Si fa un gran parlare se sia buono o no fotografare le forme del dolore, lecito oppure un affronto alla moralità fotografare il dolore nei suoi spasmi, nella sua terribilità che porta alla morte. Io dico di si, che si deve. E mi esprimo con un esempio personale. Nella mia vita non ho mai assistito alla morte fisica di una persona. Neppure quando ero una studentessa di medicina. Al dolore invece fui sempre presente. Con empatia e compassione. Vera e profonda. Quando morirono mia madre e la mia ultima zia, sorella di mia madre, chiesi alle Onoranze Funebri, con molta umiltà, di assistere al rito della vestizione. Accettarono con un misto di stupore incredulo e di ammirazione. Nessuno l'aveva fatto prima di me e nessuno si era presentato con una simile richiesta, anche se vagamente ne compresero la profonda motivazione, oscurati dalla mente formato mestiere parcelle. E vidi. Vidi le care nudità con tutti i segni della sofferenza. Uno per uno li ho distinti, e su ognuno versai silenziose ampolle di pianto. E ogni osso fu contato con tenerezza, inviando invisibili baci turbati solo dal rumore di singhiozzi silenziosi. E posso affermare con assoluta onestà, che mai Rispetto fu più alto, come essere di fronte a un dio, e gesto d'amore nella autenticità più grande e pura. Non ripresi con l'obiettivo solo perché furono i miei occhi a Volerlo fare, stampando e incidendo la Memoria di quelle amate spoglie. Lo stesso dicasi per i fotografi di professione. Il loro obbligo morale non è quello di incidere su le coscienze, scuotere, squarciare, renderle attive attraverso la realtà nuda del dolore? Lo fecero dei grandi come Mario Giacomelli che non addolcì certo con le sue opere la solitudine dei vecchi chiusi tra le mura di un ospizio, le crudeltà spesso degli operatori, l'indifferentismo umano formato cinismo di freddo godimento.
Mirka
" Preludio" (Op 28 -n.4 - E min -F.Chopin)
Ti capisco anche se io non ho avuto questo coraggio. Un bacio. Grazia
RispondiEliminaGuardare in faccia la realtà e raccontarla nella sua nuda verità non deve fare paura anche a costo d'essere fraintesi. Ma questo lo si deve mettere in conto. Ciò che si prova invece nel cuore lo sa solo chi lo fotografa anche solo con gli occhi o per darne testimonianza. Chi è in malafede traviserà anche questo.Con affetto Gianni
RispondiEliminaGrazia a ognuno il duo tipo di coraggio. Ricambio il bacio. Mirka
RispondiEliminaQuando sei arrivato all'età della consapevolezza Gianni, tutto si deve mettere in conto, mai quello di tradire quell che ti parte dal cuore e che credi moralmente giusto. Anche per me l'affetto immutato. Ciao, Mirka
RispondiEliminaChi per mestiere fa il fotografo deve essere cosciete del peso e della responsabilità quando dà alla stampa ma non sottraendosi mai dall'obbligo di raccontare i fatti veramente accaduti magari con lo scopo di risvegliare qualcosa che si è sopita nell'uomo,promuovendo riflessioni,condivisioni o no,reazione e azione. E la realtà è piena di crudeltà e di sofferenze più ancora che di gossip. Tornando invece a te,io ti comprendo. Come ben sai amo dipingere e.tra una pausa e l'altra del mio lavoro,in verità molto pochi,uso i pennelli per ritrarre dei volti. Con le loro smorfie ,con le loro contraddizioni,le loro sofferenze. L'ultimo è stato il volto di mia madre nella sua parte finale. Volevo imprimermi tutto e non ultimo con la speranza di suscitare in altri delle domande. Ecco. Mi sei venuta in mente. Caramente Maria R.
RispondiEliminaSulla stessa strada, allora. Entrambe affrontiamo la realtà anche se spesso vorremmo scappare o chiudere gli occhi, ma più forte sempre è la verità che ci spinge ad agguantarla costi pure un'illusione lavorata a Sogno e con amore persino cesellata. Io con gli occhi, col canto o con la parola. Tu nel tuo lavoro giornaliero che nelle pause diventa pennello creativo immortalando il dolore affinchè "qualcuno" un giorno, commovendosi, possa far crescere il seme del nuovo, su un terreno buono per far fruttare valori universali. E non ha importanza esserci per constatarne la bellezza della fioritura. Noi sappiamo. Ciao, un abbraccio. Mirka
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RispondiEliminaE' difficile immedesimarsi in chi ha questa necessità. Chissà. Forse si fotografa la sofferenza per sentirla sul proprio corpo come segno d'amore per ricordarla in seguito. Con affetto. av R.S.
RispondiEliminaAcuta intuizione R. Almeno per me è così. Un bacio, Mirka
RispondiEliminaLa sofferenza è il male a cui nessuno sfugge. Fotografarla è come vendicarsi per una ingiustizia subita.Io provo a credere questo. Ornella
RispondiEliminaNel fotografare il Calvario di qualcuno si fotografa anche il nostro tentando di esorcizzare quello che, come spada di Damocle ci sta sopra con la vendetta d'Amore da cui partì lo scatto. Grande in ogni caso è stata la Tua intuizione. Grazie
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