fiume

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fiume della vita

lunedì 4 maggio 2015

LA CORSA OVVERO IL DOVERE ALLA FELICITÀ









I miei ricordi vivi  sono nella "corsa". Dentro a ogni corsa. Lì mi sono sempre trovata. Essenza di vita, fame di vita, gioia da afferrare come volontà indistruttibile per darle forma e consistenza.   Solo così sentivo che avrei potuto sopportare ogni peso, l'ordinario che spesso mi girava attorno, le convenzioni, le inibizioni, il riduttivo costretto a orizzontali vedute.
 E non era solo il sentirmi a casa in quella vitalità che spingeva alla corsa quando le prime avvisaglie di banalità circoscritta a rituali senza il formato della sostanza sentita come sacralità che al rito con rispetto si accosta, ma emozione intellettuale generativa di ebbrezza e di entusiasmo. La gioia per realizzare un sogno, il piacere che scavalca ogni tipo di ostacolo.  Corsa come l'unica cosa che valesse,  realtà che prendeva senza farsi domande. Ché Viverla bastava.
 Ricordo la prima corsa nel vento. Ero molto piccola. In casa dei nonni c'era stato un litigio. Non ne conoscevo la ragione, ma le voci aspre avevano fatto si che immediatamente finissero i miei giochi con la creta e furtivamente si allontanasse.  Per un poco mi sono messa dietro la porta di casa . Ho Respirato gli odori della frittata ai fiori di zucca che oltrepassavano il muro, l'aria già impregnata di violette e biancospino, un indistinto pigolio forse fra gli stessi alberi.   Nel mentre un fascio di luce mi acceca gli occhi, li chiudo, li apro, il gioco mi diverte e continuo sino a quando mi giunge chiaramente un nome. Incuriosita dal nome, Bianca ripetuto più e più volte interrompe ogni distrazione " è la mamma " dico fra me  "parlano della mamma".  Nel mentre  l'azzurro del cielo carpisce ad altro la curiosità, sfreccia un uccello da in seguire sfidando la luce del sole   comincio a ridere perché anch'io sono diventata un uccello,  comincio a  sbattere le ali   e giù dalle scale   nella strada  dentro i campi colorati di verde  le macchie di giallo  dei punti rossi   io che mi rotolo fra loro senza farmi male  il miracolo della corsa, l'oblio di tutto il resto.   Il tempo è passato, eppure ne sento integra l'ebbrezza nel corpo trasformato adulta, nei pensieri di allora incuranti di cercare ogni motivazione profonda.  Sentirmi bene con me stessa e nulla più, solo sfiorata da qualche lampo intuitivo e l'innocenza da cui proveniva con l'ombra del dubbio già in agguato.     E ancora quella corsa fatta per andare incontro a "qualcuno" che sentivo appartenente per la stessa curiosità, l'entusiasmo, il lucido scanzonato misurarsi e fortemente ostacolato dal circondario familiare.  Anche quella volta un litigio l'aveva fatta scappare. Il cielo era una grossa nuvola nera,  infatti la pioggia non si fece attendere. Forte, dura, sferzante, mescolata al caldo delle mie lacrime.  Sapevo che lui aspettava, pioggia o non pioggia.   Stava sopra una radice sollevata, bagnato come un moccio ma indifferente.  Sorrise, ci sorridemmo,  ci si abbracciò, si divenne lo stesso albero,  e anche il litigio con  il circondario...divenne benedizione.  Corse come il treno delle sei del mattino vestita a metà, il resto sulle rotaie, ma felice perché andavo incontro al sapere, alla musica che puntuale mi aspettava sul portone del Conservatorio. Aperta, avida, bramosa, tenacemente ancorata a me stessa, a cercare me stessa, su ogni via e non importa quali fossero le deviazioni.  Avrei sempre desiderato raccontare a qualcuno di "speciale"  le mie esplorazioni  così particolari per raggiungere la mia centralità, anche se per paura di derisione non lo feci mai se non comunicando con gli occhi, in luce misteriosa che mai sfuggiva. Certo la presunzione non mi abbandonò mai, giustificata dall'entusiasmo e da una fredda lucida consapevolezza del limite che s'imponeva. Confusamente sentivo che anche questo "peccato" poteva servirmi per non lasciarmi agguantare dal' arroganza dei molti.   Nella corsa non conobbi mai segni di incertezza, né di paura. Era il cuore che guidava il suo galoppo verso la conoscenza, la terra, il sangue, le concrete realtà senza sospeso, protezioni, sterili esoterismo, un credo superiore a cui aggrapparsi.  Fu dunque tutto un alternarsi di corse e lunghe pause.  Pause di noia, pause rigeneratrice da abitudini  ormai inutili e da ripostiglio   giacché ogni cosa doveva contenere il germe del piacere, l'ebbrezza della sperimentazione che non conosce il fallimento e neppure lo ammette,   l'invisibile legame da cui prende il via l' esistente, la vita, la gioia    Ricordo la corsa verso la mia prima casa   preceduta dalla stanchezza dei molti vagabondaggi in pensioni e in tutte le parti del mondo,  l'ultimatum a chi tentennava,   lo sfidare il Sentire del vero provocando prova,  l'idea ancora informe,   il progetto,   la volontà di vincere sul dolore e sulla frustrazione,   su un tempo veloce e che sentivo crescere dentro di me.  Senza mezzi se non i miei piedi e i mezzi di trasporto  (autobus tram taxi),  eppure nulla riuscì a cambiare il ritmo della corsa.  Ed era immagine di emozione correre da un punto all'altro di possibili luoghi ove formare il nido.   La prima tappa esplorativa fu a Monte Mario (Belsito)  troppo caro   Conca d'Oro  lo stesso, infine Monte Verde,  A caso e senza nulla conoscere mi sono intrufolata dentro una stradina.  Mi sono fermata davanti a una palazzina signorile di quattro piani non ancora finita e me ne sono innamorata.  Senza indugiare andai dritta in portineria e sempre più elettrizzata  ho subissato di domande il povero Egisto (portiere) coinvolgendolo nel mio stesso entusiasmo e mobilitandolo per realizzare ciò che via via sentivo farsi più chiaro in me.   Mi accompagnò al terzo piano, l'unico restato ancora vuoto. L'ho trovai perfetto, esposto a sud e con un terrazzo che subito  ho "immaginato" pieno di piante e fiori, una vasca al centro con pesciolini e ninfee  i bengalini e i canarini cinguettanti alle pareti anche se in gabbia. Nel mio desiderio il mio Destino, e il "dovere" di dargli una spinta concretamente sostanziale.   E da ragazza inesperta quale era, mi trovai ad essere manager, slittando su qualsiasi rischio o meglio amando ogni possibile rischio e quindi annullandolo.  Nulla  ha potuto fermarmi, anzi, ogni corsa tenuta "segreta"  solo per scaramanzia, fu mèta e concentrazione assoluta che nulla potesse dal l'esterno infilarsi dentro.   La stranezza di tutto quel l'irrompere in apparenza disordinato e forsennato era però l'armonia che sentivo dentro e proprio nel suo moto unitario.  Unitario per come sentivo essermi vocazionale in tutto ciò che mi portava verso la Gioia.  Un'immagine di eternità dentro e fuori dal tempo, ma in quella realtà che io vivevo,  raccogliendone l'ebbrezza nella corsa, ignorando il contorno pur restando visibile. Felicità pura, dunque. Assenza di ogni altra precarietà e fastidio.   il mio Paese Magico dove tutto è possibile e dove io ero pienamente me stessa e vera insieme a chi mi stava seguendo e come me animato dalla mia stessa febbre.  Corsa in prossimità del Natale   lavoro fuori e dentro casa,  casa da addobbare   i  regali da comprare per tutti anche per il gatto e da impacchettare,   in testa i menù e tutti i sogni di ogni tempo passato contenuti nel tempo presente.  Una specie di Opera con diversi atti e molte sceneggiature, ma di cui se ne pregusta il Compimento  gli applausi    la mia interiorità ricca e piena depositata sulla mia schiena "piegata" ma felice.    Così le corse per conciliare la mia attività musicale con le riunioni politiche.    l'ideale di giustizia sempre agli occhi, l'ambizione di dare culturale agli ignoranti   la rabbia per ogni fallimento  di rossa primavera se si riusciva a spuntarla sulla protervia del potere cementato.      Infine l'acquisizione della grande calma, in vista di una nuova  tensione,   immaginarsi vincenti o comunque uniti dalla stessa esaltazione.   E corse o fughe verso l'amore  dandogli sempre l'impronta d'eternità  in quel sole fanciullo    e nel l'irrefrenabile impulso a tenergli testa    i Re Magi che portano doni e i doni si moltiplicano in energia creativa    il Destino buono dalla tua parte    un compimento che aveva sempre del miracoloso tutto gustato e perfetto   un  essere di nuovo a Casa  in quella Gioia che compensava miserie e innumerevoli invidie del Circo umano  consapevole che solo questo era l'esistente da vivere    che fa fuori lo scrupolo    ci ride su mentre gli occhi vedono spuntare fra le rocce le viole, le rose bulgare nei prati e fra qualche pietra.   Nella corsa non conobbi mai l'inibizione di sorta.    Ci si augura d'esserne così anche per l'ultima corsa.   Spero verso il Paradiso.   Sempre a disposizione pur nel suo "inedito" assoluto.   Per il momento mi gusto dall'interno l'immagine di uno stato beato di violette narcisi tulipani e rose. Rose profumatissime.

Mirka
 

 



Spring song"  (  Chopin inedito)



















4 commenti:

  1. Molto bello e corrispondente alla tua personalità. La corsa come simbolo di espansione nella gioia. La percezione d'infinito in quell'ebbrezza un poco folle che è la vita. F..

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  2. Si F. Corrispondente a me. Ebbrezza vera che consapevolmente sa di ogni mutazione e sempre consapevolmente l'accetta mentre le si illuminano gli occhi nel ricordare cosa può essere l'Eternità. Felicità-Quiete. Mirka

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  3. Si corre tanto per cose che non vorremmo,tu hai scelto la corsa migliore. incontro alla vita. Bello veramente.alla fine ricorderai solo questo. Ornella

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  4. È così. E sarà solo quello che ricorderò. Mirka

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