Esplodeva l'arancio dell'estate
bruciava la terra sotto i piedi arroventati
non bastavano le fontane che
la centesima era sempre una che mancava.
La spiga cresceva
da lontano il pane.
C'era la luna
la luna rossa che fumando si assottigliava ad onda
il tic-tac del l'orologio al muro martellava
bilanciato come un giuramento fatto davanti al Dio.
Odore di acacia
attorno le api
l'ostinato miagolio d'un gatto senza
la promessa della zuppa.
Per far tacere il gatto
ho messo un disco e una canzone antica
si incollò a lucchetto il labbro
uscì del sangue gocciolante salmastro
.
Incredula cominciai a guardare
senza riconoscerne la provenienza.
Ho lasciato alla lingua il compito di trasformarlo
ma epicentro di uragano rosso cominciava a diventare.
Veloce la lingua si ritrasse
riconoscendo essere il mio specchio.
Con gesto secco ho chiuso la valigia
con dentro un picchio e il gemito di un gatto.
Nutriti i cavalli senza presentire il temporale
i pianeti tutti bene allineati e una Parca col dito sul pomello della porta
le trappole di Aracnide a Destino
la Moira che assegna compie
e semi sparge dovunque separandoli alle faglia del vento
batuffoli inzuppati nelle gocce prese al sole
il mistero del Karma appiccicato alle radici
un incendio muto sul sudato della pelle
l'impazienza che germoglia inutile Esperienza
mentre la Necessità obbliga al riparo.
Restò solo una scintilla di amaranto e
un vorticoso mondo che le girava attorno
nel vuoto da riempire
nella luce di cristallo che ancora
trema nel silenzio d'una lacrima e
un ombra che oscurò per sempre il sole
impronte di aurora alle radici
destinazione ignota su cui delira
il tempo affamato più che mai di cielo
e senza più difesa se non il nudo di
un ramo che con qualche foglia turgida indica la sfida
tra un poco di nostalgia dolente
messa in conto come quando
si agita il remo fra le acque gonfie e
senza lamine di giallo negli occhi del mio gatto.
Seccata la pianta di salvia al mio balcone
una promessa a sinistra del corpo dove
sbuffa un poco stanco il cuore di un ghepardo
che di foresta ne odora prepotente il suo richiamo
per chiudere gli occhi al muschiato della sua terra odorosa e vergine.
Mirka"Zorba
"L'ultima canzone" (Paolo Emilio Tosti)
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