fiume

fiume
fiume della vita

domenica 29 giugno 2014

ESTATE AUDACE










L'estate son cosce di ragazzi
che gareggiano col sole
piedi sui sassi 
le scarpe a ridere con l'aria

Medita il solitario.

Senza piagnistei
ma se la saggezza del Tempo gli ha fatto scuola
sà che fu audace anche lui
al tempo della coscia
sguainata come baionetta 
che non temeva resa o la morte sul campo
E sa che moderata deve essere ogni bruciatura
quando l'aria si smorza e il sole vince
godere di tutto si ma senza stormi d'uccelli in testa.

Appendice

Una foglia verde cadde ai piedi del vecchio.
La raccolse.L'accarezzò con gli occhi e
come per magia divenne audace estate
mentre una lacrima dava linfa alla foglia.

Si ingemmò e divenne albero altero.

Da lontano le note di una canzone
 tu vuò fa' l'Americano
lo fece ripiegare dentro le  sue spalle strette.
Un brivido lo percorse dalla testa ai piedi ma...
con una tenerezza,tutta umana,tutta buona,

gli affiorò anche un sorriso che solo lui comprese
e per un istante fu pienamente  anche felice.




Mirka




" Tu vuò fa' l'Americano" ( Film -Musica R.Carosone)










giovedì 26 giugno 2014

FRANCO FERRARA UN NOME UNA STORIA













La chiamava principessa. La "sua" principessa di Eboli. Eboli non quella del libro di Storia Sperimentata duramente sulla propria pelle, ma l' Eboli del Don Carlo di Giuseppe Verdi. Io lo chiamavo IL MIO MAESTRO. E quel "mio" rappresentava per me un sentimento di stima assoluta a cui affidarsi totalmente. Credo di non aver mai usato quel pronome personale di appartenenza a qualcuno. Né per mio marito anche se lo chiamavo mio, né per un grande amore. Solo una volta. Ma è Storia di Destino avverso sul quale nulla si può. Sono sempre stata restia a concedere fiducia piena. Parca sino all'avarizia alle sdolcinate del tipo tesoro amore angelo e compagnia santissima. Quindi anche quel l'ammirazione che precede sempre l'entusiasmo, la stima, la fiducia, l'abbandono incondizionato a consegnarsi per lasciarsi guidare, per Lui c'era.  A pelle, e cresciuta durante tutto il nostro percorso. E insieme a tutto questo, la gioia, la spontaneità, l'essere me stessa in tutte le sue forme. Ed era naturale, per me, quando ne intravedeva da lontano l'ombra, lanciare all'aria e a gran voce (col timbro naturalmente ricco di armonici forse dovuto agli zigomi alti regalati da Madre natura) la parola Maestro, corrergli incontro, abbracciarlo o infilare con gesto naturale il braccio dentro al suo. Ovviamente con rispetto. Quel rispetto che teme il sacrilegio per ogni mancanza anche quelle involontarie, uscite così e le tiene d'occhio con l'attenzione vigile che si dà al più esclusivo gioiello avuto inaspettatamente in dono. 
Ciononostante la mia anima era sempre in tremore mentre si osservava a coltivare l'utilità di quel tesoro, per non sbagliare. A venirmi in soccorso fu sempre comunque il mio istinto sicuro che non permise mai la più lieve ombra che si frapponesse a quella luce piena di splendori . Era lui, l'istinto, che costantemente vegliava sulla colpa d'essere giovane. Quasi un'adolescente fatta adulta con un buon anticipo sui tempi, e per rigore disciplinare d'ambiente che mi educò senza mollare un attimo la presa. Così con la più autentica gioia si accingeva a imparare e con scrupolosa serietà si esercitava per mettere in pratica tutto ciò che avevo capito. Strano come anche a distanza di tempo, sia possibile affermare che non mi fu mai difficile comprendere ciò che stavo apprendendo, anzi pareva essere il prolungamento di una cosa mia che non sapevo d'avere ma che mi era stata rivelata. Dio che felicità quando potevo dimostrargli, coi fatti, che stavo operando proprio come lui mi aveva suggerito guidandola su quell'esatto sentiero che prontamente e attentissima stavo percorrendo! 
Non era di molte parole il M. Franco Ferrara, ma nella profondità di quel poco c'era l'essenziale di quello che era necessario sapere. Stava poi all'apprendista il compito di scavare, impegnarsi a trovare altri agganci per sviluppare del suo ancora avvolto dalla nebbia e arricchito da quella guida straordinaria e sicura. Interessante analizzare a posteriori quel legame che così profondamente incise il mio viaggio cominciato da poco. Io desiderosa di conquistarlo, sedurlo e affascinarlo in tutti i modi possedendo lo con quel comune "mio". Insomma da libera e selvaggia com'ero e come sono, avrei venduto l'anima in cambio della sua prestigiosa protezione ma restando me stessa. Io la "sua"allieva, lui il "mio" Maestro. Due persone alla "pari", un cammino "parallelo".  Incredibile ma questa era la realtà percepita allora e che sento nella pelle adesso.  Lo si riteneva inflessibile sul comportamento che doveva unire moralità e senso etico, nelle sue ricerche di assoluto da esigere a tutti coloro coi quali aveva a che fare, allievi e persino maestri già affermati, intimorendo non poco  (si dice, che anche Karajan fosse  preso da nervosismo quando sapeva della presenza di Ferrara), eppure per la mia brevissima esperienza di lui e con lui, posso solo affermare che mai dolcezza più autentica fu racchiusa in quella esigenza di assoluto. Ogni suo gesto diceva questo, la sua "intensità" parlava dello spirito sensibilissimo che era, dell'Alto senso morale che lo animava e che superava di molto i "limiti" del civile, spesso così facilmente imbevuti di ambiguità o sfumati per la ambiguità. Anche questo sapeva il mio istinto pur senza comprendere veramente che la felicità che provavo dipendeva proprio da questo. Adesso so che per vivere,  vera e piena, avevo bisogno di questo, anche solo progettando un'idea per il suo addivenire reale. L'intensità dato dalla assoluta reciproca Fiducia. 

 Come ogni genio  (violinista organista pianista compositore direttore d'orchestra ) il Maestro sapeva raccontare quel tanto da infiammare l'immaginazione che per me aveva il potere di un rito. Un rito iniziatico. Un vantaggio enorme per  una  giovane donna assetata di grandezza come ero io allora.

In seguito... venni a sapere che il Maestro soffriva di una misteriosa malattia nervosa inspiegabile ad ogni diagnosi che lo aveva costretto a ritirarsi al pubblico per dedicarsi a Corsi di formazione orchestrale,composizioni,direzione di colonne musicali per film,ecc. Sodalizio alquanto felice con l'amico Nino Rota e di cui anch'io posso vantare  del l'enorme onore della frequentazione,anche se ugualmente breve. Tra i suoi allievi  Riccardo Muti,  Giuseppe Giglio,  Riccardo Chailly, Daniel Oren, Nicola Samale, Eliaku Inbal, Zoltan Pesko, Franco Petracchi, Gian Luigi Zampieri (l'ultimo) e moltissimi altri ancora.
 Era nato a Palermo. Morì a Firenze a 75 anni stroncato da una crisi cardiaca.  Da poco aveva ricevuto il premio "UNA VITA PER LA MUSICA" accolto dal Maestro con queste parole "forse non lo merito neanche. In tutti i modi ringrazio. Io non so parlare in pubblico. Farò un grande inchino. Non posso neanche dirigere un pezzo per ringraziare".


Una delle più alte lezioni di umiltà che solo gli spiriti eccelsi e liberi dalle pastoie e dal ciarpame della vanagloria possono impartire a chiunque abbia l'orecchio spalancato per accoglierne l'insegnamento. A me l'obbligo di riconoscere il trionfo eclatante del Don Carlos nel ruolo della principessa d 'Eboli dovuto unicamente ai suoi insegnamenti. Per tutti un patrimonio vivo perché non si disperda.


 Perché non è vero che la morte celebra il possesso definitivo della persona ma è solo un'ascesi" di un processo che continuerà a vivere e che mai si identificherà con la morte.

 Così io ricordo
 Le mie meravigliose "Vacanze Musicali" a Venezia. L' essere rivelata a me stessa con una guida così preziosa. Il personale dovere a tenerla viva e presente affinché la speranza possa diventarne sostanza dinamica della continuità di un valore purissimo cresciuto sulla roccia della più rigorosa moralità senza che si alteri la pelle neppure sfiorandola come si fa con un fiore profumato.


Mirka


  "O don fatale"  ( Don Carlos -  G. Verdi)




NOTA: Perché si scrive?... Mi viene alla mente la domanda che posero alcuni blogger sui loro blog tanto tempo fa. Dopo gli anta, e io li ho superati da un poco, non è certo il narcisismo che fa muovere la penna. No. Assolutamente no. O invece si  che  guizza a nostra insaputa in qualche parte del subconscio come quel pesciolino rosso visto nell'acquario di Disneyland non molto tempo fa!?...  Magari sarà anche una vecchia abitudine quella di mettere il nero sul bianco, felici di  farlo leggere a qualcuno che l'istinto dà per certo che lo apprezzerà, ma ho la propensione a credere sia piuttosto la necessità di dipanare il fitto del telo che ha formato la nostra esistenza per rilevare a noi qualche angolo restato ancor nel buio. Senza remore e nella cruenta di qualche verità riemersa a distanza e che noi  si ignorava. Oppure per evitare che qualcun altro 'saccheggi' quello che non sa e pensa essere come l'ha sentita lui. Oppure per vederci come eravamo un tempo e come siamo ora nella dinamicità di un interno che non è cambiato o forse un poco anche si. O perché qualcuno si incuriosisce e senza pressappochismo sia tentato a fermarsi su un dettaglio di quel puzzle strano, particolare e complesso per ricomporre buona parte di un disegno significante con dei tanti possibili, senza la pretesa di obiettività ma dentro la luce di una diversa comprensione data dalla lettura.  Perché fin che si esiste "materialmente" ,  gli equivoci possono essere inseparabili "amici"  (si fa per dire) anche dentro le case e davanti a un profumato piatto fumante. E infine perché si amano le biografie.  Tra i miei molti interessi continua a vivere anche questo piacere del quale non ne ho mai fatto nascondiglio. Un caro saluto a tutti.













mercoledì 25 giugno 2014

LA INUTILE ELEGANZA DEL RIDICOLO





 Un rivolo rosso sgorgò dalla bocca

 o dio son morta e non lo so 
 dissi guardandomi dall'alto di una nuvola

 sdentato rideva  un cocomero
io ridicolmente vermiglia nella eleganza di un bon ton

scongelata dai brividi vinta la paura
restò solo il rossore di una povera superbia


 Mirka




"Come sei veramente" (Giovanni Allevi)

 













 iova

domenica 22 giugno 2014

ALBERTO ZEDDA OSSIA LO STRAORDINARIO A TEMPO DETERMINATO









Aurora sfrugula nel suo archivio di memorie e come sempre cerca di mettere insieme qualche pezzo del mosaico che rappresenta la sua vita.  Ascolta della musica alla radiofonica, e butta un pensiero su un blocchetto  trovato sotto gli occhi.  Un pensiero che frequente le torna. I quaderni sono finiti e la carta per la stampante pure. È serena anche se da qualche giorno un ragionare tra sé e sé la distoglie da ciò che aveva in animo di fare.  Le azioni.  Quelle che restano intenzioni chissà a cosa porteranno, si domanda alzando le spalle. Anche il tempo è ballerino e non aiuta.  Il telefonino squilla più e più volte interrompendo il filo di quel tempo che sta ostinatamente inseguendo. Sono amici che desiderano sapere di lei, ne percepisce l'interessamento sincero così risponde. Intanto però il lampo che avrebbe dovuto fissare una parola svanisce. Lo ritroverà?  La sua attenzione si ferma sulla punta del suo piede. Ha messo lo smalto corallo, quello che solitamente mette all'estate, ma le si  è rovinato per la fretta di mettere i sandali. La fretta! Così congeniale ai suoi "tempi giovani quando la vita le urlava dentro come un vento d'aprile!  "Non cambierò mai " si ripete mortificata perché sta facendo proprio di tutto per cambiare quella sua stranissima smania di fare più cose insieme, quasi a non voler perdersi nessun attimo di vita ma... Non le va di rimettere lo smalto. Troppo tempo per asciugarlo, lo farà dopo. Ora si metterà dei calzini arancia e sostituirà i sandali con delle scarpe comode.  Ha visto un negozio, ha visto un angolo che l'ha incantata, ha intravisto la signora del piano di sotto sul cancello  che vuole salutare, ha sentito una gran voglia di quelle ciliege nere di Vignola viste nel negozio di frutta vicino casa sua, ha visto quel magnifico gatto dagli occhi verdi e dal pelo bianco e rame al ristorante del porto e lo vuole rivedere, ha visto...un altro lampo le passa tra capo e collo. Riprende il blocchetto mentre la penna scivola sotto il tavolo, la prende con le dita dei piedi e ride perché anche se si è un poco scorticata è riuscita a non perdere quel lampo. Fra non molto sul suo blocchetto ci sarà  del nero sul bianco. Lei lo sa così ,in quel turbine di sensazioni e pensieri che la felicità è tutta lì in quel dare ordine ai suoi movimenti ora calmi e tranquilli. Inaspettata della musica uscita da un sax tenore o contralto (lo accerterà poi si dice) le arriva dalla finestra aperta. Vorrebbe correre ma non può purché il postino la chiama per consegnarle una raccomandata.  Al diavolo le raccomandate! Quella musica era così bella e lei voleva riempirsi le orecchie di ogni nota. Canzoni di un tempo e persino un inverosimile Shostakovich. Incredula si affretta a finire le ultime cose, (lei non ama lasciare in disordine la casa anche se quando cerca qualcosa ha difficoltà a trovarla come di ago nel pagliaio), s'infila un vestito qualunque, lascia il blocchetto per terra insieme alla biro che nella fretta le sono nuovamente caduti e...eccola nella bolla del sole. Fa la strada di sempre, tituba un poco se prendere una direzione o un'altra, la tentazione verso quel gatto bello è grande ma l'orologio non è in sintonia coi suoi richiami felini. Ha un appuntamento per l'ora di pranzo. Il sorriso comunque le resterà appiccicato.



Per certe persone la vita è un concatenamento di avvenimenti non so se creati da un'energia che si auto genera in modo misterioso o anche sotto l'influsso degli astri attirando sondando le forme di vita più insolite quanto incredibili, o se invece sia una predestinazione alla quale si sia aperto tutto il nostro essere percependo essere  portatrici di verità. A volte però, capita che ciò che si forma sia superiore alle personali risorse del momento. E questa è la prova impari di rapporti/resa/incipit/determinismo in cui si richiede un coraggioso investimento di quelle risorse di cui non si è a conoscenza ma  che sono tali da rivoluzionare  noi stessi portando al l' esplorazione col più grande entusiasmo. Entusiasmo che prontamente si comunica anche agli altri. Dobbiamo essere comunque disposti ad abbracciare l'inaspettato in modo coraggioso e vivace accettandone la complessità del l'insieme. La scelta del rischio ci porta inevitabilmente a un bivio, dove da una parte sta in agguato il pericolo del fallimento e quindi di una caduta, oppure accettarla, privando a   viverla come prova da affrontare e sentendolo come una possibilità da sfruttare che ci permetterà di conoscere quello che ancora non sappiamo di noi e degli altri,con la profondità dell'impegno, col "desiderio" di capire quello che ci sta succedendo. Al tempo stesso però ci sono anche i tempi storici non coincidenti che  possono inficiare il coraggio, l'entusiasmo, il momento, la fiducia. Spesso a me capitò di trovarmi davanti a un bivio dove la scelta s'imponeva immediata e senza troppi tentennamenti, si che mi trovavo nel vortice da  gestire come si poteva. In me è sempre stato l'istinto, o almeno ho sempre creduto fosse così, a  padroneggiare ogni resistenza dovuta a condizionamenti o a un respirato provincialismo che percepiva essere anche fra le persone più acculturate. Non è mai facile andare contro corrente, uscire dalle norme della collettività, opporsi senza spiegarne il motivo. Eppure la consapevolezza che l'intelligenza fosse altra, la conoscenza quel qualcosa in più che il blabla bla della ripetizione di formule e conti alla mano, mi portò sempre a cercare la vita e le risposte a ciò che fermentava dentro di me come una risonanza prenatale tramandata e che trovava lo spazio giusto per espandersi proprio là
dove gli avvenimenti si concatena vano formandosi come un grande occhio di alieno e che io dovevo visualizzare senza  timore e  come un'opportunità straordinaria da vivere qualsiasi fosse il risultato. Così come quella volta che, fresca di diploma e di un master al Theatre Royal La Monnaie a Bruxelles incontrai il m. Alberto Zedda.   E voilà la Milano  che accoglieva come il  figliol prodigo che si aspetta da sempre.

Tutto fu facile all'inizio. Tutto perfettamente e armoniosamente inquadrato come le caselle di un puzzle di cui se n'è fatto esercizio solo per il piacere di scommettere la riuscita dei tempi. Credo dipendesse da tutte quelle energie concatenate e concentrata a un unico obiettivo, dall'angelo Custode rappresentato da mia madre, vigile quanto può esserlo chi tutela un cucciolo e ne ha cura e acutissima attenzione. Gli alberghi ad es. sono ombre lunghe per chi è ancora ingenuo, pieno di vitalità e di entusiasmo. Come quella volta di prima fermata a Milano quando cercarono di forzare la serratura. Brividi. Sento ancora gli urli da belva  che difende i suoi cuccioli di mia madre e il suo scatto felino, il tamburo del mio cuore, i passi affrettati, il mio stringersi a mia madre.
 Non seppi mai da dove venissero tutti quei soldi necessari per il proseguimento dei miei studi, per la permanenza a Milano o all'estero. La mia era una famiglia onorata, stimata, rispettata, ma modesta. Comunque è risaputo che l'amore, ogni Amore e non solo quello materno, è il solo capace di dar vita fresca agli stagni, a farli guizzare di pesci, a fare miracoli, a cavar fuori acqua pulita e frizzante anche dalle pietre. Così adesso come allora non mi chiedo nulla. La FELICITÀ era tutto quello che mi bastava sapere, per capire che il giusto stava nel suo fine buono. A volte ricordando quel tempo, il mio volto si adombra come un cielo limpidissimo attraversato dal grigio di una nuvola, per riaprirsi subito al l'incontrastato trionfo di luce. Anche adesso che mi sgorgano a coppia grossi cristalli, nulla adombra la felicità piena sentita in quel tempo. Era il mio "bene personale", se ne godeva e mia madre strettamente intrecciato a quel sentire felice. In entrambe scorreva  quel filo comune che porta alla gioia. Quella che fa spruzzare luce da tutti i pori e rende bellissimi i volti. Insomma tutto invitava e ammiccava a credere possibile ogni attraversata.     E bastò un semplice clic di telefono per trovarsi davanti il maestro Emilio Suvini direttore artistico dell'A.S.L.I.C.O, il seguente passaggio a un piccolo delizioso appartamento, indicato dallo stesso, da dividere con un'amica, l'entusiasmo prolungato a multiplo denominatore col M. Loris Gavarini (dir. stabile dell'allora orchestra di san Remo), felice di aiutare con le astuzie necessarie per affrontare il difficilissimo campo del palcoscenico. Fu proprio Anna, la ragazza con la quale divideva l'appartamento e le relative spese a  presentare il M. Zedda. Casualità che avrebbe potuto diventare un'autentica vincita alla lotteria da sbancare lo Stato, se non ci fosse stata la tournée in Germania  prolungata più del dovuto, l'appendicite del maestro Zedda, la gelosia dell'amica (scientificamente cattiva, vigliacca, e Invidiosa) che abilmente e subdolamente ha depistato, falsificato firma e contratti, ( ci furono vent'anni per pagare le penali per inadempimento impegnato col teatro),  rendendo tutto intricato e tortuoso ciò che avrebbe dovuto essere una strada  naturalmente dritta.  Elementi che, insieme concorsero a recare un danno inestimabile all'operatività del progetto. Perché quando fece ritorno in Italia, svuotata di tutto, vano fu il tentativo sincero e intenso di spiegare a Zedda il perché del mio ritardo e com'erano andate le cose. Andai a casa sua. Cortese  come sempre mi ascoltò ma l'incoronazione di Poppea di Monteverdi che avrei dovuto incidere per lui, era già stata assegnata a un'altra.  Da che dipese?  Le circostanze che da favorevoli si erano ribaltate in sfavorevoli, dal principio di casualità di avvenimenti non modificabili perché non preventivati, oppure da un mio errore di valutazione per cui anche la scelta dell'azione, che in teoria avrebbe dovuto portare a un danno minore di quello che nella pratica si mostrò, risultò essere irrimediabile e castrante per l'obiettivo da raggiungere? Eppure in cuor mio so che quella era l'unica possibile scelta che la vita mi offriva. L'unica per la necessità del momento. L'unica scelta che potevo fare in quelle circostanze.  Smarrita telefonai all'unica persona sulla quale sapevo di poter contare, che mi avrebbe capita e che non mi avrebbe giudicata. Mia madre.      Le ripercussioni furono di non lieve entità. Mia madre rimediò facendo tutto quanto era in suo potere fare. Io attanagliata da una forte depressione stampata anche sui vestiti non mi restò che far ritorno alla cittadina natale e lì aspettare. Attesa apparentemente passiva ma vincente per altri avvenimenti che stavano lavorando a mio favore, e a favore di un entusiasmo ritrovato. Un concorso internazionale  di polifonia vinto alla RAI e un contratto a tempo indeterminato in tasca. Casualità e scelta che mi portarono sempre e comunque a mortificare altre ugualmente preziose forse ancora più importanti.         A volte mi chiedo quale peso abbia il "libero arbitrio" sul nostro cammino, o se invece la scelta azzeccata sia dovuta a un momento in cui la dea bendata ti da il braccio e ti cammina al fianco, volubile e capricciosa come la diva di turno che incurante del film ti pianta in asso e ti lascia sola a districare gli eventi già predisposti alla perdita o alla vittoria, a meno che....non sia la nostra determinazione a scegliere d'essere la dea "aperta" pur nei tempi relativi predisponendo ci ad accettare quello che si è, e comprendendone l'intreccio, anche se velato, essere noi l'amico, che tranquillo rema e non si ferma sin quando non arriva in porto.  Un pensiero si ferma su ciò che lasciò detto Schomberg a tutti i nuovi musicisti "Le condizioni del sistema sono contenute in quelle stesse condizioni che lo determinano, e che in tutto ciò che vive,esiste ciò che modifica, sviluppa e distrugge la vita. La vita e la morte sono contenuti nello stesso seme,e nel mezzo sta solo il tempo,cioè nulla di essenziale ma solo una misura che finisce col colmarsi. Da questo esempio si deve imparare ciò che è eterno; il mutamento; e che cosa è temporale; l'esistenza."  Rifletto con la volontà di capire anche il perché mi sia sgusciata dalla testa quella frase associata a questo ripercorrere i fatti dentro la memoria del cuore.  Forse ogni avvenimento nasce in virtù e per virtù di insegnarci qualcosa. Per l'artista (categoria alla quale so di appartenere), l'incipit per creare un inedito nuovo a lui stesso e straordinario per l'azione che ne scaturirà, "giusta" per le circostanze che gli e l'hanno permesso, "giusta" perché si  ha compreso. "giusta"  perché così dev'essere.  Andando incontro ai nuovi avvenimenti prodotti da quelli che li hanno preceduti. Mettendosi sempre in discussione, analizzando onestamente i propri errori e perdonando si. Che anche gli sbagli, spesso, sono frutto di una scelta obbligata dalla necessità del momento, dal "fato" o da tempi storici non coincidenti, che se tutto è sottoposto alla legge dei mutamenti, tutto è relativo, libero arbitrio incluso. A meno che non si sia unti dal Signore o dagli angeli come lo fu, allora, mia madre per me, o per chiunque si sacrifichi per Amore  e col piacere di farlo. Ciò che importa  è non perdere il gusto di sentire l'eco che pompa  nel ritmo di un ballo. Fosse anche l'ultimo che si fa per sentirsi vibrare dentro la vita.


Mirka











martedì 17 giugno 2014

BUCHE, STAGIONI.ESTATE








Buca di sole, l'estate

buca di pioggia, dentro la scarpa

Odore di umidi
 ricordo di mamma e la sua terra buona
Il bacio dell'amante
sempre sul piede a lasciare la bella

Buca di memoria zuccherata al rosolio
 passione che resiste a tutte le stagioni

gocce di memorie in dissolvenza
mentre scorrono per scavare la buca.



APPENDICE

Una manciata di ricordi, l' estate
 con guizzi di Antonucci, Pintor, Dalla e il Guccini
 monito chiaro che tutto finisce in buca
 cenere di sigaretta col rosso del puntino
 in memoriale il vivo di quei fiori rossi a vent'anni 
o giù di lì tra cento anni ed in marcia gaudenti
su penna pensiero canzone un poco osé
e il magone a vista al posto del vin brulé.

 Mirka






"Stagioni" (F.Guccini)















venerdì 13 giugno 2014

L'ARGILLA DELL'AMORE E LE FORME DELLA VITA













Mi sono stupita nel rivederti con quella tuta rossa.  Pareva non essere passato il tempo nè i nostri giochi di parole, addormentate solo per essere svegliate dalla battuta lieve che mai ci mancò anche quando le prove erano sentinelle pronte a sparare.  Il nostro fu un abbraccio di quelli che allargano la forza,con la certezza di ritrovare il bene più che la felicità. E sapevamo che questa era la vera legge della vita.  Tu non hai mai perso tempo a differenza di me scialato anche quando facevo finta di lavorare grosso.  Sarà per questo che ogni mese m'infilavo in quel negozietto di calzolaio subito dopo quel baretto dove si consumava due chiacchere e un caffè?.  Non riesco staccare gli occhi dai tavoli,dalle mura,dalle tue sculture sparse qua e là, qualcuna restata sospesa. Degli apprendisti lavorano. Sono adulti eppure si adoperano a lavorare con serena tranquillità. Quella che dovevano usare gli antichi. Ogni tanto alzano gli occhi,si scostano un poco per visualizzare la loro opera da diverse angolazioni,ci scambiamo dei taciti assensi comunicativi,poi riprendono il filo misterioso di un segreto che circola nelle loro mani,io al mio giro sugli oggetti che sanno l'odore del tempo e a me così familiari. C'è silenzio nel laboratorio. Un silenzio dove sprizza l'energia come quei raggi di sole che filtrano dal lucernario e che si fissano saldamente sulla terra.  E paiono  pioggia  caduta per arrivare alle radici della terra. Quella terra che tu ami e lavori e che anch'io amo e tutto mi sembrava preparazione di multiple vitalità concentrate per un'unico scopo e che Oscar col suo occhio da psichiatra avrebbe revisionato benignamente puntando il sorriso sull'unico puntino in eccesso o inconsciamente sfuggito . Ma Oscar non c'è più. Tu piena di lui,dell'amore che Vi ha guidato insieme,dei sospesi che ti ha lasciato in eredità affinchè tu li conducessi per le tue strade dando loro vita. Altra vita. Mi hai raccontato come hai superato e superi le paure di ogni viaggio quando devi prendere l'aereo,eppure sei riuscita a fare la spola tra Nairobi e l'Italia forte di un progetto che fa vincere resistenze e paure.  DONARE tutto quello che si può e darlo con la visione concreta che cresce nel presente  come gradini di  futuro da lasciare agli altri che ancora cercano e non sanno. E ora là hai trovato una grande famiglia con quei bimbi che ti aspettano come il sorso di quell'acqua mai bastante e che tu insieme ad altri generosi e aperti all'impossibile avete gestito con sforzi immensi con la felicità negli occhi.        Continui col tuo stile autonomo e coerente.  L'occhio si ferma su un particolare che mi ha colpito.  Una gamba umana. Enorme. Concreta ma dove vibra un'incredibile delicatezza uscita dalla sensibilità delle tue mani.  Una gamba che sembra staccata da tutto il resto del corpo,eppure se mi scosto un poco,chiudo gli occhi,li apro, sgombro l'impressione che mi ha dato l'impatto con quell'enormità, vi trovo l'insieme,la costante ricerca,tranquilla, il processo unitario. Molto ci ha accomunato. Con una sola di differenza nel filo conduttore dei reciproci cammini. Tu la febbre dell'inquietudine la portavi nelle mani,io nell'anima placata solo dal canto che interpretavo in tutta la gamma della mia duttile canna vocale,nella musica,amica fedele per inesplorate aree di spazio.    Tu non conoscevi la sosta, quella che permette l'ozio e il vuoto,io che sono impastata nell'argilla ha bisogno della frenesia d'aprile,del letargo in piena estate. Mi hanno sempre affascinato queste differenze,sopratutto perchè ribaltavano le leggi dell'astrologia. Tu nata sotto il segno dei pesci,io sotto il toro,sole  di terra ma con radici nell'acqua, tu dentro ogni fessura della creta io spaziando insieme a Orfeo eppure... il mio è sempre stato sogno di stabilità. Quello che protegge e rassicura.            Arte complessa la tua,come complessa è stata la mia ricerca di perfezione. Un esatto calendario fondato su calcoli matematici e la luce che viene dall'intuizione dopo la fatica della ricerca...  Misteriosa,strana,senza idealizzazione,senza metafisica eppure ripercorrente tutti i tempi e trappassandoli. Eppure davanti alle tue opere la sacralità l'ho sempre trovata.  Quella appunto che si prova davanti alla  pura bellezza. Tu non cerchi  qualità estetiche eppure l'equilibrio tra struttura e sensibilità è piena forza nel principio unificatore comune a ogni tua opera modellata a forma d'intero che la dota di una vitalità irreale,un volere (inconscio) di esorcizzare quelle forze distruttrici che parallelamente camminano col bene. Ecco proprio come  hai saputo esorcizzare le tue paure d'aereo e dell'Africa andando loro incontro  con la gioia esplosiva che si prova  quando lo scopo è un sogno BelloBuono da realizzare. Le tue opere sono come te. Svelano "lentamente" solo a chi le sa guardare senza tempo nel loro complesso unitario e, come se ogni scoperta fosse riservata a chi con occhi sempre nuovi esplora il mondo. Uscendo dai propri confini,entrando in strati di mondo inimmaginabili, dentro ogni cultura,razza,umanità,avvicinandosi in punta di piedi come si fa per un bimbo quando si accinge ad esplorare la vita. Come l'argilla macinata dalla sensibilità delle tue mani sicure dove aleggia lo spirito cosmico proprio come faccio io su ogni nota che mi vibra in tutto il corpo anche quando la gola resta chiusa e come sigillata.      È stato bello questo scambio di abbracci dove la vita ha ancora soffiato il fresco della semina in forme misteriose che ha bisogno della notte per sentire quanto il giorno sia...in virtù di quei fili cresciuti nelle oscurità che macina il dolore

Ciao,t.v.b.Mirka


"La mia Africa" (Solo l'Amore può guarire il male che hai)



 

mercoledì 11 giugno 2014

INGANNI OTTICI MA QUANTO PAREVA VERO!













A volte tornano quei lampi e non sai perché li insegui con l'ostinazione che proprio lì ci sia il filo che conduce a una strada principale che non sai che lo sia mentre la tua parte istintuale sa che lo è. Perché l'istinto quando avverte qualcosa che lo riguarda se lo segnala coi pungiglioni di quel riccio intravisto qualche giorno fa in pineta o per le invasioni barbariche lasciate come  fragole urticanti su tutto il corpo da una maledetta zanzara tigre. Penso alle mondine e divento scura.  Le mondine ben conoscevano l'arte cinica e crudele d'ogni tipo d'insetto, così come l 'inutile canto per tenere a bada la resa al dolore di quei morsi tremendi. Però penso anche a une bella colorata feroce orticaria da fragole grosse e rosse ottima per  i ricercatori scientifici.. Il lampo della Wala mi salta a scoppio ritardato e mi propongo la prima farmacia..

 Subito ho  inquadrato un bastone. Un bastone di legno di un chiaro nocciola, lungo come una pertica  di ciliegio col muso da pappagallo messo sotto il naso.  Sfondo del tutto, un supermercato rumoroso di vivace variegata umanità a cui fece seguito una voce. Imperiosa e battagliera ma dall'accento indecifrabile. Questa fu la prima impressione che ne ho  ricavato. Infine lui. Un personaggio d'altri tempi. Da teatro d'élite. Da film che si rivede volentieri in privato e in silenzio. Sicuramente sarebbe piaciuto a Charlie Chaplin e perché non anche al nobile conte  che prese il nome di Totò. Si fece largo col bastone volteggiandolo lievemente in alto.  Ho scarcerato gli occhi e dissi fra me interessante umanità con un Super Peter Pan che tiene sveglia l'immaginazione. Sorrisi e tranquilla ho aspettato il mio turno. Non so che fine fece il citato personaggio, ma mi restò appiccicato il sorriso sulle labbra per tutto il giorno senza sapere perché. La seconda volta che vidi quel signore fu in una strada poco distante da dove abito ora. Stesso vestito da scena, cappello a bombetta, bastone tenuto più per vezzo che per necessità.  Sfaccettato  salutava tutti e tutti lo ricambiavano con autentica simpatia. Entrai nel bar poco distante per il solito caffè. Mi venne alla mente qualche biografia d'artista e anche qui sorrisi.   La terza volta lo incontrai davanti al portone di casa mia. Sorpresa feci un balzo come un anticiclone da rotocalco. Ovviamente questo mio scossone non dovette passargli inosservato se questa volta in  perfetto accento napoletano mi apostrofò dicendo pressappoco così  Penzavo che me vulesse vasà con chist'uocchie puntate a mme. Se avessi seguito la mia naturale predisposizione sarei sbottata in una fragorosa risata, ma prese il sopravvento l'imbarazzo si che, più frastornata che mai, feci col capo un lieve cenno di inchino proseguendo il mio cammino.  Mi accorsi  immediatamente che il sorriso era sparito per lasciare il posto all'organizzazione dei pensieri in tumulto. In seguito fu quasi una piacevole consuetudine incontrarci e salutarsi con un sorriso che io sgranavo con gli occhi. Lui sempre un poco démode, elegante, gentile quel pochino per non passare affettato, restando natura che non conosce acquisti se non per le labbra solcate di ironia cresciuta dalla scuola che insegna la vita e dal relativo disincanto. Io con farfalle cristalline che sghibbiavano gli occhi moltiplicandosi all'infinito. La malinconia concentrata su un tempo ormai lontanissimo, il lampo di un uomo morto che mi amò e che anch'io amai senza saperlo. Una lacerazione profonda data dall'abbaglio della luce che mi trasse in inganno riportandomi a un tempo dove tutto pareva così vero. Pensai. La vita è veramente strana. Prima o poi tutto ritorna indietro e noi a raccoglierne il significato vero non compreso in tempo. Pescatori di perle ormai inutili anche a noi stessi. Forse. Nel cuore bagliori cocenti di malinconia un sorriso piccolo piccolo striato d'argento.



Mirka



Elegy"  ( Op 24 C. min-Gabriel Faurè)


 





sabato 7 giugno 2014

INQUIETUDINI













 Come faro spento m'aggiravo per le vie
 che videro nascere l'orgoglio di un antico Tempo


 Pirata  di forze Ricreatrici come la Bellezza
e ...perduta a rimirarle dentro il raggiar di luci


Non vidi quel gabbiano posarsi sulla testa
così che ci fece il nido tra fustella e fili


Potesse la morte accoglierci così
con lievità di piuma mentre ti prende


Nel godimento della vita quando ancor si brama
 e non sai cosa rumoreggia dietro.



Una qualche ragione ci sarà
se l'inquietudine non cessa di buttare semi 

 sarà quel cristallo sospeso nel volo di farfalla, la febbre viola,
Il colpo d'occhio dato alle scarpe impolverata e non t'importa niente.
 



 

Mirka


Fantasia ( N. 3 Do min K. 397-W.A. Mozart)















 









giovedì 5 giugno 2014

GLI OCCHI CHE FECERO A MENO DELLA PAROLA


















Dentro a un cerchio di persone aspettavo l'autobus che tardava a venire. C'era gente  che mugugnava ignorando tutto il resto. Qualcuno inveiva contro un imprecisato nome senza volto. Altri, per lo più donne, si lamentavano per le disgrazie personali, gli acciacchi, il marito rimasto senza lavoro, la fatica per arrivare alla fine del mese, la tristezza per non riuscire a dialogare coi figli. È stato difficile non lasciarsi travolgere da quei fiumi ribollenti sui quali pareva essersi steso un sudario strappato a tratti dalle urla assordanti che mi riportavano alle orecchie, le mie, talmente pulite da riuscire ad afferrare ogni sfumatura di realtà vera  sommersa o a galla oltre l'artiglio che le vorrebbe mute. Sono stata letteralmente assalita da quella polveriera umana. Imbarazzata per l'anonima forzata condizione che mi aveva investito a dare risposte su cose che mi riguardavano relativamente. Ciononostante mi affascinavano quei volti multiformi sui quali dolore croce e calvario si avvicendavano come un susseguirsi di onde elettriche o su qualche strano rumore a scoppio ritardato. Mi colpì la vista un uomo, alto come una pertica e grosso come un pachiderma dal colore della terra di Siena e dall'odore forte di trementina. Non mi aveva dato l'impressione d'appartenere alla sacra casta del pennello, anche perché nei suoi monologhi più che di colori si udivano feroci litigate col fratello, coi preti, con   sant'Egidio. Poveretto, pensai, gli hanno martellato i piedi e ora la sua testa si vendica immaginando la "pira". Distoglieva gli occhi rabbrividendo per poi riportarli su quel fenomeno vivente . E un poco provavo pena un poco paura. Avrei voluto trovare pronta una scusa per scappare ma...Non ho mai avuta la vocazione della Veronica. né il lenzuolo a portata di mano per asciugare i rivoli di quella schiumetta verde formata a coroncina sugli angoli del labbro, che io vedevo senza dare l'impressione di farlo. Mi è sempre  mancata la parola che tenta la vita sapendola di ingannarla con il doppio stupido della bocca quando dice avete ragione fatevi coraggio perché  sicuramente cambierà.  Non sono mai stata brava a dire quello che gli altri amano sentirsi dire.  A che serve inventarsi una balla di consolazione che sai inutile come i fiori di zucchini mangiati domenica, quando la lama della  disperazione squama cuore, pancia, e volto?  Perché  tutto questo si vede bene, eccome. Ignorare o far finta sarebbe una frustata inferta alla propria coscienza con la quale si farà i conti nel cuore della notte.       Così mi limitavo a guardare gli occhi  altrui senza riuscire a (s)biascicare una parola.  E mi sentivo inutile quanto può esserlo una  "fuori posto"o un pesce consapevole d'essere altro.          Ha sfrecciato una macchina e ha frenato bruscamente. Si è alzata della polvere e una zaffata di monoossido di carbonio ha investito tutti.  Urli corali su  un accordo univoco quanto stonato, mentre a me restava a sfrecciata di ricordo la mia bella carolina (auto)  finita tra i sogni da non svegliare più.

Sopra di me ho sentito la collera di un gruppo d'uccelli. Anche loro sguaiati e urlanti.  Infastidita ho lasciato la manifestazione alle spalle. Oh aver preso l'auricolare per ascoltare Mozart o qualche buon  pezzo di jazz che scalda come il sole di oggi!    Da qualche parte mi pare di sentire il mare.  O è la mia voglia? Però lo sento. Una liquidità apparentemente calma. Così è nel mio ricordo ancora fresco di salsedine e di alghe. Il mio naso spadroneggia su quei richiami  ipnotici e afrodisiaci e, per la frazione di un secondo respiro un'aria che mi dilata bronchi e polmoni.   Un gatto bello come tutti gli arcobaleni visti e immaginati si infila tra le mie gambe. La visione mi toglie la parola, spostandosi a un piccolo spazio dove cresce l'albero di ciliegio,un grande mondo fatto di intrecci buoni e di piste da inseguire con infiniti occhi alla terra e due alle nuvole. Duole sempre un poco pensare a un territorio che mi apparteneva nelle infinite guerre che lasciavano il corpo graffiato si, ma con un' allegria forsennata di presente e dopo a ferite asciugate! Magia di un vedere senza parola questo che mi ha permesso di estraniarsi  da quella rissosa umanità deformata per continue fustigazioni e dentro una realtà che non ammette fughe dentro ai sogni.           Ma il bus tarda e l'Orda del gruppo  aumenta.  Passa un uomo dal passo tranquillo. Contrasta con tutto quel chiasso brulicante. Ha una camicia bianca. Da quella camicia passa un buon odore. Odore d'animale, di doccia quotidiana e non solo al venerdì forse mischiato a qualche goccia di eau sauvage.  Richiami d'occhi su un prato con l'impronta di corpi stesi sull'erba anche senza l'ombra di stelle.         Qualcuno mi urta la schiena. Sussulto mi  si innervosisce,  rispondo male, mi pento.   È così pronta l'esagerazione quando prende l'imprevedibile d'uno strappo.  L'istintiva reazione è la prova di quanto superficiale siano gli esercizi di meditazione, i respiri consapevoli, i massaggi rilassanti, l'abbandono al vuoto.        Poi...l'improvviso di una campana mi riporta allo stato d'equilibrio.  Una piccola chiesa di campagna sempre in attesa d'un viandante per graziarlo d'una fede bambina che magari si credeva persa per sempre, l'Angelus.     Non ho bisogno di sbirciare l'orologio ma involontariamente sento gli occhi allargarsi  in un sorriso pieno e muto.  Da lontano s'intravede il muso dell'autobus.   Cala il silenzio mentre ci si accinge a salire sul predellino. Chi avrà fortuna troverà posto e si siederà, altri staranno in piedi.  Per un tratto ancora saremo insieme, ognuno coi suoi pensieri, le proprie angosce,i fili da districare, il lunario da sbarcare, io non esente da tutto questo, ma con delle bellezze sparse da far rivivere, qualche strofa di una poesia imparata chissà quando e che non ricordo tutta, una funivia di emozioni finite in quei rintocchi di campana.

L'ANGELUS

Si: suonava lontano una campana,
ombra di rombe; 
Via via
si sentì la campana di San Vito,
si sentì la  la campana di Badia
e gli altri borghi, di qua di là,pronti
cantando si raggiunsero per via.

C'era di muti spiriti  nei fonti
un palpitare al tremolio sonoro
ch'empieva l'aria e percotea nei monti
La donna andava con la figlia; e loro
squillò sul capo,subito e soave,
dalla lor Pieve un gran tumulto d'oro.
E tu nascesti Dio da un piccolo Ave...


eri e non eri,
ma poi l'uomo ti vide e ti soppresse
t'uccise l'uomo,o piccoletto grano;
tu facesti la spiga e poi la mèsse
e poi la vita: fa che non in vano
nei duri solchi  quella gente in riga
semini il pane suo quotidiano.

Così diceva tremolando grave
la voce d'oro su l'aerea Pieve
e gli aratori l'Angelus e l'Ave
dissero; e in mezzo alla preghiera breve
la dolce madre a lui venia; non sola;
l'erano accanto con andar più lieve
bionda la Rosa e bruna la Viola.

(Giovanni Pascoli)


Ave Maria"  (Vespers Op 37-S.Rachmaninoff)






Nota: la foto della chiesetta è quella della Bernolda, una frazione di Novellara, quella del mare un mio divertimento irrinunciabile anche quando il cuore è pesante

lunedì 2 giugno 2014

UN GIORNO TI DIRÒ PERCHÈ QUALCUNO CAMBIA




Aliena ma non a me stessa









A volte capita che una natura si modifichi. Sacrilegio eppure...

 A volte capita che dalle oche si estragga solo il fois gras senza ricordare il resto. Visione parziale alquanto ridotta eppure...

A volte capita che si lecchi la Maionese  e invece dell'uovo vi si trovi il sale. Ingordamente  golosi  nell'incauto gesto eppure...

A volte capita di sentirsi avvolti da caldo asciutto.   Ci si sbagliava. Era freddo infastidito da una striscia di sabbia scaldata dal sole eppure...

  A volta capita che la mansuetudine degli umiliati e offesi  si trasformi in chimica carnosa per leoni. Le vene nel cranio anzi che del solo istinto. Incredibile eppure...

A volta capita che da "presunti" bonaccioni  si diventi dei "buoni" rompiscatole. optimum per i rovesci di fortuna. Inimmaginabile eppure...

 A volte capita che da sognatore si diventi grido concreto sfiancato in due senza scosse o impianti di lamenti. Sembra un pizzetto eppure...

A volte capita che un dolore lento e strisciante come una lumaca venga eliminato come un accordo statico sino al suo folle sviluppo coincidente con un tempo incorporato alle vertebre molli di medusa che avviluppa e non ti molla. Un insulto alla  nostalgia eppure...

 A volte capita che l'ironia Salva Vita si muti in sarcasmo da battaglia. È brutto  e snatura se si era altro eppure...

 A volte capita di sentire dall'interno l'urgenza di costruire sulle macerie lasciate dalla guerra una galleria luminosa che funga da guida per arrivare illesi a quella grande casa di selce.   Fu solo astuzia del mestiere di una costante sperimentazione finita in un muro esterno cieco eppure...

 A volte capita che da malta o creta ci si tramutaì acciaio affinchè sfrecci senza indugio su un bersaglio in codice spezzato dall'aria come ala di gabbiano. Un segreto lasciato in eredità  a dei posteri amanti di sciarada eppure...

A volte capita che da Ictio intero ci si spacchi in molecole di frammenti indifferenti per sopravviversi agli appetiti di libidinosi carnivori e vampiri di linfa. Occhi che non videro mai ne la bellezze della vita quando liberamente trionfa,ne la inevitabile discesa di Icaro eppure...

A volte capita di sentirsi guardiani del sole nel suo mistero d'eternità lieve come una pastella  al cervello nel mentre Pirro nascostamente si fa la sua risata non schermata da inutile pudore eppure...

 A volte capita che la giustezza dell'istinto si tramuti in masturbazioni cervellotiche per la ricerca di spunti nei quali collocare l'azione. Inquadratura sbagliata di un mediocre regista che spinge l'immaginazione a giocare fuori scena.  Riuscita molto incerta sicuramente  compromessa  per la impropria prospettiva eppure...

 A volte capita che la lealtà cambi in  materia difterica o in trucioli che le assomiglia. Lampeggiamenti per distrarre la memoria da ciò che non si è e in cerca di una idea nata e sviluppata da una mente che della scienza ne ha fatto l'unico e solo obiettivo eppure...



 A volte capita di aver creduto possibile l'uguaglianza che tiene uniti i popoli come cordata che non si spezza allargandosi a geografia. Ideale che stride sui quattro gnomi che occultamente le tendono il rasoio col potere del denaro che assoggetta e rende docili persino gli stalloni eppure...
 
 A volte capita che un'intelligenza nata per evolversi con la prudenza che non teme bonacce o occhio di ciclone  resti mollusco omologato e morto sulla spiaggia di mastrandè. Per comoda pigrizia,per bisogni di convenienza o semplicemente per molti granelli di polvere tenuti nelle scarpe o presi per oro del Shara. Era intelligenza?  Il dubbio si fa pulcino mentre di speranza si muore trasformati su un'incosciente filo di volontà testamentale lasciata a imperitura inutile poesia eppure...


E a volte capita che la Gioia Cambi In Dolore. Così. All'improvviso. Come ladro che ruba senza sapere quello che troverà. Incalza senza dar tregua la scena di un  ieri che, nella pienezza di una giornata armoniosa l'Angelo della morte sfiorò la vita con le sue ali di falce riportando l'attenzione sulla casualitaà che così spesso governa la nostra vita,la brevità del nostro viaggio terreno.

E io tacqui perchè in me era entrato un nuovo sentire che superava ogni senso della materia di cui siamo impastati. E  anche perchè bisognava tacere. Tacere per non confondere le 'civiltà' di cui si può rivestire anche la morte.   ( Mi accingevo ad attraversare la strada completamente libera di traffico,quando una moto sfrecciò toccandomi la spalla sinistra. Chiusi gli occhi per non vedere quello che un secondo prima avevo sentito su tutta la pelle. Un abbraccio neppure troppo stretto, mi trasse sulla corsia di salvezza e fuori da ogni pericolo ).   Un segno,forse,di protezione "superiore" affinchè potessi procedere il mio cammino nella profondità trasformata da  dentro  tenendo buone quelle civiltà comportamentali. (Il giovane motociclista tremante e con le scuse a testa china,l'abbraccio salvatore quasi da involontario spettatore o di regista a cui non sfugge nessun dettaglio,il mio nella sua lenta camminata verso quel probabile mezzo di morte).

  ?..e fu con leggerezza infantile quella con cui mi accinsi a godere di altre bellezze naturali (Roma non tradisce il suo tempo di regali vestigia a chi le insegue dai banchi di scuola) malgrado il trauma emotivo,la precedente stanchezza delle quattro ore di marcia. Perchè se avviene qualcosa in noi per volere e ordine divino,non dubitarò nel dirvi: all'improvviso sono diventato più apatico nei confronti dei versi. (Agostino)

  Ognuno la  prenda come vuole,non mi importa di nulla. Neppure dell'incipit che mi ha spinto a scrivere questo post. Resta invece la Gioia per un'umiltà che credevo di non possedere,rivalutata a valore fondamentale.

Termino questa testimonianza di metamorfosi con le parole di altri.

 Non piangere ma abbi pietà di me,rapida persistente ombra gettata dalla tua deformità,sorpresa infine perdutamente di te innamorata,l'eleganza,l'arte,il fascino,affascinato da una sciatta mortalità; risparmiami un'umiliazione,sii sincero con le tue colpe; se canto tu rispondi al canto mio...
Io
Non chiedere nulla per non sfigurare la perfezione in questi occhi la cui totale devozione  giace nella pietà del tuo volere;non tentare il tuo giurato compagno-solo come io sono ti posso amare come sei-per la mia compagnia sii solitario,per la mia salute soffri: se canto tu rispondi al canto mio ...
Io   
Non sperare mai di dire addio,poi che questo da molto tempo fu deciso,entrambi ne sappiamo la ragione,possiamo,ahimè,predire,quando le nostre falsità venissero divise,cosa diventeremmo mai,un evanescente brusio.  (Ariele a Calibano da la Tempesta di Shakespeare  rielaborata da W.H.Auden) 

Mirka