa sostanza dell'acqua, un poco di terra e molta immaginazione per trovare le infinite scorciatoie per farla franca. Sfogliando tra i quaderni di mia madre, ho trovato questa lettera che desidero portare a conoscenza magari per riproporre una sottesa risata.  Quella che sicuramente la fece fare a mia madre e a me immaginando la scena. "Cara morozza, Ier sera non sono mica potuto venire a morozzo perchè pioveva, timpistava, tirava lo vento, brontolava lo tirone.(tuono) A gh'era i fulmani e am bagnava li scarpi novi perchè in tella strada c'era tanta plicce-plocce. Acosì g'ho deciso di starmina in cà. Al tò moròs"


 NOTA: Va da sottolineare che la suddetta lettera scritta da un sempliciotto di campagna per scusarsi del mancato appuntamento solitamente fissato al giovedì, fu scritta a cavallo dei primi trent'anni del 900. Non deve quindi meravigliare il "modo" di scrittura nè l'intercalare del dialetto (emiliano) con qualche parola d'italiano.

Mirka






io cerco la morosa  (Raul Casadei)











martedì 6 ottobre 2015

IL DIAMANTE DA UN'UNICA LUCE PURISSIMA




La sua luce riempiva tutta la stanza. Faceva male al cuore più che agli occhi.  "Oddio morirò  strozzata con tutte le lacrime che si fermano lì anche se io mi affanno nello sforzo di cacciarle giù da dove sono venute", si diceva la donna rigirando quel diamante fra le mani tremanti come quelle d'una vecchia di cent'anni. L'anello era restato sempre là, in un punto ben preciso e come scordato. Volutamente scordato. E ora stava fra le sue mani con quel groppo che in continuazione la minacciava. Chiuse gli occhi e rivide la sala illuminata da tante luci e già piena di gente elegante venuta per ascoltare Lei. La paura l'aveva presa e le si erano paralizzate le gambe come in quell'inverno quando piccola si era persa nella neve alta della campagna e non riusciva più a trovare la strada verso casa. Le lacrime le scendevano, diventavano ghiaccioli e il suo invocare la mamma era solo un indecifrabile pigolio. Non sentiva più lo scorrere del sangue nei piedi e così si era bloccata come fosse una statua. Una statua che mandava fuori dei granuli bianchi e scintillanti. "Ecco" diceva alla testarda che già si predisponeva a diventare "Me lo merito. Scappare  come una furia  per dei normali litigi di casa, per godere del silenzio assoluto e dell'ebbrezza che le avrebbe dato il bianco della neve!  Gli scarponcini erano ormai diventati due maccheroni che nessuno avrebbe mai mangiato e i piedi due ghiaccioli che nessuno avrebbe mai succhiato. Ormai era già morta. Si vedeva nella bara senza il bacio della mamma, senza averle chiesto il perdono per quest'altro dolore.  Poi      qualcuno da dietro l'accolse in un abbraccio. Voltò lentamente la testa. Riconosceva quel braccio. Lasciò che una lacrima si fermasse sul centro della guancia. "Ehi piccola cosa ti succede? Una lacrima!  Perché!?" Le risuonò  in tutto il corpo la familiare voce, dandole al braccio una lieve pressione per farla voltare tutta. Il lungo vestito anche se di seta leggera come un velo le impedì la scioltezza del movimento. Sentiva però che altro si stava sciogliendo nella gola liberandola  un poco da quella durezza "Sarai bravissima" le sussurrò sulla bocca quella voce. E lei fu pronta. Sorriso sulla fronte, l'occhio concentrato al podio. La sala era bella, spaziosa, ricca di addobbi e con gente in attesa. Le faceva piacere vederla sparsa e raccolta nella varietà misurata e composta. Il suo istinto più profondo cercava però sempre e a sua insaputa un accordo delicato fra le modalità esteriori a qualcosa che potesse riportare il tutto a un'essenza che solo in uno spirito fine ed esercitato si poteva trovare. Da l'alto del soffitto cominciò a venire meno la luce. Ne inseguì l'affievolirsi. Davanti a lei un'infinita grandine di teste. Le teste parevano così riavvicinate da darle l'impressione di piccoli palloncini colorati tenuti da una grossa mano. Si raccoglievano, si spostavano, si riunivano ancora come mossi da misteriose correnti d'aria. Sentiva tanti occhi fissi su di lei domandandosi perché invece non tendessero l'orecchio al suo grido d'aiuto. Il primo violino abbozzò un saluto con l'archetto. Gli rispose automaticamente con una specie di sorriso. Il vestito da nuvola aranciata le si era fatto pesante come il freddo del piombo. Qualcuno si raschiò la gola. Avrebbe voluto farlo anche lei. Si affacciò invece la nostalgia del caldo della sera davanti a un tavolo apparecchiato con una immacolata tovaglia a quadretti blu e bianchi, il piatto  fumante sui passatelli fatti dalla nonna e in silenzio si mangiava mentre dagli occhi esce musica.     La neve continua a scendere e lei con lei. Sta scavando una fossa. Fra poco sarà tutta coperta e nessuno saprà mai che  sotto quella neve  c'è lei. Nessuno lo scoprirà. Neppure sua madre.  C'è irrequietezza ora nella grande sala e fra gli orchestrali. La sente addosso senza capirne la ragione. Potesse almeno voltarsi al podio. Ma non può. È una donna di neve. Di neve come il pupazzo che le faceva il nonno davanti al cancello di casa. Il pupazzo aveva come naso un sughero rosso. Il silenzio è assoluto e greve ora. Ma cosa sono quelle voci che ripetutamente la chiamano? C'è preoccupazione, ansia, isterismo, paura. Il collo le si è fatto lungo. Lungo come quando lo si tira a una gallina. "È qui è qui. È viva" Delle mani la sollevano, la scuotono, la sfregano, le regalano il caldo tenerissimo e rassicurante del petto. Non sente il cuore pulsare, sente invece l'allargamento del caldo anche se non sa distinguere da dove proviene. Com'è dolce quel Ritrovato! Bellissimo. Splendido. Da "ricordare". Solo per un attimo si ritrovò nel freddo della neve. Un ramo con tante goccioline di ghiaccio l'aveva improvvisamente ghermita. Voleva gridare ma al posto del grido le uscì un verso così spaventoso da far paura anche a lei. Era il cuore che martellava. Il verso non c'era. Lei era muta. Sentiva male. Il caldo è così profondo ora d'arrivare sino ai piedi. Un rumore la scuote. Il direttore sta venendo verso di lei. È deciso ma sorride. Lei lo ferma con un cenno della testa e con un uguale sorriso gli sussurra. "Tutto bene, Maestro. Mi scusi. È stato solo un lievissimo sbandamento. Può cominciare".   Il concerto scorre come gli anelli di una catena perfettamente equilibrata e disposta al più magnifico dell'uso. "Sei stata bravissima"  le ripete la solita voce penetrata a sorpresa nel suo camerino forzando tutti i fasci dei fiori e mettendole al dito un diamante dalla luce purissima. Si. Bravissima lo è stata sempre, in teatro. Non invece nella vita incapace  quasi della più piccola finzione. O meglio, o reagiva prontamente, o con indifferenza voltava le spalle, oppure stava zitta lasciando che gli occhi parlassero per lei. Come quella volta quando l'aereo non fece più ritorno e tutto il cerchio cercava di consolarla e lei guardava oltre ogni testa.   Tra le mani il diamante manda strani bagliori gialli. Con un gesto di Dolore fa per scagliare nel fiume che indifferente scorre davanti alla sua finestra, tutta quella luce che le brucia le mani. Si trattiene in tempo "No. Se non mi è servito per vivere mi sarà utile per pagare il mio funerale" si dice con ferma determinazione mentre con estrema lentezza si avvia per deporre l'anello nel suo scrigno prezioso. Un raggio di sole attraversa il centro della stanza formando disegni di luce. Si ferma a guardare le innumerevoli varianti. Nel suo ondeggiare sente TUTTI i suoni d'ogni musica eseguita, la sua anima, il suo corpo. Ora al posto degli occhi ha due diamanti. Respira a fondo felice, incurante del suo volto bagnato. In quel perlaceo luccicante, lei sapeva esservi riflessi tutta la luce della sua piccola Vita.

 Mirka (Dai racconti Il Destino Nel Nome)
 "
 My Heart will go On