fiume

fiume
fiume della vita

venerdì 31 maggio 2013

LA LUNA E LE CASE












Fu la luna a tradirmi in un tremore diffuso

Unico soggetto che mi riportò alla coscienza
l'astrologia che unisce il cielo alla terra
mentre ancora ne faccio esperienza

sorride il Buddha Suona la campana.


Mirka





"Largo"  (Serse- G .F. Handel)



I

 









lunedì 27 maggio 2013

PERSONE. UN "PICCOLO SIGNORE" NON CREDENTE MA MOLTO VICINO A DIO







ma quando vien lo sgelo le rane cominciano a cantare




"Ci vorrebbe un diluvio di bontà" risuonava all'orecchio di Karinauna voce roca e  vivace, spenta "solo fisicamente" ma viva nel suo subconscio, sorgendo come inusitata presenza proprio  mentre la donna si arrovellava tra l'intrigo dei suoi pensieri per trovare la soluzione a certi perché.   E...eccolo davanti a lei, piccola nel l'allora, avida d'apprendimento e ancora ignorante di tutto. Però quella frase lapidaria l'aveva folgorata come una "verità" assoluta.  Ma il senso profondo lo comprese dopo molto tempo.   Nel presente un martello pneumatico che incessantemente lavorava lavorava.

Autodidatta, di una cultura immensa, onesto sino ai buchi nelle scarpe, artigiano geniale e di stampo socialista.  Questo era quell'uomo che, se conobbe la miseria, mai la scortò di mestizia o di noia. Il suo nome era Giovanni ma tutti lo chiamavano per cognome, Settimio. Anche mia madre lo chiamava per cognome e a ruota pure io.  "Signor Settimio?...Mi dica signor Settimio. Buon giorno signor Settimio. Signor Settimio come sta? Signor Settimio cosa ne dice?...   Tagliava il salame a fette sottilissime perché diceva che era meglio intuire il "piacere di desiderarlo" che averne a sazietà. Mangiarne troppo c'è sempre il pericolo di una intossicazione e allora si che sono guai con il rischio "anche" di voler dimenticare per sempre il "pregiato" salame.        Giovanni creava delle biciclette bellissime e uniche che vendeva a prezzi stracciati, regalandole come se fosse lui a dover ringraziare e non chi le aveva avute in dono. Si spostava con la bicicletta fatta da lui, portando sul seggiolino il suo ultimo figlio (ne aveva avuti cinque e questo era l'ultimo avuto per grazia dei suoi focosi spermatozoo funzionanti alla grande anche in tarda età. Credo fosse sui sessant'anni, più o meno) e pedalava senza conoscere nessuna distanza, felice e, a volte accompagnando la pedalata persino col canto.  Spesso si fermavano. lui e il bambino, nei prati senza traccia di sentieri, gioiendo del sole, dei fiori selvaggi, dei radicchio che raccoglieva e portava a casa come un trofeo, come  per i pesci quando riusciva a pescarlo nel fiume.  Diceva "Oh questi si che purificano il sangue e non fanno ingrassare"  mentre li odorava  e li guardava come un regno meraviglioso di cui "lui" ne era il re.  Ogni tanto reprimeva la preoccupazione di offrire un' istruzione meglio della sua, a quel suo ultimo figlio,a quel l'inaspettato occhio della terra e, intanto pensava vagamente di poter guadagnare qualcosa con le "invenzioni" che metteva a punto con le biciclette che faceva.   Ma le enormi somme non vennero mai. Lui trovava sempre un modo di  rimandare l'invio dei suoi Brevetti perché gli pareva sempre di doverli perfezionare.     D'inverno si soffregava le mani energicamente per scaldarlo lasciando alto, tracce del suo fiato che Karina inseguiva distraendosi dal buco nello stomaco e sognando dentro le circonvolute di quel fiato che sapeva di aglio, di pane inzuppato nel latte, di brina.   Non conosceva cosa significasse la parola stanchezza, quell'uomo, anche se si alzava alle cinque per aprire la bottega e andava a dormire all'una dopo la mezzanotte per aspettare l'ultimo cliente che gli aveva lasciato in consegna la bicicletta fatta da lui, e che tutti chiamavano  signor Settimio.  La sua schiena  era sempre dritta sui polpacci forti per le camminate, le ciclettate e un centinaio o due di flessioni al giorno.  Spesso si spazientiva contro il "mondo intero" oppure perché non aveva fatto giornata coi soliti avventori che avevano dimenticato a casa i soldi per l'affitto della bici...E allora lo si sentiva imprecare "Mo boia d'un mond leder, ma porca la miseria, porca puttana Eva  ecc ecc."   Bastava comunque poco per farlo tornare del suo umore, allegro e buono. Il parlare d'astronomia,della specie umana venuta dalla scimmia, di Copernico e di Galileo e qualche volta anche di Dante.    Non era credente, ciononostante mai considerò con ironia le credenze di altri uomini che costituivano conforto e forse anche un tormento in più con cui fare i conti, un motivo buono per innalzarlo agli occhi di Karina che pensava di  non  aver  mai conosciuto homo più vicino a Dio di lui.

Abitava in un alto casermone rettangolare, col pozzo nel giardino comune, la bottega di meccanico affacciata su quel pozzo da dove a sera, con le mani sui fianchi, si metteva sulla porta  per ammirare il bel faccione della luna coi grilli che scalpitavano per essere i primi ad uscire facendo zittire i merli e i gatti per qualche frittata che leccava l'aria. Ed era allora che i suoi occhi cambiavano colore diventando bianchi come le stelle, da azzurri che erano.  Karina lo vede coi suoi doppi occhiali, chino a leggere i giornali di scienza o gli articoli di politica, a sottolinearne i passaggi più interessanti, e il fiato coi ghirigori, il suo orgoglio tramutato in lacrime, la sua curiosità di bambino, la luce del sole quando poteva filtrare, e lui felice felice di poter immaginare tanto e un poco anche capire, mentre alzando la testa e guardando lontano diceva "Ecco nello spazio dove vivono milioni di astri e di stelle e di pianeti, nel tempo così infinito che io non potrò mai confinare a tempo neppure da intuire,nella materia infinita anche quando si sfalda sino a diventare alimento per i vermi,ecco formarsi una bolla di sapone, un organismo fatto di quella bolla di sapone, durerà giusto qualche istante poi scoppierà. Ecco ciò che siamo. Che sono". Poi chiudeva gli occhi perso in un suo sogno lontano, ma fortemente precluso all'allora  ragazzina che era a Karina.

Amava Turati e Camillo Prampolini i "miei difensori" diceva, anche se in cuor suo, ho sempre pensato fosse più anarchico che socialista, ma solo dentro al cuore, fuori era l'emiliano che sa adeguarsi ai tempi difficili per sopravvivere  restando rivoluzionario dentro.  Un socialismo spontaneo generoso e ingenuo,il suo. Un poco alla Bakunin, insomma, quando cercava di superare le contraddizioni implicite all'anarchismo col "volere"in modo assoluto un determinato tipo di rivoluzione e di società finale e di "non volere", in modo altrettanto assoluto,qualsiasi forma di direzione politica del movimento rivoluzionario per volgerlo a quello scopo; dove la figura del rivoluzionario sia rappresentata dalla passione e dalla generosità, capace di elevarsi al di sopra di ogni vanità personale e familiare, refrattario all'ambizione e all'egoismo, nemico degli oppressori e degli sfruttatori del popolo, in missione permanente al servizio della rivoluzione, mettendo "corpo e anima, pensiero e volontà,passione e azione, con tutta la sua capacità,la sua energia,"la sua fortuna" a servizio dei "fratelli", assicurando agli altri aiuto, sostegno e difesa fino all'estinzione del possibile.  Cosa che faceva sorridere la sua compagna e sposa, di cultura decisamente marxista, mentre Karina restava allocchita e con gli occhi sgranati come una deficiente che beve tutto senza capire nulla.

Karina si ferma incurante del piede infossato nella terra ancora umida dalla pioggia di ieri rievocando scena e parole.  E si domanda come mai un sogno così bello come quello di quell'uomo non abbia potuto trovare la strada per allargarsi e diventare prassi di vita.    Sovrappensiero si avvicina a una rosa. Troppo alta perché lei si possa  incendiarsi del suo profumo. Per forza, si è dimenticata di potarla nel tempo giusto.  Allunga comunque il collo e lo tira come fosse l'elastico che non è, e invece della rosa si becca un graffio da una spina. Quasi impreca anche lei come faceva quell'uomo. Si succhia il sangue. Ha uno strano sapore dolciastro e che le ricorda il sapore di etere che le restò in bocca una settimana quando fece l'appendicite. E pensare che sono passati tanti anni!   Le ha lasciato delle tracce sul dorso della mano "Acqua brunita" si dice,"Ma che sarà mai se si mescola a qualche lacrima che non è riuscita a trattenere?  Anche questo, a breve sarà solo un ricordo di un pic  un poco doloroso e nulla più"   Si avvia verso la porta di casa lasciata aperta e che ora sbatte. Con due falciate è lì. La chiude e ancora ricorda. Una canzone  incisa su un dischetto di plastica trovato insieme a una rivista che "lui" voleva sempre ascoltare, cantare, incitandola a fare altrettanto. .  Improvvisamente la donna  si ricordò dei panni stesi e corse a ritirarli.  Negli occhi l'immagine di quel "piccolo signore"  forse un poco troppo originale, che imprecava a volte contro il mondo intero, i suoi capelli tirati all'indietro, la voce un po roca ma sempre allegra, seria  solo quando affermava "Ci vorrebbe un diluvio  di bontà".  E  Karina che non piangeva mai quando era sottoposta a dure prove, di fronte all'immagine lontana e mai sbiadita di quell'uomo, le versò come per bellezza da trattenere al cuore, mentre sentiva totalmente la verità assoluta racchiusa dentro la frase di quell'uomo che tutti chiamavano con rispetto,  Signor Settimio. sussurrandosi piano e senza nessuna impressione di fargli il verso le stesse sue parole, serie, velate solo da un poco di malinconia.  "Ci vorrebbe un diluvio di bontà". E questa era la sua realtà che anche Karina avrebbe voluto. Importante, oggi, più di una qualsiasi invenzione


Mirka




"Mattinata"" (  R.Leoncavallo)









Nota- Ovviamente il cognome Settimio è un cognome farlocco per l'ovvia questione di privacy







sabato 25 maggio 2013

MARIA ALLO (nel mio cassetto stan chiusi)




L'amore è la chiave cosmica del mistero dell'universo. Forza e carica.




Ho conosciuto MARIA ALLO in rete. Qualche tempo fa. Ero un poco annoiatama come sempre svelta a cogliere qualche punto di bellezzadi novità, un qualcosa di veramente originale.
Il suo blog era sulla piattaforma di kataweb e, l'argomento che lei trattava, credo, fosse su Cesare Pavese. Mi colpì la delicatezza usata da lei per avvicinarsi all'intreccio complesso di una vita di cui se ne percepiva come baricentro emotivo ed esistenziale lo sconforto lucido e, quindi fallimentare, di chi si sente escluso dalla normalità, pur avendone tutte le qualità naturali (tenerezza, affettuosità, disponibilità) per realizzarla. "Perché la cosa più segretamente temuta accade sempre" .(C. Pavese)  Lessi in un fiato l'articolo, ho commentato (come faccio sempre quando qualcosa mi tocca l'anima e la fa rabbrividire) e...continuai a seguirla nel post che fece seguire. Penso si trattasse di Oriana Fallaci. Una scrittrice che conobbi e con la quale per un certo periodo ci siamo scambiato degli scritti, in amicizia, stima, lealtàGiornalista coraggiosa e audace che seppe andare controcorrente e cambiare restando fedele alla sua onestà intellettuale, forte interiormente da celebrare la morte intuendo là nella realtà d'ogni giorno, della lunga malattia.  Anche in quell'occasione lasciai un mio segno.  Sempre più affascinata, continuai a seguire Maria in quasi tutti i suoi spostamenti sino al suo ultimo blog. Un blog strettamente legato alla poesia  http://nugae11.wordpress.com/

Maria Allo nata a Santa Teresa di Riva (ME)  vive a Riposto (CT) Laureata in Lettere Classiche presso l'Università di Messina e docente di Italiano e Latino in un Liceo della provincia di Catania.  Ha scritto numerose pubblicazioni antologiche e la silloge "I sentieri della speranza (Gabrieli, Roma). Cura diverse edizioni della manifestazione "Artemare" di Riposto ed è redattrice di "Aetnascuola".  Numerosi riconoscimenti e Premi anche Internazionali. (Nel 1983 - 1984 il Premio "Casentino" indetto dal Comune di Firenze e il Premio "Giuseppe Sciva" di Messina Sempre nel 1984 il Premio "Etna d'oro"-Oscar Sicilia" nel 1985 il "Gran Prix Mediterranée" indetto dall'Accademia d'Europa di Napoli, nel 1986 il secondo Premio "Città di Boretto" in collaborazione con l'Associacion Cultural Italo.Hispanica. nel 1987 il primo premio exaque per la silloge di poesia  dal Centro di Cultura "Pensiero ed Arte" di Bari;  nel 1987 il gran trofeo mondiale "New York" USA per la poesia indetto dall'Accademia del Fiorino di Firenze. Alcune sue poesie sono state lette e commentate su Rai Notte nella trasmissione Inconscio,magia e psiche curata da Gabriele La Porta.  
  
Tanti e molti ancora sconosciuti riconoscimenti in addivenire per sentirsi sempre in debito verso questa forma di Bellezza che un tempo si diceva essere il linguaggio degli dei..

Che dire, da parte mia, se non provare ad esprimere la commozione per questa voce limpida e toccante la meraviglia di un'umanità che sa rinascere come da Fenice sulle ceneri di questo tempo urlante e confinato alla mediocrità, che non conoscerà mai guizzi di pura gioia nel elargire quel kalos forse guardato con sufficienza dai più, ma che per quegli altri sono invece uno sprone ad essere diversi lasciando tracce di luce che i "simili" vedranno e a loro volta faranno, scavando dentro di se, altra luce che aspetta, nella gioia che esalta la vita possedendola per liberarla come uno splendido gioco d'artificio.  Questa poetessa dal  linguaggio poetico anti tradizionale, dall'ambiguità semantica, sulle inversioni sintattico-metaforiche e sulla disgregazione della strofa e del verso (Ciò che fa male- Se questa primavera-Disfasie- Al mio Pensarti-) è vita permanente di uno spirito rivoluzionario mai acquietato, mai assopito dalla falsa pista di un "accontentarsi" momentaneo e consolatorio quanto illusorio, ma destinato a incidere a fondo sull'uomo (su di me l'ha fatto) stimolandoli a percepire un "nuovo" e diventandone promotore e motore in cui tutto E' senza la pena dell'inquietudine del suo contrario, che scava con febbre dal suo subconscio e dal l'irrazionale, immagini di una bellezza che non hanno l'uguale, in flussi e riflussi, proprio come il suo mare di Sicilia che cambia con un "nonnulla" senza per questo alterarne la limpidezza del fondale, pure se avvolto da una luce crepuscolare e popolato da sogni, di voix jamais cachée, nell'ansia di comunicare a tutti gli uomini delle "vérité pratique" cantando la gioia della terra quando la si lavora "insieme" come "dovere primigenio", per in seminarla oltre lo stesso concetto della morte, oltre la stessa sua "fisicità".  Anche l'assenza dell'interpunzione è respiro che porta  avidamente a cercare la chiave di quel fervore creativo e spontaneo di questa poetessa, negli aneliti di quelle "possibili armonie" scalzando ogni ambivalenza sintattica.

Forse sarà per questo che nel mio cassetto stan chiusi i suoi versi  "RIFLESSI DI RUGIADA"  (Ed Albatros),  il "De rerum natura" di Lucrezio e un libro di  preghiere.

Mirka





Pubblicato il aprile 21, 2013 da Maria allo




ciò che fa male è peso perdita
naufragio vociare incessante
in una notte
dispersa a troncare cieli
dentro un fuoco di morte
a frugare macchie nere di lava nel sole
a schiacciare ogni seme di noi sulla terra
sulla nostra terra
di occasioni perdute
che non si ferma o ascolta più
la sua appartenenza
*
ciò che fa male è l’acqua
quando riflette un volto sconosciuto
tutti ne portiamo l’impronta
a colori ed in bianco e nero
il flusso del sangue
le dimensioni
m.a.




Pubblicato il aprile 17, 2013 da Maria allo

1


se questa primavera trasformasse voli
in nubi di candore
un’altra verità schiuderesti
in ondate di risvegli sulle mani
senza sfaldare
sconnessi pensieri
nascondono semi di germogli
in stesure di rime
a braccia aperte sradicano radici
di passo in passo
ma penombra a ogni latitudine
fluisce
isolando nei barlumi l’ora del candore

m.a.


Pubblicato il aprile 14, 2013 da maria allo




urlo rovente al mio pensarti
seme tra il bene e il male
come vociare aritmico
cadere inesploso
dispotismo vorace al tuo pensarti
con lunghe mani di briglie soppesate
seme tra inferno e paradiso
come il farneticare nero del vulcano

m.a.


Pubblicato il aprile 18, 2013 da maria allo
2
si scompone al sangue e scivola dai monti
come limo di lava  dissidente
a notte tarda
questa veglia marchiata di distanza
attesa in rimasugli di parole

*
dimmi chi ci risarcirà
*
vuoto malessere  sfacelo
 giustizia ingiusta
una manciata di demagogia
tante crepe e nei cuori il moto
farsi tufo
*

forse un dio nascosto esplora
tra le righe quel tuo grido
forse



Pubblicato il aprile 18, 2013 da maria allo
2

si scompone al sangue e scivola dai monti
come limo di lava  dissidente
a notte tarda
questa veglia marchiata di distanza
attesa in rimasugli di parole

sarebbe così facile
lasciarsi trascinare dal vento
fino allo cima
nel grembo di cieli senza peso

*che tu non sempre puoi toccare

cibarsi di bacche stranite
cercarti in tutte le notti
dispersa – aperta a tutte le visioni
ma brandelli- agonie stagnanti
puntano alla ragione
del sangue
rivoli di rime crocifisse
barlumi di voci
a radere la pelle
*
supina non scendo a patti

*
sarebbe così facile piangere
come al capezzale di tua madre
ma in cima agli alberi
imperfette rime
a rendere ragione del sangue
*
a perdifiato

m.a.
 "Adagietto" (V Sinfonia di G.Mahler)





Le foto sono mie



sabato 18 maggio 2013

FACCIAMO FINTA



Facciamo finta che la macchina non si sia fermata senza darne un segnale di preavviso.       Che l'appuntamento non sia svanito come quando ci si sveglia al mattino e ci si ricorda solo a mezza giornata, che si  ha riso oppure pianto.      Che la prima goccia non sia stata una catena che precede il temporale.      Che il fulmine non sia stato che un cerino da cifrare nel suo finale ad occhi spalancati        Che il bucato steso, sia già stirato e messo nei cassetti coi sacchetti di lavanda.       Che la strada non si sia fatta un panno di foschia fra un sogno decapitato e una realtà fatta di gocce inferocite.       Che il cuore non si sia fermato per interminabili secondi, e poi abbia ripreso a battere come fa il martello sull'incudine.              Facciamo finta che sia stato vero tutto il suo contrario, e che noi si abbia fatto uno sberleffo al tempo, giocando a dadi con la nostra nostalgia, per non essere  stati capaci di non farci proprio niente. Mentre gli occhi aperti nell'ultimo stropicciato di colori imbufalito si chiudono al sonno, la cucina spruzza ancora qualche odore buono, la humus della terra ci dice che domani, forse, ci sarà il sole, e col sole, il nocciolo della prima pesca fresca d'ogni colore rubato al sole, l'ombelico della chiocciola offerto a una promessa che si schiude e tutto è diventato un allegro cicaleccio che nell'abitudine trova il suo conforto familiare e di stagione         Ma si.          Facciamo finta.

 Mirka

"Waltz by the river"  ((Elina Karaindrou)


 





La foto è stata presa da internet

giovedì 16 maggio 2013

LA TENDA.







Forse la vita 
è come quella tenda
che ubriaca ondeggia
quando la scuote il vento

bisbiglia come un testimone di dolore
con  gli occhi rossi di splendore
e sogna di dipingervi la gioia
primigenia fonte che martella ai polsi

vibra e irraggia luce
si ferma e par che dorma
quando la luna appare
e silenzio intorno

oh potessi arrestarla 
quando il fragore 
stremato plasma
quella eternità di sfere

enigma di quel vento 
che la incatena al battere
del mio cuore perso
in perfetto oblio di corsa

oh inseguire le tracce
di quel  pulviscolo che gareggia
col sole e con la luna
e poi svanisce là

dove tutto si allarga
e si risveglia a frutta
per l'uomo che che non teme
l'onda   la funesta cattiveria.


Mirka





Nota: Ieri è stata una giornata strana. Mutante come l'incertezza del musicale da portare al seguito delle sensazioni. (Chopin Mozart o Liszt ?).  Il vento si alternava  a qualche forte lama di luce. Io avevo da fare ma  mi incantava quella tenda che a volte sibilava e oscillava come  in preda a delle misteriose spinte.  Mi ricordava l'uomo quando ha alzato il gomito, ha un dolore o è felice.  Tra una corsa e l'altra buttavo giù delle parole e pensieri, evocatori di quella visione continuamente mutante e che a volte si trasformava in suono. Guardavo i suoi giochi e guardavo su, al cielo,incerta se prendere l'ombrello o no. Solo alla sera ho identificato, con chiarezza, la tenda con l'uomo, enigma fino all'ultimo anche a se stesso,a meno che non dia il "via" a una "sua" creazione.   Bella o meno non importa purché lo si faccia con l'intenzione di fare bene.  E pensavo a tutti coloro che trovano il coraggio consapevole di metter al mondo una vita,  affrontandola con gioia senza curarsi troppo del viaggio e dei suoi incerti, fermi nell'affidare ogni mezzo a disposizione, frutto delle loro capacità, intelligenza, risorse, ma con la speranza che la signora bendata resti loro vicina e benigna guardi ai loro sforzi allungando almeno una mano.









  Liszt's  Ungarian Rapsody n 12










lunedì 13 maggio 2013

E PAREVA






Mi pareva  esser preghiera 
tutto quel coro di uccelli 
per me che pregare non sapevo
nell'ora del nulla.

Mirka

"Time"  (Tom Waits)


 

domenica 12 maggio 2013

AUGURI POLLICINA GRETA








Un fiore nuovo
ha stupito
di meraviglia la terra
pulsa di piacere 
la vita travagliata
dal lungo lavoro
della semina e il solco


mille occhi son lì
le voci trattenute
anche il gatto...
io nell'illusione di un volo
ancora più ardito

Mirka











"Wiegenlied"  (R.Strauss)




sabato 11 maggio 2013

A MIA MADRE NEL TEMPO DI MAGGIO



FOSTI TU  MAMMA A TESSERE OGNI GUGLIATA DEI MIEI GIORNI FELICI .








Un tempo ci sei
e ancora profuma l'aria di rosa


Il grandangolo del DNA
rintocca di vite che s' intrecciano 
nel grande fiume 
mentre strana io resto 
per la fugacità dell'ala

Il tuo nome era Bianca 
e a maggio eri nata
radice di spiga ora rinsecchita per terra inaridita
che oggi si è svegliata è in festa è rifiorita
d'ogni gugliata dei tuoi giorni mano felpata e rossa

girotondo di luci
senza che gli canti il cuore.

Mirka




"Son tornate a fiorire le rose"  
 



 

domenica 5 maggio 2013

UN SORRISO MALGRADO L'INSONNIA,OVVERO L'IMPROVVISO DELLA FOGLIA DI FICO



" Exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor" -Sorga qualcuno dalle nostre ossa come vendicatore (Virgilio)


Era stata lunga la notte per Karina. Quasi che il tempo avesse deciso di giocare con lei a nascondino facendo sue le ore del riposo rubate a Lethe.  Aveva scritto alla luce di una lampadina  piccola fissata alla cappa del fornello, proprio come faceva  quando stava in collegio. Anche allora il sonno tardava a venire, sebbene  i motivi fossero diversi da quelli che stava vivendo nel momento presente. Aspettava trepidante che la "maestra" responsabile della camerata si fosse ritirata nel suo baldacchino fatto di tende bianche e trasparenti, e che diventasse da ombra ondeggiante a manichino steso, per tirare  fuori il quaderno da sotto il cuscino e, scrivere vorace ma con le orecchie puntate a ogni più piccolo rumore.  Il silenzio era fatto di tanti respiri che lei non sapeva distinguere se in essi ci navigasse la vita tranquilla o dei turbolenti singhiozzi che legassero  tutti quei respiri.     Karina si perse a inseguire le circonvolute di quel ritmo strano e irregolare, ma così guizzante nella memoria da permetterle di di viverli proprio come fosse in quel tempo là.  Con un colpo secco ma ben azzeccato come si può dare a una mosca che volteggia tra la testa e gli occhi, diede addio alla bimba un  poco lady alla corte dei miracoli, un poco Janny dei pirati, per ritornare alla notte passata.   Il silenzio era fatto solo dello sfrigolio discontinuo della sua penna sul foglio del quaderno, trattenuto a fatica sul tavolo della cucina.  Ogni tanto uno scroscio di pioggia diceva alla sua penna che non era sola a raccontare i pensieri, le storie.  Da lontano il tuono minaccioso brontolava che anche lui presto sarebbe arrivato a scompigliare tutto quel l'idillio portando paura ma col finale di una fragorosa risata.   Perché tutto sommato la paura sta tutta nell'immaginario e nulla più.  Un sospiro nella realtà, ecco. Come per tutto.  Il sonno sarebbe arrivato nella notte appresso, con la sua benefica perdita di coscienza, l'altalena si sarebbe fermata, ferma come uno stoccafisso dopo le emozioni del volo alto, del volo basso, perché anche gli estremi si stancano per ogni tensione provata e procuratasi, pur permanendo nella tensione il principio del  piacere. Quello del "sentire" più che di conoscere i meccanismi che creano il piacere.

C'erano state tante cose da elaborare del giorno passato e, per capire, Karina  le doveva fissare su un pezzo di carta.           Le aveva fatto impressione una testa raccolta fra delle braccia arrotolate come un utero oblungo sul tavolo .    Aveva conosciuto quella testa quando ancora era audace, forte, ma  piuttosto cocciuta, scorbutica, rude sino alla durezza, ma coraggiosa e dritta nell'orgoglio per aver condotto una vita semplice ma onesta.  Perché lui fu sempre parco nel  suo vivere e alieno da ogni eccesso quanto generoso e  altruista verso chi aveva bisogno.    A Karina faceva un gran male vedere quella testa in quella posizione abbandonata da sembrare rassegnazione au bout della vita nel presagio imminente del suo compimento.    Karina ne aveva l'immagine scansionata negli occhi, e stava male. Ne aveva preso su di se la sua sofferenza,  il rifiuto a non leggere più i giornali, a ignorare la politica, a bandire dalla sua testa ogni accenno di musica o di pensiero.   Lui che era stato così attento a tutto ciò che accadeva nella vita reale, ora non ne voleva sapere più, voleva essere libero di NON pensare. Libero di mettere la testa sul tavolo, libero di urlare, libero d'essere un selvaggio fra i "civili". Ecco quell'uomo che lei aveva tanto stimato per tutto il caldo che trasmetteva al suo passaggio, ora non scaldava più.  Era diventato freddo, freddo come di marmo su cui non passa mai il sole e lei ne aveva provato una compassione infinita, ma anche paura. Una paura come di "vita cosciente" che distrattamente se ne va lasciando in cambio meno dolore a chi gli sopravvive..

La fotografia lasciata sul cellulare con relativa informazione di prossima "fine di carriera" di un'altra persona, valorosa per la sua professionalità, e a lei cara per lunga amicizia senza scalfitture, le strisciò a saetta  dal basso dei piedi sino a su dove si congiunge il cuore alla memoria.    Riguarda con dolcezza la foto.    L'amico porta un berretto con visiera. Lui che non ha mai amato i berretti in vita sua, ora l'ha in testa.  Gli sta bene però.   Karina lo associa al valore che ha sempre un  eroe quando vince la sua battaglia stando sul campo.  "Des malheurs de shaque ètre  est un douleur  palpable,meme un repoussement a mouri"   si sentenziò da sé la donna con un poco di malinconia.

La fede semplice ma profonda  di una donna dell'Est che si accingeva a preparare un cesto pasquale da portare al Pope, l'aveva scossa sino alle lacrime, ma si era limitata a guardare senza dire una parola.

Anche uno spettacolo rinviato ha turbato l'animo sensibile della ragazza.  Per un poco ha fatto anche delle ipotesi sul perché, poi è passata oltre scegliendo la scrittura  rubata al sonno

 Karina ha visto il primo sole entrare dentro la  tazzina o cafè.  Si stiracchia.  Si alza, scosta la sedia e s'avvicina alla tendina che dà sulla veranda.  Schiaccia il naso sul vetro.  Lo sente tiepido come l'umido che le scende sulle labbra e che lei lecca come fa sempre quando qualcosa di familiare le gira attorno come cosa buona.

Una voglia d'assaggiare il prato la prende come un antico male al quale ha fatto l'abitudine, come la dermatite sul braccio sinistro che ha contratto qualche anno fa, forse proprio a causa di un insetto. Mette fuori la faccia stropicciata.  L'aria ondeggia invitante e misteriosa. .  Karina ora può godere di una felicità ritrovata. Persino i pensieri sono volati via. Spariti nella regione del nulla che porta a godere solo dello stato che si ha.   Non pensa perché come mai  il suo viso è rigato dalle lacrime, e neppure vuole saperne le ragioni che l'hanno fatta piangere, come non vuole sapere il perché della tristezza che ha provato nel giorno di ieri, nella notte che l'ha seguito e trascorsa a scrivere in cucina.    Sente l'erba sotto i piedi.  E' fredda in alcuni punti, quasi umidiccia, ma in altri è calda.  Si siede dove il caldo promette la continuità.   "Beata allora che il piede spinto, al varco leteo, più grata riede" canticchia inventandosi la  melodia e una vita perfetta.   Accarezza le foglie che le si fanno incontro, odora le rose trovate in un cespuglio, calpesta delle margherite, gratta con l'unghia la corteccia di un albero verde di linfa, si lascia delicatamente percuotere dal vento che le scompiglia i capelli e si sdraia.   Per farlo fa presa prima con la punta dei piedi alzandoli come la ballerina in quello spettacolo che non ha mai dimenticato, poi allarga le dita come una papera. . E' a terra ora. Incrocia le gambe. Ha raccolto un fiore giallo cresciuto spontaneamente nel prato  e lo tiene in bocca.   Pensa  "Ne debbo raccogliere un bel mazzo, così ne farò un'infusione e farò tanta pipì".   Si distrae per aver visto un'ape intenzionata di brutto a venirle addosso. Corruga la fronte e subito la spiana.  L'ape è andata altrove. Il caldo ora l'avvolge come il vello d'una pecora..  Un dettaglio si presenta vivo nella memoria del cuore, lasciato su un pezzo di carta, scritto d'impulso e trovato in un portafoglio smesso da almeno  tre anni, trovato sempre nella giornata di ieri e intenzionata a ripescato per le sue piccole dimensioni  

Per me era naturale
farti da foglia di fico là
dove si rigenera la vita
eppure TU la inchiodavi 
quella mano
quasi a volermi ricordare
che la croce arriva
al centro del più  bello
e lì ti aspetta 
con le sue braccia aperte
nell'invito a soffrire per crescere
per perdonare quando tutto svanisce
 e non importa più

Ride Karina pensando a quel l'eroe cui l'io ci ha sempre aderito per vocazione profonda d'anima, poi subito   si rannuvola come quel sole che ora è stato oscurato da una nuvola..    Sente freddo e rapida si alza mentre il sorriso le tiene ancora compagnia.   Nel ripercorrere la varietà dei fatti del giorno, aveva trovato anche quel filo di noia che sicuramente l'avrebbe  guidata a  Lethe con un sonno benefico quanto rigeneratore.....

Mirka


"Come spiegarti" (-Milva)
 

giovedì 2 maggio 2013

LA CIVILE SOCIETA'.


...e cercava di capire cosa non andava.Il gatto.



E mò?
scappò al gatto in un flebile miao
anche il collare mi ha imposto
la società civile.

Le sbarre c'erano già
ma io ho imparato a scavalcarle
la corda al collo
 purtroppo ancora no.

E doppio fu il suo flebile miao
mentre il gelsomino profumava l'aria
e qualcosa d'indefinito gli inumidiva il naso.
L'unica verità in quel giorno di civiltà barocca.

Alto si profilava il dente di ciliegia
sfida di un' imperterrita continuità
che si alterna e aggiorna
senza la corda di vergogna..

Questo pensò il gatto e anch'io
nel Primo giorno di Maggio
dove i fiori e la terra respirano insieme
primavere di speranze in un petalo deluse..

Mirka


"Alla Speranza" (  Dai lieder di Mozart)