fiume

fiume
fiume della vita

giovedì 29 maggio 2014

DUE SCULTORI DELLA MIA TERRA EMILIANA E UN GRAZIE DI RADICI



Due volti. Due artisti. Due amici.




Quando ho fatto ritorno nella mia terra natale, nello zainetto mi portavo un sogno e un progetto molto ambizioso che avrebbe dovuto coinvolgere diverse realtà, onorare i talenti, dar luce a quelli nascosti, a collante, una carriera solida alle spalle, la mia preparazione (seria) attinta e arricchita dall'incontro  con prestigiose personalità appartenenti a diversi campi. ( progetto avviato sotto i migliori auspici, sostenuto dalla generosità di solidi sponsor ((Corrado Torreggiani -Bagnolo,  Leonardo Righi -Reggio E.  Aimone Storchi-  Campagnola,  Banca Reggiana di Novellara,   l'adesione per il seguito della Manodori  Istituzione Banca e Culturale di R .E. ecc, ) poi evaporati.   Questa è la  vita o i Superiori disegni a cui con umiltà bisogna inchinarsi.   Comunque possa essere andata l'esperienza resta.
Come d'abitudine presi a guardarmi attorno con tutti i sensi allertati più uno,(l'entusiasmo, caratteristica anche questa del mio carattere) cominciando a interessarsi dell'organizzazione della vita sociale e collettiva, delle persone particolari e stimolanti ad essere conosciute approfondendone il pensiero, l' anonimo operato.  L'impatto veramente straordinario me lo diede l'allora sindaco  Sergio Calzari. Imponente nel fisico come generoso era il suo orecchio sempre predisposto all'ascolto concreto. A ruota di meraviglia il giovane vice sindaco Mattia Mariani (ora direttore dei programmi di tele Reggio). seguito dal neurochirurgo dot  Marco Ruini, assessore alla cultura e fine studioso della psiche umana. "Ma  quanta grazia in questa cittadinanza!", pensai mentre il mio entusiasmo saltava  sulla corda ricordando la  bambina che ero allora e, abilissima a resistere su quel l'unico divertimento bello, gratuito, sano, e sicuro. Un amico di famiglia e di studi musicali Giuseppe Subazzoli scomparso recentemente, ci tenne a presentare la direzione del giornale locale, "Il Portico" attraverso la stretta di mano di Paolo Paterlini, suo fondatore, dalla rude semplicità che schiettamente raccoglie, compresi il valore storico su cui era impastata la mia terra. Quella schiettezza che appartiene ai migliori della razza emiliana (quel l'antica che seppe combattere per un'ideale spiazzando e sconfiggendo l"invasore", quella razza che ancora sa accogliere ogni "diversità" come bene comune da condividere e scoprire. La mia curiosità continuò autonoma il suo viaggio verso la conoscenza dell'anima collettiva. Camminavo con decisa lentezza. Entrata nei bar per prendere un caffè, un aperitivo, scambiare una chiacchierata, nel mentre chiedeva, si informava, studiava, "percepiva"  il valore scoprendolo dal l'anonimato. In uno di questi bar detto del l'Angolo conobbi Ruggera. Fui presa immediatamente dalla sua gentilezza naturale accompagnata sempre da un sorriso, anche quando il duro faticare l'avrebbero spenta a chiunque. (era lei che faceva tutti quei cannoli allo zabaglione infornati sino a sera perché finivano con la sveltezza della gazza acquattato mentre le richieste premevano). Quante volte l'ha incitata a prendersi un poco di pausa! Lei mi ringraziava perché capiva la sincerità affettuosa con la quale si intrometteva nella sua vita senza che mi fosse chiesto.  Accennava  col capo abbozzando un sorriso triste,  ma cionondimeno il giunco a mille braccia che era, restava pianta frondosa che cammina.   Non passava giorno senza ch'io facessi una puntatina da lei. A me faceva bene, credo lo fosse anche per lei, perché la nostra amicizia prese la reciproca strada consolidandosi nel tempo senza che nessuna ombra si frapponesse a toglierle la felicità della luce.   Da lei incontrai le persone più disparate, sempre un poco a sorpresa Romano Prodi, ( quando gli impegni glielo consentivano, Jimmy Maglia, un regista bresciano col quale continua stima e amicizia, qualche intellettuale milanese di cui mi onora la frequentazione, Grazia Costa una assicuratrice animata da una straordinaria e feroce volontà di vita che ne acuiva la forza con multipli interessi, allargandosi oltre oceano, promuovendo catene di montaggi  teatrali di incroci di mentalità a cui attingere valori, entusiasmo, stimoli. La nostra amicizia è fondata su una stima reciproca, su polemiche spinte all'estremo solo per costruire, sul bene, quello che dimora nella profondità quando nasce dalla prudenza, da una costante semina e dal rispetto.   Allargando le conoscenze, tra una costola e l'altra mi trovai Rossella Eunini responsabile della Proloco e donna di coraggio a cui non mancano le iniziative originali di autentica cultura assurta dalle tradizione di radici preziose. A lei un bacio e il mio plauso.   Marco Villa insostituibile nel suo operare silenzioso per organizzare la vita culturale della comunità. L'incontro che ancora mi accompagna con le Afrodite dei libri (addette alla magnifica biblioteca) Susi, Monia, Cinzia, Stefania.
  Gustato sempre in voglia di corsa, le delizie tradizionali trovate in un piccolo negozio di frutta e verdura situato sotto i portici della città, cucinati dalle mani della sdora, (dio quelle frittelle di cipolla che probabilmente non risentirò mai più se non con l'emozione di immaginazione! ) , attraversai il Diana un supermercato a misura di necessità  d'uomo, situato nella piazzetta vicino alla Roccadove insieme ai prodotti naturali ed economici, spiccano per simpatia data dal buon umore di Romano il titolare del negozio  e Renato l'ufologo-musicista addetto alla macelleria e  ai salumi DOC.    L'intrattenimento con gente comune ma dagli incredibili talenti nascosti o semplicemente non valorizzato come Orgoglio del terreno ricco, come il poeta agricoltore di Bagnolo in Piano che amava i cavalli  Lenin Montanari  ( mi piace questa vita semplice questa luna magica che illumina la notte gelida   mi piace l'odore dei cavalli il silenzio delle loro madri attente sentinelle sotto un cielo di stelle mi piace questa vita semplice questa luna magica che illumina la notte gelida. -  e con l'ironia di uno stolto sono più solo di un binario morto; io senza te ). Feci conoscenza con Elena Carletti ora sindaco di Novellara e alla quale invio gli AUGURI più sentiti per il compito non facile che sicuramente saprà portare alla vita evoluta al massimo. 

E infine  l'incontro col primo degli scultori.


 Mario Pavesi. 



In previsione anche se ancora a livello concettuale, c'era uno spettacolo che avrei dovuto fare. Avrebbe dovuto rappresentare il mio biglietto da visita, onorare la memoria di mia madre Bianca Menozzi staffetta partigiana, consigliera nel Primo Consiglio Comunale d'Italia, e per dare il volo a quel vivaio di talenti in formazione affiancandoli a dei professionisti affermati. Ne parlai con l'allora direttore del teatro Paolo Papazzoni, (persona che non dimenticherà facilmente per la vivacità intellettiva, la simpatia, le discussioni politiche che si concludevano sempre con un malgrado tutto e ciononostante sempre un evviva). Mi parlò di Mario con un brillio negli occhi che non poteva sfuggire alla mia attenzione da guardia papale, così gli chiesi d'essere presentata. L'incontro me lo diede la sua casa, le sue opere, lui.  Fui subito scossa per la durezza del suo volto. Pareva scolpito nella pietra, eppure con qualcosa di intensamente malleabile dentro sempre in movimento.  Di aspetto normalissimo ma con un'energia che sapeva di quel Tempo che tutto raccoglie e trasforma. Un che di primitivo che si è adattato senza perdere la sua materia (forma) originale. Lo guardavo in silenzio trascurando la profondità di quello che mi stava dicendo.  Incredula continuavo a fissarlo come se vedessi  in lui un processo quadrimensionale che poi si sarebbe trasmesso a ogni sua opera come un centro di gravità da cui guizza l'intuizione di un potere in essere, di un'esistenza ideale. Giravo nella sua casa e tra i suoi lavori affiancata alla sentinella impassibile del silenzio. Lì c'era la prova inconfutabile di quella verità  trovata  nella durezza  del suo volto. Una geometria solida con dentro, appunto la mobile materia. Diventiamo amici anche senza l'impegno della frequentazione. Di lui basta informarsi su google o sul bolaffi.

 


   Curioso e strano fu l'incontro con Gianni Bonfà.  Lo vidi per la prima volta a teatro. Si rappresentava una commedia in dialetto e lui era uno dei protagonisti principali. Mi  confuse sino alle lacrime la semplicità che nulla ha a che fare col semplicismo, la profonda umanità che gli luccicava addosso. In seguito ne avrei apprezzato l'intelligenza, la chiara  e misurata capacità razionale, il temperamento focoso, le mani sempre in movimento e creatrici (coltivava un orto, aveva galline e conigli, cani e gatti, mille piante, minuscole e altissime raccolte in ogni parte del mondo  e sparse nella grande casa costruita da lui) e dove l' arte si espandeva in tante forme. ( rapaci, cervi e cerbiatti serpenti, elefanti, gru, tartarughe, scimpanzé, leoni e quant'altro può esservi sul pianeta terra) .Perché nel suo "regno" nasce e cresce la natura libera che diventa forma concretizzata dal l' anima. L'anima del profondo sentimento, quella che spinge l'artista a crearle quasi per immortalare il senso di esserci, la vita che continuamente muta pur restando vita  E cosa veramente strana, paiono vibrare, quelle forme d'animale, d'uccello e d'uomo pur nella loro monumentalità, senza un processo psicologico che le abbia guidate, ma solo e semplicemente dal desiderio di creare la realtà in coerenza ad immagini vitali con la consapevolezza che tutto esiste in virtù e per virtù dell'amore per la vita, l'umanità, la terra.  Sono ancora commossa mentre ne scrivo, come il giorno del primo incontro e, che,  senza indugio me lo fece scegliere come scenografo per il mio spettacolo. A Gianni e alla sua  fedele compagna di vita, Maria, il dono di un'emozione imperitura cresciuta dentro la fortezza solida del mio cuore.



 Chiudo questa testimonianza di gratitudine al mio Paese d'origine, con una piccola riflessione. Tutto è strettamente correlato l'uno all'altro, il contingente al futuro, il pensiero legato all'azione "cosciente" d'ogni  conseguenza relativa all'azione che si fa, l'artista  legato alla comunità e viceversa. Ciononostante se nell'artista non ci fosse la sua determinazione di volontà a dar forma alle cose che sente e vede nei valori eterni che gli  hanno nutrito l'anima come un fiume in piena e consapevole d'essere strumento messo al servizio per il bene comune, non si sarebbero fatti passi così considerevoli nell'evoluzione dell'Homo. L'artista intuisce sempre ciò che spinge la sua mano o la sua voce a fare, a dire, a scrivere,a cantare,anche a costo di non essere capito se non dopo. A faro apparentemente spento.  
   
  Ovviamente la "qui" citata terra non fu nè il paese di un Alice  incantata stabile  su continue meraviglie che, imbroglioni, e uomini di maleducazione ebbi a imbattersi in modo del tutto insospettabile e al di sopra di ogni inimmaginabile pensiero a disonore di verità creduta tale e di stima accordata e infranta per sempre. E  neppure fu profumo di rosa su ogni esperienza...ciononostante le persone citate da me, sono solo una piccola componente delle tante non citate e dalle quali ho avuto e alle quali, credo di aver donato. Fosse pure solo con un sorriso pronto per dire che condivideva e capivo, un canto trattenuto un poco nella gola per il pudore di una mancata perfezione a cui ho sempre cercato di rispondere, almeno come professionista veramente seria.

Mirka






 "Ouverture" (Forza Del Destino- G.Verdi

















































lunedì 26 maggio 2014

"QUELLA" MAGNIFICA CARMEN DI BIZET FUORI COPIONE




La lampada era accesa. La tiene sempre accesa anche quando lei non c'è. La pendola si è fermata. Erano anni che non le  capitava di sentire congelato dal silenzio il suo toc toc  denso e implacabilmente monotono ma che le teneva costantemente compagnia. E ora qualcosa si era rotto nell'ingranaggio dovuto probabilmente al cambio di parete. L'avrebbe portata a riparare quanto prima, si propose la donna senza indugiare un minuto in più a riflettere su quanto le sarebbe costata la riparazione.  Nelle orecchie teneva  l'eco potente e ipnotico dello sciabordio marino della sera prima, e questo le bastò per rimettere in moto il passato rendendolo emozione che artiglia le budella.  Magia di memoria "attiva" che fa rinascere la vita.  Dà uno sguardo distratto al salotto che contiene tutto il suo mondo.  Ne sente il ritmo frenetico sospeso da lunghe pause di ozio, l'irrequietezza senza mèta come da sbronza, la solitudine che tampona con le camminate interrotte solo da qualche scatto di fotografia, la tristezza che smarrisce e se ne va come fa la nebbia quando sale, la percezione di un cammino particolare e strano dove scoramento ed esaltazione si sarebbero alternati come il battito della pendola che ora non sentiva più. Il vassoio d'argento della posta si alzava per le tante lettere ancora chiuse. Le passò indifferente con le dita affusolate.  Mani da filosofa, gli aveva detto un giorno qualcuno. E lei aveva riso senza capire perché mai avesse detto così.  Lei era musicista e aveva fatto esercizi incredibili e dolorosi per allargare le dita e rendere la mano più idonea a suonare il pianoforte e accompagnarsi meglio al canto.   Sorrise alla vista di una lettera color avorio. L'avrebbe serbata per dopo tranquillamente seduta sul divano.   Tolse le grappette a due fogli. Guardò la scrittura senza riconoscere che era la sua. Le capita sovente. Scrive veloce e in ogni inimmaginabile posizione.  Un altro dei motivi per giustificare il male alla schiena che la prende ogni tanto e che le fa ingurgitare un bel poco di aulin perché non sopporta il dolore. Dovrei riprendere gli esercizi yoga come nel tempo dei grossi progetti, si dice con piglio deciso consapevole della promessa che avrebbe regalata al vento. L'occhio le andò alla finestra. La visuale non era più quella del merlo canterino che la svegliava col suo canto.  Alla grande quercia che giocava con la magnolia dando frescura nella Canea estiva come la poppa tenera d'una madre al suo piccino, avevano preso il loro posto file di case che a lei pareva gli entrassero da ogni angolo della sua, se svelta non ne avesse protetta l'intimità con la pesante tenda di broccato. Pesante anche per aver contenuto ogni raggio di sole nel caso di invernate fuori tempo. Vedeva balconi, panni stesi, tapparelle abbassate, tetti, volti anonimi che non le dicevano nulla. Era stato duro adattarsi alla comunità condominiale, anche se il palazzo era bello e la gente salutava con affabilità.  Comunque lei aveva un segreto che intuiva essere invidiato dagli altri. Lo capiva dai loro occhi sgranati e adombrati da fastidio irritante quando dava loro il buon giorno. Nessuno  però avrebbe  immaginato che il suo segreto consisteva solo in una "melodia" che cantava da sola anche quando lei non voleva ascoltarla, quando l'onda della malinconia si alzava e si faceva così profonda da renderla udibile solo alla sua anima quando alla notte si raccoglieva per fare un po di Conticini con lei.   Comunque un giorno avrebbe percepito qualcosa anche di loro oltrepassando le apparenze, magari nella frazione di un silenzio.   Si trovò davanti una caraffa d'acqua. Dal lavello prese il bicchiere lasciato con un fondo di ametista.  Sentì ancora sulla lingua il sapore di viola di quel vino toscano che gli amici le avevano donato sapendo dell'imminente partenza. Lo lavò e per un secondo ne ammirò controluce il vetro dal colore blu. Si versò l'acqua. La mandò giù d'un fiato senza però riuscire a farsi rinfrescare il cuore. Si sentì seccare una stupida lacrima sul bordo di due ciglia unite dal rimmel.   Risentì il ruscello da lontano, il cinguettio dei mille uccelli sempre diversi, il profumo acutissimo dei tigli, le polpette che fumavano allegre nel l'aria, la grafica di cardiologia  a terra sventolata come una penna di alpino.  Chissà se anche ora avrebbe avuto lo stesso destino. Improvvisa l'onda piena di salso della sera prima ai suoi piedi, la trasportò a quella magnifica prova generale della Carmen di Bizet. 

 Terme di Caracalla. Un cielo azzurro come da notti tunisina.  La schiuma sui piedi mescolata a dei capelli verdi per la intromissione delle alghe a Terracina o era Fondi? Alzò le spalle per quella sovrapposizione di memoria.  La corsa pazza e in alberata per arrivare in tempo alla prova generale. Rivede la stupenda chiesetta romanica di Santa Maria in Galera che lei cocciuta peggio del mulo di carafà aveva voluto onorare con una preghiera e un occhio di rinnovata meraviglia, il fazzoletto grande come un lenzuolo per asciugare lo zampillo di lacrime .   Il seno alto.  La febbre sugli zigomi.  Era giovanissima e ovviamente inesperta, eppure l'avevano chiamata per sostituire una cantante famosa che si era ammalata. Il Maestro era Carlo Franci.             E fu proprio "quel salto" non previsto dal copione sul tavolo dell'osteria a far scrosciare di applausi tutto il teatro e a dare l'incipit al pensiero di molti che, l'arte vera è invenzione, creatività, rottura di regole, se la si accorda  con tutto, espressione di se e di una propria verità, ma secondo moduli che bisogna scoprire, o meglio riscoprire perché tutto è già stato fatto, detto e cantato, e il passato non è che la soffitta in cui bisogna frugare per trovare quello che già inconsciamente apparteneva, ma che si ignorava di possedere.    Quella, appunto, che le fece buttare le scarpe all'aria, ballare il fandango a piedi nudi, coi capelli lunghi sciolti da ogni fermaglio, mentre tutto diventava visione primitiva di gioia, di bisogno fisico, mentale, e di spiritualità che si può esprimere solo attraverso la fisicità, per contemplarla poi col distacco di un sorriso scanzonato e buono. Credo di non ingannarmi se affermo che, fu proprio da quella prima esperienza che il senso estetico della donna, divenne il suo ideale di perfezione. Quello che passa attraverso l'armonia di un corpo, poiché anche il corpo possiede un suo linguaggio che parla al di là delle intenzioni e dei meriti di chi lo possiede, nella felicità d'esistere, nella gioia di rappresentarla fosse pure solo sulla scena, nella varietà delle sue tematiche, rispettandone il copione, ma sempre con qualche trasgressione che lo renda unico e nuovo. La donna si scosse per il buio diventato anche lui fisicità. La lampada era ancora accesa creando strani disegni al soffitto.. Per una vecchia abitudine tese l'orecchio. Nessun chiacchiericcio di uccelli. Solo l'ombra della lampada sul pavimento e l'eco del risucchio di un'alta marea. Specchio di un accordo di dominante mai risolto, perso in una notte d'estate e lungo un fiume chiamato Vita, con qualche oliva verde che ha imparato a nuotare, felice per non essere finita in qualche sacco della spazzatura.   Allungò una mano per spegnere la piccola lampada. Sentì il clic come qualcosa di familiare. Sospirò e  fissò un punto imprecisato della stanza.   Da una fessura della tapparella sfrecciò un biancore che la mise di buon umore. Una stella si sarebbe accesa lassù e lei l'avrebbe vista anche al buio.  Ad alta voce esclamò. "Si. La vita è sempre bella ciononostante e malgrado tutto."   e si avviò a dormire in pace con tutto, con quel ricordo come solco di fuoco, una piccolissima cicatrice sulla coscia sinistra come presa di coscienza di un legnoso banco di prima elementare, con una matita in mano tutta risucchiata e con l'ingenuità di padroneggiare avvenimenti e circostanze come angelo Giustiziere, per mezzo di quella forza interiore via via irrobustita e da cui prese il via la sua inventiva e la sua creatività che così riccamente le ha inciso il cammino.

 Mirka

 

Carmen Seguedilla



giovedì 22 maggio 2014

IL PAKISTANO




"O luce dove sei,ahimè,dove sei?         Porta la tua fiamma a chi è senza fuoco.        La lampada giace spenta;           è questo il volere del destino?         Così è preferibile la morte:        accendi la lampada a chi è senza luce."  (Rabindranath Tagore -Canti di offerta)






  Ho visto un pakistano alla USL. Come una vita al bivio cercava il nome di un medico nella sala  già così piena di mischiate umanità  .  L'ho guardato a lungo senza farmi notare. Si distingueva per una sua particolare naturale eleganza.  Aveva i capelli neri ma striati di grigio. Ho frugato sulla sua fronte.  Ho visto l'anima frustata dalla nostalgia del suo paese. Gli ho guardato le mani. Nude e per anelli dei calli. S'incrociarono gli sguardi. Nei suoi occhi, cavati, lampeggiava una preghiera d'aiuto. Non ho  esitato a raccoglierla.   In contemporanea ci siamo chinati sul lungo elenco dei nomi .  Finalmente e non senza una certa fatica trovai il nome e la via del medico che lui cercava. Sollevò la testa con un sospiro da incendio scampato. Mi ringraziò con fiera semplicità.  Ho pensato che, niente di lui portava ad antica schiavitù. Gli chiesi del suo paese. Ho visto spegnersi la vita. Questa volta fui io a sentirmi squarciata da una mole di peso. Raggelata biascicai qualcosa che nella mia intenzione voleva essere empatia. Si illuminò solo quando gli chiesi della madre. Un giorno sarebbe tornato da lei. Ma intanto doveva fingere la lievità della tela che stava tessendo. Chinammo entrambi la testa. E anche questa fu consapevolezza condivisa. Io forse un po più fortunata. Almeno sino adesso,ancora per un po. La vita e con lei la Storia insegna che tutto muta e noi insieme. Per volontà del caso. Per nostra volontà. Per un tempo che (s)fugge alla nostra personale volontà. Solo la coscienza di aver acquistato come unico bene veramente prezioso, la libertà interiore che non conosce nessun tipo di bavaglio o  laccio, la dignità a custodirla finché ne siamo intellettivamente capaci, tutti i sensi non più all'erta ma a rimirare lontano con impercettibili brividi di suspense.


Mirka




 "SONG"  (Ravi Shankar)






martedì 20 maggio 2014

IL TRASLOCO-IL DIGIUNO-IL VOTO EUROPEO


Lo Stato è una cosa in cui la gente deve vivere e non semplicemente qualcosa da leggere nei libri o da contemplare come si contemplano il panorama dalla cima di una montagna. (Bertrand Russell)













Da poco più di un mese ho fatto un trasloco.  Mi sono spostata da una città del nord a quella che ancora si dice l' ombelico del mondo. Roma.  Un trasloco faticoso e svuotante come tutte le cose fatte su "spinte" obbligate. Quasi obbligate, perché poi, "scegliere"  spetta sempre all'individuo. Quasi sempre.  Se poi il carico si trova tutto sulle proprie spalle...beh ciò che si trasportava non erano certo semini di zucca.   Ho trascurato di leggere libri, anche quello che tengo sempre in borsetta come talismano (delle poesie), un bel po di giornali, molta TV.  Ciononostante  non ho mai smesso di parlare con la gente. La gente semplice, quella della strada, per intenderci. Quella che mi trovo al gomito quando vado in metropolitana o semplicemente al bar quando ci si appresta a gustare il secondo caffè della giornata. E le domande "testate" con timidezza, prima, diventano presto "battute" e alla fine dei veri e propri scambi.   Il malcontento ti si appiccica alla pelle come un sudore malaticcio che si fronteggia solo col "digiuno" della risposta e la consapevolezza espressa da lucidi occhi. Saluti l'interlocutore gentilmente e, mentre riprendo la "tua" strada ti senti addosso, anche tutti gli istinti violenti (repressi-imbrigliati), le abitudini a delegare (rabbiose), qualche fanatismo "morale" tutti insinuanti nella superficie ampia della pelle e che dà i brividi alla "ragione".  Perché, diciamolo chiaro e senza i convenevoli da salotto, dove non c'è posto per la dialettica o meglio ancora per un confronto civile, immediata spicca la stupidità fatta tiranna dietro la facciata bonaria del laisser aller, tanto nulla cambia, così va il mondo, sono loro che comandano e dettano leggi fatte su misura, rassegnati a una perenne umiliazione che limita ogni 'visuale' senza trovare  il coraggio di fare, capovolgere e di camminare insieme, uniti e diversi ma senza farsi lo sgambetto.  Troppi gli urli.  Forse qualcuno fatto a proposito e anche centrato (Grillo ad esempio lo fa per mestiere  e sicuramente fa a meno del bazooka ). Troppe le promesse sventolate. (Anche Renzi ha imparato bene il mestiere e da lupetto di parrocchia eccolo capo quasi indiscusso). Troppi i pregiudizi ereditati  e paurosamente non avversati perché dati scontati. (l'omologazione non è forse anche colpa nostra?)
 Una palma piegata mi schiaffeggia il volto mentre il profumo di gelsomino mi riporta improvvisamente a quello lasciato nel piccolo giardino della casa a nord dello stivale. Una visione erbosa di giovani ramoscelli percuote la mia colonna vertebrale. Mi distraggono e non è male.





 Siamo prossimi alle votazioni europee. È difficile avere un'opinione politica, chiara e netta che possa dare e orientare un indirizzo politico. Credo comunque che, e al di là di tutto, l'unico modo per rendere l'orientamento politico più cosciente, sia quello di portare alla luce ciò che si cela dietro le opinioni di ciascuno e scoprire, se si può, un modo per mettere a confronto la possibilità (ideale almeno) che ci offre qualcuno ( serio), che assicuri il lavoro, elimini senza indugi la fame e gli armamenti, liberi dalla schiavitù economica, che metta al centro l'uomo, la sua dignità con tutti i suoi bisogni "reali" e che sappia guardare non solo al presente, ma soprattutto alle generazioni che presto, molto presto, non esiteranno a soppiantarci tutti, sbeffeggiandoCi per l'incapacità di far fiorire la terra di tutti i suoi prodotti buoni impedendo coi loro egoismi l' evoluzione delle intelligenze, cauti quanto lo può essere il l'avido a ripristinare quei valori, ora calpestati, della nostra Costituzione, per ogni vano sogno di potenza, per ogni testa chinata dal peso della vergogna per avere solo subito anziché unire gli sforzi della ribellione giusta e misurata, forte e indistruttibile da crearne un sistema che abbia a capo uno Stato pulito da ogni macchia anche solo sospetta.

Auguri col cuore, dunque. In circolazione qualche persona con la mentalità oceanica e col cuore bianco di passione c'è  ((ultimamente ho seguito con interesse Alexis Tsipras, moderno, intelligente, e senza restrizioni che lo inglobano limitandone il valore individuale attinto a quei valori per i quali si batterono anche a costo della vita  i nostri padri costituenti,  accompagnati da un vecchio canto che dice di verità  sempre presenti si, ma con la forza della speranza che qualcosa, in meglio, cambierà e al di là d'ogni oscuramento della ragione.


 Mirka


  (The Byrds-Bob Dylan)














giovedì 15 maggio 2014

IL RICORDO- OVVERO L'ULTIMA TRASGRESSIONE



...e TI abbraccio stretta al cuore, Bambina che ti chiamavano "nostra" mentre eri solo "mia". Lo sentivo allora come lo sento adesso. E so che sarai TU a sopravvivervi a tutte le stagioni come di prima alba.





Il cielo era nero, ma lei non ci faceva caso. Il taccuino era sempre lì, come un occhio azzurro che ha trattenuto in retina tutti i colori del l'arcobaleno.  Raccolse i ginocchi sino a toccarsi il petto e mescolò pensosa i diversi caldi corporei. Un ginocchio se lo era scorticato cadendo da un ramo di gelso e quello bruciava, ma a lei non importava sentire il dolore che l'odore della materia gialla le stava inviando e...senza remare troppo... si trovò là, sul dorso di quel l'onda più alta.

"Com'è strana la vita", pensava Karina dalla cima di quel l'onda fresca. Fresca e allegra com'era lei in quel tempo.  Misteriosamente però intuiva che, nel suo destino, l'imperator mundi sarebbe stato lo spazio, anziché la terra a compensarla dei tanti tesori dati e sempre in procinto ad essere ripresi, come "possibilità" in addivenire o, se lei avesse voluto, fuori da ogni scontato jamais.   Sempre contro corrente, lei, sempre fuori dal coro di saggezze in odore di polvere, più presuntuosi riassegnati che saggi per acquisizione di profonde conoscenze, dal momento che il dito era quella luna mai guardata a bocca aperta.  Forse era questo il motivo dei suoi silenzi improvvisi, delle pause, o  della valanga di parole che di colpo le uscivano dal basso della sua terra, ma  così impercettibili che neppure il vento avrebbe saputo afferrarle portandole  da qualche parte.  Dove poi?     Chissà.  Nel luogo dove vive la vita libera, selvaggia, naturale, vera e gentile anche senza l'obbligo convenienza delle buone maniere?  Utopia che avrebbe pagato a caro prezzo, con l'intelligenza lucida e fredda che sentiva di possedere pur senza averla ancora sperimentata.  Che l'esigenza di "equilibrio"  presto si sarebbe scontrata con la cruda realtà che fa i conti col bilancino sempre aggiornato  non perdona il grammo che tira giù. 
 
 Anche quel giorno doveva dare  una risposta irrevocabile. E lei invece, aveva una gran voglia di scappare.  Si dava così del tempo, torturandosi in pensieri che non c'entravano niente.    Perché ci si sceglie? ...Mah! forse solo per motivi biologici, olfattivi.  Ci si annusa, cauti, attenti e al più lieve cenno di estraneità ci si chiude a chiocciola o a riccio, per ritornare con un sassolino nella scarpa a promuovere discorsi,  assaggi di personalità, provocazioni lasciate cadere con soavità graffiante. E intanto ci si odora come cani o gatti da territorio. Oh aver avuto come guida quell'amore consapevole che tutela mentre fa crescere e ci si fa adulti! Quello che aiuta a formarci degli scudi necessari per non farci male, poiché la vita sbrana chi ha l'ingenuità di esporsi come un Alice che tratta il quotidiano con l'allegria di una sorpresa magica sul piatto di cucina.  E che ti trovi allora invece della gustosa sorpresa nel piatto? Le  diable  che mangia te in un boccone con lo sputo a ripetizione.

Le passioni male contraccambiata inibiscono la crescita, sono uno spreco di tempo e di energia emotiva, si diceva Karina, acuta in quell'intuizione misteriosamente adulta, forse già cosciente di quella  legge alla quale avrebbe dovuto sottostare per tutta la vita. Quella di ripercorrere gli stessi errori, pur mettendocela tutta per tenerli a bada, sino al momento della vergogna, (vera) che dalla pancia arriva alla coscienza.

Quanti dolori si sarebbe risparmiata se fosse arrivata a capire nel tempo giusto quello che permette d'accettare il diritto di sapere anziché tergiversare sulle stradine inutili del ma come che portano dove non puoi più riparare!   Mah!... .Non coincide il dolore con ogni attesa?...Ma se si impara a non aspettarsi nulla, anche il dolore alla fine cesserà e si sarà quasi felice.    Così si diceva Karina dandosi zuccate alla testa lasciando libero il cuore. E chissà quanti errori ripetuti con la testardaggine di chi non vuole ammettere  le diversità, quelle che non entreranno mai a far parte del proprio mondo e,  fai "fai finta" che non sia, e continui a riprovare e a dare sempre convinta che prima o poi qualcosa cambierà, si muoverà o si evolverà a favore di inesistenti affinità, regalando il tuo valore, sicura che anche l'altro ricambierà con uguale valore e gratitudine.  Ma mentre esalti l'altro con stima, anzi con una super stima, sarà inesorabilmente la tua stima a rimetterci e il tuo valore ad essere  penalizzato in cambio di una sofferenza che guizza  immediata con  una ferocia  tale lasciandosi ben poco margine per riaffermare talenti e un genuino autentico che nulla ha pretese se non gli scambi pari. Qualora poi, si decidesse anche d'essere magnanimi e generosi, non sarebbe che un pregiudicare un affetto residuo.

Questo sentiva Karina, comprendendo oscuramente, essere la parte più vera e crudele, questa, quella che univa, così spesso, i rapporti umani. E questo sentire era talmente intenso da non avere neppure voglia di incanalarsi in nessuna forma che assomigliasse a un pensiero. I pensieri!  Bah! Spesso così limitanti e a volte anche fuorvianti.

L'acqua del canale si era fatta tiepida per aver raccolto il sole del giorno e, per i suoi piedi che sguazzavano vivaci come pesciolini dorati,era dolcezza che compensava un fondale mancato. Un cenno di luna si rifletteva chiara nell'acqua del canale. Karina si scosse per il balzo di un girino saltatore su un piede. I rintocchi di una campana si congiunse a un secondo brivido che le attraversò le spalle e poi l'inizio dei polsi. Delle voci gridavano il suo nome con insistenza. Lei ci colse del l'irritazione più che della reale preoccupazione. Il silenzio ora era fondo. Come la solitudine che  l'accompagnava. Tirò fuori le gambe dall'acqua. Con voluttà diede forma alla terra col suo corpo di donna- adolescente. Si allungò i muscoli, si alzò tutta tutta intera e senza rigidità tese le orecchie. Un fischiettare allegro dal viottolo  le fece scalpitare il cuore. Ecco la risposta che avrebbe dato. Ecco la sua rivoluzione.  Più tardi avrebbe raccontato una bugia per giustificare il ritardo, ma senza provarne rimorso o vergogna. Il piacere  "pieno" l'avrebbe trovato là, in quel l'abbraccio che già sgocciolava sudore di gioia creativa. La gola ebbe un  gorgoglio canterino e  quasi cattivo per quella vendetta postuma. Anche su questo intuì che, forse, sarebbe stato sempre così, sino alla fine, sino a quando non avrebbe capito l'antifona  diventando invulnerabile alla sofferenza.

Il suo sguardo scintillava come fuoco quando incrociò quello del ragazzo mentre con umiltà gli si offriva con tutto lo sguardo .  L'umiltà  che si riserva alla felicità quando inaspettatamente viene incontro e se ne percepisce il dono del "cappello". Sapeva che quel corto circuito che le aveva fatto esplodere il corpo, non le avrebbe intaccato l'anima, almeno quella volta, preservandola dalla trappola del possesso come un libro preso da uno scaffale  e divorato con voracità  via via sempre più indifferente.

Multiple sono le ragioni per cui si scrive, ma una le raggruppa tutte. Riaffermare la propria identità prima che Urano ne faccia una carneficina. Questo si disse Karina prima di concedersi ogni altro lusso di "collage" che mettesse al centro il sogno rendendo vero il suo prodotto fuso in un frammento, a una connessione cosmica di armonia, o comunque per la libertà di "scegliere" un piacere che nessuno potrà  mai togliere e che lei lo anticiperà giocando dentro le pause, i silenzi, una slavina irrefrenabile di parole forse anche un poco sconclusionate, come una stufa che scalda senza mai scottare. E fu quasi felice. Chiaramente sentì che avrebbe continuato ad apprezzare se stessa come sempre aveva fatto, lucidamente entusiasta ma in modo asciutto e selettivo ai valori diversi dai suoi e cifra  universale di un'appartenenza a tutti consapevole d'ogni rischio, anche quello di non essere capita da quelli del suo tempo.



Mirka




"A love supreme" (John Coltrane)










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giovedì 8 maggio 2014

QUELLA INUTILE VESTA SCULLATA

C'est, perfois, tout ce que nous reste.






 Mi raccontavi che, "dopo" ogni trasgressione ti quietavi.        Io assertivo perché empaticamente ti capivo, mentre nel cuore si apriva a me l'inquietudine per un destino già segnato.  Così simili e così diversi a camminare insieme su una strada che portava al fiume su rive che si univano solo per arginare l'impetuosità dell'acqua.    E dicevi di colonie passate davanti a te.  Volti, tanti, tutti, quasi tutti, senza sorrisi, e non ti accorgevi  che ferivi l'unico sguardo "giovane"  che ti sbatteva in faccia come un sole spavaldo d'orgoglio ma oscurato dall'ombra di un salice.   E pensare che per te avevo messo il mio abito più bello.  Quello più scollato.  Chissà perché all'improvviso mi trovo tra le labbra quella vecchia canzone, forse, cara pure a te. "Te si fatta na vesta scullata, un cappiello un 'e nastre...
E' vero, fui cieca di seconda vista, in quel tempo, ma nell'ora presente, tutto è impresso su pellicola e mistero senza titubanza di domanda, indifferente alla risposta.
E' incredibile come certe ferite possono prendere quasi stabilità di calco come da cemento,  per rinascere così, senza un motivo preciso, in un giorno di maggio, sulla vibrazione di un'eco o su una nota perfettamente intonata lasciata come conchiglia scheggiata sulla spiaggia dopo l'alta marea trovata in invernale stagione.






Mirka





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lunedì 5 maggio 2014

FILASTROCCA ALLA MANIERA DEL DR FREUD O FORSE ANCHE NO

C'era una volta e c'era nel l'accesso un chicchi ricchi che su e giù per lo Stivale si sentiva, la testa rivolta alla finestra di un Papa Re con tante spine per corona






 Giocava coi colori e li sparava a bombe di cannoni

Gridava coi leoni ma era solo una gazzella impaurita

 Pensava di sapere scrivendo della vita storta ma i buchi della sintassi dritta  saltavano come birilli svelti

Desiderava il desiderio che fa potente ma lo perdeva durante il cammino coi conigli

La leggerezza era il suo sogno di giornata ma la testa gli pesava come martello sull'incudine

 Incontenibile nei suoi umori UNO brillava un poco più degli altri il Machiavelli col toscano all'angolo del labbro

Amava tutti gli animali in libertà ma per lui teneva buono un guinzaglio fatto di manette

 Diceva di suonare bene la trombetta,in realtà era un trombone in chiave di un non so che

 La sabbia era il suo regno, diceva lui, amante dei castelli che poi stizzito li spazzava come il vento fa alla canna

 Asseriva che tutte le forme sono fatte di parole, ma a lui scappavano come il verso col da capo e senza il fine per chiusura

Faceva bella mostra di sapere tutto sulle cioccolate senza mai svelarne il segreto della lingua arrotolata,l'esperienza ahimè gli aveva lasciato l'amaro del carciofo

 Voleva tutto senza badare a spese non ebbe che un punto interrogativo su un bravo aspettato e mai venuto

 Disperava per avere il deserto dentro e intorno ma la giostra cinciallegra gli girava nel dentro come nel fuori ed era sabbia di rosa

Suonava i tamburi per chiamare la Lux cercando di frenarla al dio delle sette da mazza, ma il Diable era di casa  e l'olio mancava, il tranello nella serratura "dura"

Si ostinava al tavolo dell'alchimia per farne uscire l'unico riconoscibile odore che sapesse di "absolue" ma ne perse la fragranza a Casablanca e il giglio trovò la cera anzi che il  bianco cuore della colla

 Vero che prestò i soccorsi alle multi etnie ma col risultato di bloccare tutto il traffico, le strade stoppate dalla nera rossa gendarmeria

Lo chiamavano il nano o meglio ancora il lungo che poi era un tutto uno lui era solo uno grande ma proprio grande (s)Fugato perseguitato da un pirata suo gemello

Questa è la filastrocca del signor B di questo secolo veramente bicolore fatto di giochi truccati confusi tra i ratti che si alternano coi gatti

Qualcuno forse si riconoscerà ma se non dirà "presente" è perchè sindacalmente non c'è la protezione. Così ha messo in giro Trikoleit dando un calcio secco alla prima palla di plastica che ora rotola nel cosmo senza stelle. Ogni somiglianza con persone reali e con i loro problemi è ovviamente casuale come NON è casuale l'aria dei Puritani "SUONI LA TROMBA INTREPIDO" di V. BELLINI che invito all'ascolto.


Mirka



Suoni la tromba intrepido (  V Bellini)








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