...e furono quelle forme strane alle pareti ad indurli a giocare d'immaginazione antica
...metafisica che nascondendosi rivela la realtà del sogno
Guizzi di mare con la luna nel protervo cielo sgusciato alle reti della notte insonne tirava il vento bloccata la vita in ogni cellula soccorse deviando Ramakriska lo smarrirsi della rotta Giocavano a palla pustole di luce profezia di sbadigli scricchiolio di foglie nel giardino silenzioso
Non c'è metafora se dico donna nel cromatismo oscuro che umido danza dentro e fuori golosa di rivolte Meraviglia in festa fissata nel Finale sparì insieme Chàvez e il biforcuto Monti
,,pur se con riserva e diffidenza si avverte, comunque,il bisogno di ripresentare un'iniziativa unitaria, in termini che contengano un richiamo all'azione diretta, di massa, e che contemporaneamente, alimentino una polemica verso il collaborazionismo della destra socialista". (Edmondo Peluso- dal l'alleanza del lavoro- 7 Marzo 1922)
Se ci fossi ancorasarei venuta a trovarti per la solita partita. Dopo l'abbraccio di rito, mi sarei seduta e messa di fronte a te. Durante il gioco, senza troppa convinzione, anzi piuttosto svogliata ti avrei chiesto:" Allora vuoi andare a votare?Ci sono le primarie del DS" . Immediatamente TU ti saresti affrettata a interrompere la partita per te così necessaria quanto per me sbadigliera" e, con l'agilità di quella donna che la memoria bambina ricorda, ti saresti diretta con gesto preciso a prendere il cappotto, l'avresti sveltamente indossato, mi avresti puntato il bastone da lontano e, un po stizzita mi avresti apostrofato di indolenza o se non peggio, di negligenza, quella che toglie la qualità costitutiva dell'esistenza. Come al solito mi sarei offesa perché la permalosità pare sia una costante di casa, mi sarei sicuramente scossa dal l'estemporanea indifferenza e... t' avrei subito seguita, nel bene o nel male, anche se in cuor mio la "convinzione" di quel gesto appartiene solo al circolo che sta dentro al nucleo di un DNA. In ascensore ti avrei guardato e ironicamente ti avrei zuffolato un vecchio ritornello forse più caro a te che a quella donna che sono ora io, consapevole ahimè che, i "troppi mutamenti portano solo ai tradimenti". Spesso. O perlomeno a un destino pianificato senza troppa possibilità di scelta se non il buon senso del minore dei mali. Purtuttavia la speranza di una molecola di novità ci esorta a non demordere. Fosse solo per quel recupero di una luminosa eredità forse mai veramente moribonda anche se inconscia. Come ideale, almeno, a cui guardare, germinato da una integrità morale che vigila su se stessa, autonomamente e criticamente, ma che abbia come obiettivo la "causa comune", senza voli di fantasia, ma concreta nel servizio di quel bene da dividere e moltiplicare avente la giustizia come mezzo alto di navigazione sicura da affidare a un bravo capitano, discuterle, se se ne presentasse la necessità, dargli sostegno in caso di sconforto o debolezza.
Questo ti direi, cara donna che mi manchi, offrendogli il braccio a reciproco sostegno. Se ci fossi ancora. Mirka
"Su fratellie su compagne" (Canto dei lavoratori- )
...e mentre la magia dei colori incantava, già l'ombra del nuovo diceva ch'era qui rivelandosi mentre si velava
"Per l'uomo capace questo mondo non è muto". (W. Goethe)
Enigmi sparsi quello dall'inseguire il gioco delle luce con l'ombra, riscoprire gli antichi miti, il contraddittorio mondo di cui noi siamo impastati.
Mi sento libera in mezzo alla natura. Mi ridona l'incanto d'una energia che a volte credo d'aver completamente perduta e su ogni cosa la riverso. Anche su chi incontro. Dalla vecchietta che zoppicando s'appoggia alle stampelle obbligandosi al suo giro quotidiano e che saluto con un sorriso pieno di empatia, dai gattini che mi attraversano la strada, mi si strisciano alle gambe e poi si rotolano a terra fermandosi con la pancia in su affinché per qualche istante gliela gratti, dall'ultimo canto dell'uccello che stuzzica la mia immaginazione sul l'indovinarne la specie frugando il nascosto o guardandolo mentre saltella, Da un bimbo in carrozzina portato a spasso dalla sua mamma al quale mi avvicino, gaia, timida, confusa se ritarda a rinviarne un sorriso. Per la gioia che provo al l' odore della terra quando è bagnata . Una gioia metafisica che mi eccita mentre mi fa scorrere l'ansia. Da un rumore strano che muove i cespugli ,non capisco cosa possa essere e provo paura come per favola ascoltata nel tempo del filos (raduno per chiacchierare che si faceva alla sera). Dalle reazioni del mio corpo quando sfioro l'uomo che mi piace. Ed è proprio allora che amo l'abitudine d'esistere. Perché è come una garanzia di un ordine che trovo attraverso ogni cosa creata, i colori nella loro combinazione di rapporti e nel nuovo trasformato che ne segue. Nello stupore che mi prende per quella percezione che mi ha dato i brividi e mi ha regalato quel prezioso attimo d'oblio... Questo è ciò che mi capita quando la natura è vicino a me e mi accompagna. Questo è il sentimento che provo e, riconoscerlo continua sempre a stupirmi mentre fotografo e godo per questa fusione di scambi liberamente donati,mentre la mia persona si arricchisce in purezza purificandosi da ogni punta d'ago ricevuta e data. Mirka "Mensch! Gib acht!" ( Symphony N. 3. G.Mahler)
Ogni storia d'amore è una storia a due voci (se davvero è una storia) e se una delle due tace l'altra non può che adeguarsi. Dove non c'è risposta non c'è che la follia d'un monologo.
... Lo amo? Non so.Lui è il mio cucciolo.Lui è il mio bambino. L'orgoglio?...Ma perchè mai lo si dovrebbe coniugare al femminile?così si giustificò a se stessa la donna,donandosi completamente,quasi con testardaggine,senza mai rassegnarsi,anche di fronte al tradimento,anche quando l'amante si ritraeva indietro.Come un animale femmina che trae forza (fatta di aggressività e di disperata difesa) nella dedizione assoluta,quanto di sottomissione quasi assoluta a un uomo.Quasi una riscoperta di un proprio cucciolo o del proprio bambino.
RESTI DI SIGARETTA Il caldo!...Il rumore!... Il fumo!... Lo stesso fumo e le schegge dei pedardi nell'aria mi soffocano... mi fanno sciogliere le budella...uccidono nella mia testa resti di sogni. Il rumore sale...le risate si mescolano al fumo... il fumo si mescola ai ticchetti dei cucchiai e dei coltelli e il miocuore è crocefisso a tutti i piatti stupefatti attraverso i veli. Un desiderio di fuggire mi devasta...mi suggerisce di allontanarmi per non scoppiare... affinchè i miei nervi non si suicidino. Guardo nel mio piatto...non c'è nulla...ma ha un bianco vivo che mi spaventa... è la conseguenza delle mie riflessioni frustrate,sconfitte. Un bianco che cerca i segreti che ho seppellito...e non ho colori... non c'è un pensiero nella mia memoria.Tutto ciò che possiedo è la fantasia di una penna muta... di cui si è prolungata la permanenza nella caverna dell'inerzia. Mi scuoto manifestando la mia presenza!... Ho disegnato sul bianco cose che ho desiderato fossero e che non furono. Ho disegnato più volte il viso del mio compagno,disegno bene...è un cerchio vuoto. Mi spaventa vederlo vuoto e disegno al suo interno cose che amo. Ma il bianco non capisce le mie cose...le schernisce...le cambia in zeri...che sbadigliano, nella loro lenta propagazione,l'incertezza del mondo legato per i piedi verso l'alto. Il bianco si riempie di futilità circolari...e voglio strappare all'irrazionalità dei segni una forma per l'addormentarsi dei suoi occhi...per una sigaretta distratta che si suicida nella fornace delle sue labbra... ma non ho colori...non c'è un pensiero nella mia memoria. Le mie dita tremano...i cerchi sul viso del mio compagno si scompigliano... La penna cade sul bianco in cui geme un fallimento...in cui geme un'infecondità. Le nostre dita s'intrecciano...i nostri piedi si spostano...le porte ci respingono verso la strada. Il risuonar delle risate insistenti in mezzo agli anelli del fumo espulso dalle labbra... Mi annoia!... Schaffeggia la sublimità del sorriso liberato!... Immola la purezza di una causa che sostengo sulle sponde di obbrobriosi bicchieri!... Mi precipito da lui cercando un rifugio sicuro...e aliti ardenti che sfiorino il mio viso... che mi facciano di nuovo sentire che esisto. Una pioggerella leggera sfiora i miei capelli e godo dei suoi tocchi. E...mi attira a sè... Mi circonda le braccia con il braccio... Nei recessi del cuore nasce una festa. Che disperde il gelo.petto la primavera. E il mio cuore sussulta agitato...mi chiede...mi chiede... e non avverto la domanda. Smascherare il denaro. Che si arrabbi se vuole che impicchi le speranze. Non torno al teatro degli specchi finchè ho sentito l'inizio di una risposta alla precedente domanda quante volte ho gridato...quante volte mi sono infuriata... Ma io la conosco la mia storia è vecchia e la mia rivolta zoppicante. L'autunno la ghiaccia L'inverno la paralizza
I nostri passi si allungano...fanno risuonare il lastricato e nasce una generazione dall'ira delle voci. Fa sgorgare le lettere cita in giudizio i verbi cambia il contesto fa uscire i nomi al registo dei morti le frasi producono una costruzione essenziale il cui programma rivede la questione morale i nostri passi continuano a sbadigliare sul lastricato bagnato di pioggia. E io stringo il mio cuore confuso,stordito fra i miei denti brutali come un potere imposto,collegato. Che cita in giudizio il disoccupato E deruba i morti bracca affamato sottrae gli alimenti e s'inchina strisciando Esaltando il tiranno. Sfiorano il mio viso le boccate delle suea sigarettea che disperde nell'aria,disperde con esse il freddo del tempo. Le sue boccate mi riportano alla mia realtà...i suoi polpastrelli mi ricordano il mio posto...e io cammino al suo fianco,mi dà il calore che cerco. E...ricomincio...ricomincio a respingerla. Nel mio cammino con lui cercavo la sua origine...m'interrogavo sulla sua provenienza. Ma temo...temo di conoscerla. Ignoto come l'arcano mi sollecita e mi spaventa,l'ago della mia rotta oscilla affinchè smarrisca l'ubicazione e i valori. E continuo frettolosa ad inseguire lanterne che non si spengono,ogni volta che mi avvicino si allontanano. Libero le mie mani dall'impetodelle sue dita... le sollevo allontanando dalla mia fronte delle ciocche che la pioggia ha bagnato. Ed è stata liberata dalla sua prigione la prigionera della sera.
La canzone dell'alba
Litiga riscaldata. Combatte l'inverno.
E ricomincioa lasciarla cadere affinchè le dita febbrili la spremano di nuovo...suggendone una confessione che rifiuto di rivelare. Le dita sono spietate nell'eccitazione di un ragazzino caparbio che cerca ciò che ha perso. Provo piacere nella lotta,e torna a farmi male incessantemente. Temo il silenzio...temo la rivolta delle mie profondità...temo che mi si scioglino le mani,sul mio petto sono accovacciate tempeste che le grida hanno sfinito ...e sono diventate pesanti...pesanti come una triste notte d'autunno. Lo guardo...guardo il suo viso...desidero penetrargli la testa...cercare un pensiero sul progetto di una causa che mi sta a cuore trovare nei recessi della sua mente cosciente... Continuo a cercare... mi confondo. E seppelisco nel mio petto il resto del dialogo. I miei sguardi sono rimasti delusi,sono tornati da me sconfitti...lamentano l'ostinazione di questo che ho conosciuto e non ho conosciuto finora...questo i cui incontri mi hanno reso felice,mi ha stancata il cammino trafelato accanto a lui. Ricomincio a guardare lontano...lontano...pensieri diversi lottano nella mia immaginazione. Aspetto una parola da lui. Poi torno e chiedo...una parola. E resto ad aspettare...aspetto e nola domanda. La ingoio più volte,ricomincia più volte,provocatoria...eccitata a lacerare il silenzio: Dimmi,ti piacciono le sigarette??... Un punto interrogativo si disegna nell'anticamera dei suoi occhi e disorientato si acciglia...borbotta con una remissività spensierata.
Naturalmente mi piacciono!!
Mi urta vederlo disorientato.Mi urta vederlo cedere e tornare al silenzio di cui di nuovo si veste. La mia domanda non lo scuote.E l voglio confuso.Lo voglio violento. Le frasi ricominciano a competere nella mia testa. E ricomincio a selezionare le migliori.
Conservi i...resti delle sigarette?
La domanda ricomincia a confonderlo...leggo la perplessità nei suoi occhi,cerca nella sua testa qualcosa da dirmi,le dimensioni della domanda lo riducono all'impotenza. Mi guarda...cerca di scoprire la verità dai miei occhi. Ma la mia freddezza lo gela. S'interroga,lui che odia i punti interrogativi.
I resti?!... E cosa ne faccio?...Le sigarette mi annoiano dopo che sono bruciate e imbrattate col sudore delle dita. Perciò mi sbrigo a disintegrarne il midollo...poi ne getto il resto...vedi un'altra soluzione???... Torna il silenzio maledetto,lo bacia...,lo corteggia...mi distrugge. Uno straripamento delle cose che non conosco maltratta le mie viscere. Le sue parole mi feriscono...mi fanno male.Non indago sul destino degli altri?... M'importa della loro condizione? Io che soffoco per l'odore del loro fumo. Qualcosa come un vortice si trastulla con me...mi fa soffrire. Desidero fuggire dal mio silenzio...fuggire dall'inferno dei miei pensieri e aderisco di più a lui,le mie dita cominciano a lamentarsi per il calore delle sue reazioni. L'ombra di un sorriso inonda il suo viso,affiora sulle sue sopracciglie folte. Sono gelosa del sorriso seduttore sulla sua fronte e aderisco di più a lui,poi torno a interrogarlo in un momento mistico in cui l'amante teme la perdita di un Dio che ha trascorso gli anni della sua vita a creare da sè e dal cumolo della sua indigenza.
Quando fumerai la tua ultima sigaretta?
Il fumatore accanito,piccola mia,non sa smettere di fumare a meno che una cosa terribile non lo faccia soffrire.
Desidero a queste parole e al culmine della febbre egoistica che lo colpisca una cosa che lo induca a preferirmi come l'ultima sigaretta che si ponga l'intera vita fra le labbra senza accenderla e che sia alimentata con la febbre delle sue profondità e serbi le confessioni dei suoi profondi,oscuri corridoi. La necessità del cammino senza scopo ci conduce verso la stazione ferroviaria in cui lo lascerò e mi lascerà come al solito. Arriva il primo treno,non ne riconosco la destinazione e non lo prendo in considerazione. E' sul sedile d'attesa continuo a rubare caldi istanti umani. La sua presenza accanto a me riempie il vuoto,tiene lontano da me la domanda.
Il nostro silenzio si prolunga...e si prolunga la mia attesa della parola aspettata che parta da lui,per definire le linee della situazione.
Sai piccola che io non salgo su un treno che ferma in un'ultima stazione,perchè stare fermo mi irrita e non porto con me un libro da leggere per passare il tempo.
Il mio petto è più ampio di una sola stazione e la mia mente è più vasta del contenuto di un solo libro.
Il gelo...il rumore...il fumo! Lo stesso fumo e frammenti di petardi nell'aria mi soffocano,fanno sciogliere le mie budella...uccidono nella mia mente resti di sogni.
Il rumore si allontana. I dolori della testa si mescolano al fumo. Il fumo si mescola al tic tac delle punte e dei coltelli. E il mio cuore è crocefisso a ogni stazione ferroviaria,che una cinerea nebbia di combustione avvolge. Un desiderio di fuggire mi devasta...mi prende per non scoppiare e faccio scoppiare il treno che sta davanti a me.
...Non era ancora morto,quando i suoi compagni giunsero da lui a terra fra i cadaveri dei militari...e con molta difficoltà uno fi loro sentì la voce dettare il suo ultimo giudizio sintetico." L'importante non è che uno di noi muoia...l'importante è che continuate..." Poi morì. ( Ghassan Kanafani-)
...in una realtà di lupi e di sprechi,dove l'onestà ha poche speranze di gratificazione se non il premio a se stessa.
Si chiamava Omar W. Al Bunni Said, ma tutti lo chiamavano Said, io semplicemente Al. Aveva la pelle del colore dell'ambra ma come sgranata dal vaiolo. La bocca grande con delle grosse labbra sempre screpolate per troppo sole, per mancanza di vitamine o per troppa sete mai saziata..Gli occhi erano d'un bel marrone dorato e dolcissimi, a volte, ma così penetranti, sospettosi e indagatori da obbligarlo a portare perennemente degli occhiali scuri. Cosi immaginavo. A mia madre piaceva moltissimo la sua voce. Bassa, lamentosa e un poco roca, dove, a tratti, si insinuavano vibrazioni di una stranissima malinconia che faceva pensare a una innocenza perduta troppo presto per il prevalere di ombre negandole il diritto a gustarne le bellezza piena, oppure si poteva pensare a una lunga educazione affinché si imparasse ad accettare il senso misterioso di quel l'oscurità che l' inquinato dà ai colori, li appanna sino a cambiarli, ma che, penetrandola la si può trascendere e trasmetterne l'esperienza che ha formato il pensiero e poi più a fondo scavato in qualche parte dell'anima. A me, uscita da poco dall'adolescenza, mi catturavano i suoi lunghi silenzi che facevano parlare gli occhi anche se nascosti dietro a quegli occhialoni scuri d'un linguaggio segreto e al contempo chiaro e buono. In testa aveva una sua filosofia che cambiava col passare del tempo, degli avvenimenti politici e dei corsi e ricorsi della storia.. A seguito della guerra Palestina l'israeliana, aveva dovuto interrompere gli studi di architettura, era emigrato e infine era salpato a Roma, dove si trovò costretto ai lavori più umili per poter continuare a studiare. Spesso si faceva tardi, la sera. Ci si radunava in casa di amici e si tirava a far giorno parlando un poco di tutto. Della bellezza delle stradine romane, dei suoi tramonti e dei suoi pini, la ricerca di valori duraturi al di là dei vari credo e ideologie, sul significato delle azioni, sulla sincerità delle persone, sulla tirannia del potere, del suo orgoglio d'essere arabo e palestinese, delle condizioni drammatiche in cui versava il suo popolo, la sua scelta a condividerne il cammino sino in fondo, magari lasciando qualche traccia di se nell'umanità delle cose, in un gesto umano teso a spezzare ogni catena di quell'odio intromesso sì con prepotenza nel lungo fiume della vita seminando violenza, pianto, morte, la coscienza chiara come scelta di campo. Io ascoltavo avida, anche se non riuscivo a comprendere tutto. Spesso mi trovavo il volto bagnato senza sapere perché, mentre il cuore mi diceva ch'era nel giusto nel sentirsi partigiana e vicina a quel quel popolo così oppresso e provato nel vedere i propri diritti confiscati e calpestati,le reazioni di difesa inadeguate, una presa in giro e infine l'esodo per non vivere ospite, dipendente e prigioniero in casa propria. Come lo è stato per Omar W. Al Bunni Said, affettuosamente da me chiamato Al. Nella stanza dove ci si raccoglieva, si evitava di accendere la luce elettrica, preferendo la luce calda e intima delle candele. Rammento il tremolio che creava ombre alle pareti dando inquietudine alla mia mente e un poco anche ai miei polsini.. Cercavo d'ignorare ma l'occhio andava sempre là a quelle pareti con quella danza di ombre e un brivido mi percorreva rendendolo visibile anche al buio. Anche di questo non seppi mai spiegare la ragione, né allora né adesso. La serata finiva sempre con della musica (siriana-araba) che Omar metteva sul piatto del giradischi o che lui stesso cantava con la sua voce bassa, roca,lamentosa,intonata e dalle multiple strane vibrazioni. Ci dovevamo incontrare un giorno come quello di oggi. 18 novembre ma l'incontro non venne mai. Di lui sapevo gli anni, ventinove, il nome, che militava nel "Movimento dei nazionalisti arabi", dei suoi occhi dolcissimi quanto inquisitori nascosti dietro a degli occhiali scuri, della sua malinconia fiera di coscienza di stare dalla parte giusta sino a darne la vita. Dagli altri amici, che era tornato in Siria. So che a volte, mi chiedo cose che non dovrei pensare perché la paura della risposta è pugnalata al cuore, eppure, puntualmente, in certe precise date o circostanze si ripropongono con l'insistenza d'una martellata in testa. Sono comunque incontri che segnano. Orme, appunto, ma, come in questo caso, orme che gelano l'anima. Troppe sono le cose che spingono a uscire per bruciare una volta per tutte e poi sparire. Senza la voglia di scherzare o di far metafore di filosofia spiccia. Che il dolore non si dimentica mai,anche se può farci imparare una lezione,questo si. La vita conduce sempre alla morte, tic-tac, tic-tac, checché stupidamente lo si voglia ignorare. Perché si scrive?! Mah! Vecchie e care abitudini mai smesse, per chiamate che fluiscono dentro a mezzo della nostalgia di qualcosa che manca e che non sai cos'è, per una melodia ferita che si contempla allo spuntar d'una qualsiasi ora del giorno o della notte,magari per sentirne ancora la sorpresa per l'emozione che ti procura l'assenza,per cantare l'amore o uno stato felice, il sussurro della morte e tutti i suoi presagi, un compagno invisibile che ti passa accanto, oppure un buco ancora da riempire di altre tracce scheggiate di luce, che nel tempo prestissimo svaniranno o se qualora restassero un poco più lungo di un previsto, saranno equivocato perché interpretate superficialmente come uno crede, senza che l'autore possa avere il diritto della replica. Mirka "Love poems" (Nizar Kabbani)
...ma fu il suo distacco a rendermi ancora più perplessa
Ho visto migrare delle rondini dove mai saprò. Sinfonia d 'autunno memorie di primavere che odorano d'occhio e sospiri. L'invidia del gatto nello (s)degno del baffo leccato come un dio che punisce mentre gode del suo gioco. La meraviglia portata via dal vento dove solo a un dio è permesso goderne. Mirka
...e fu un passaggio dalla natura all'idea, dalla fisicità dei sensi allo spirito attraverso l'alleanza più profonda
. ..e in quelle oscure risonanze generate da radici e colori sporchi, la dolcezza di ricongiungersi alla forza del cosmo
. ..e tutto era vibrazione estesa ad ogni luogo del creato
Il whisky mi era andato di traverso e non c'era verso di calmare la tosse. Anziché rispondere, mi uscivano dei suoni gutturali che ovviamente nessuno poteva comprendere. Ho chiesto di pazientare. Ho dato la parola a un altro nel mentre continuavo a stizzirmiper la tosse e per quel "Porcellum" (tema trattato in quella sede) che fa comodo solo ai gaglioffi. Purché il "Porcellum" è proprio un mastodontico inciucio per far si che le liste elettorali siano "filtrate" dalle segreterie dei partiti e dove,o ci si allinea, oppure non si è neppure ammessi alla campagna elettorale,e dove per di più per disprezzo e disillusione ormai vota la minoranza degli aventi diritto...come evidenziatodi recente in Sicilia...Controllo elettorale completo e totale,allora! Quindi ancora i burocrati, ovviamente collegati alla leadership politica, ovviamente scientificamente manipolata dal controllo di tutti i mezzi comunicativi di massa,ridicolizzando, infamando, dis-informando, confondendo, sconcertando o isolando gli eventuali ostinati resistenti. Sarà per questo che Antonio di Pietro, voce di opposizione parlamentare della politica scellerata di Monti e della Troika PdL/PD/UDC, dà così fastidio persino ad alcuni esponenti del suo partito?... Eppure che piaccia o no,che abbia commesso errori o illegalità (auguro alla magistratura la sveltezza a far chiaro su addebiti di presunta illegalità ancora tutti da provare),mai potrà essere equiparato e confuso con gli scandali e reati di altri politici italiani. Che sia simpatico o no, nessuno gli potrà mai negare la coerenza chiara e netta contro la sciagurata politica di Monti e della troika, anche con manifestazioni popolari,referendum popolari di grande valore Costituzionale,raccolta di firme,opposizione alle missioni di guerra e al riarmo dissennato di questo governo e dei suoi supporter. Certo non ha avuto la capacità di selezionare i suoi quadri,prodotti di una stagione nella quale il nemico comune era Berlusconi e non Bersani o Casini ma la sua politica contro e per è sempre stata coerente ai principi della Costituzione Non sarà il caso di sfrugularci dentro per capire che "biscia" gli muove contro?... Non ho ripreso la parola anche se la voce nel frattempo m'era tornata limpida e forte come ai "bei tempi"... Mi sono alzata,invece. Calma, dritta su tutto il mio metro e sessanta e con decisione mi sono diretta alla porta.L 'ho aperta con la giusta lentezza cercando di non disturbare il dibattito in corso e sono uscita. Una folata d'aria gelida m'ha fatto alzare il bavero del cappotto,ma l'ho respirata a fondo. Senza una meta precisa ho cominciato a camminare. Mi sono trovata davanti a un cespuglio di margherite gialle. Sicuramente le ultime della stagione che sta per andarsene. La natura! Sono sempre stata attratta da lei. L'ho sempre auscultata,vista al microscopio; tutta. Dagli embrioni,dai germi,dal microcosmo. In un quasi piacere sensuale che porta alla magia e infine al mistico. Non più di questo mondo ma di un oltremondo magico. Oh come posso comprendere Redon,col suo inseguire tutto quel complesso di creature esoteriche,di diafani fantasmi,di apparizioni angeliche,composte,superate,oltrepassate in una sintesi perfetta. Una sintesi di vibrazione corpuscolare e di motivi lineari,di uno sciame di atomi e di un sistema di onde fluttuanti,che sono quasi il visibile effondersi e propagarsi di una invisibile e misteriosa energia della materia dove tutto, attraverso i vari atomi di sensazioni,viene riportato a un'unità fissa,a un dettaglio o a un punto preciso,senza tuttavia raffreddarne l'agitarsi delle cose. Penetrandole in un andamento fluido e ondulatorio nel tumulto dei sensi. Come ho provato anch'io davanti a quel cespuglio di fiori,di fronte alla radice di un'albero,immersa in una campagna di colori sfumati dall'oro al tramonto. E allora si che il cuore si allarga e ringrazia per questa ritrovata armonia fatta di tutto e che non costa niente. Se non la cura dell'uomo,l'amore per essa, consapevole del germogliare in fiori e frutti e grano, premio alle sue fatiche. Mirka "Somewhere in time" (Rachmaninoff)
. ..restò un poco di quella luce che l'amore regala e fa vincere lo sconforto, la noia e la cosiddetta realtà. Non a memoria ma come una canzone che conosci da sempre .L'oblio perché si rinasca e alfin si muoia.
"Il mondo è un palcoscenico, dove uomini e donne sono semplicemente gli attori. (Shakespeare) Dietro il sipario o a sipario alzato. Nel timore o tremore di sbagliare qualche passo di battuta.
...ma quanta strada! disse qualcuno. Davvero? risposi .Non me ne sono accorta se non per le vesciche ai piedi.
Sono molto espansiva con gli amici, leale, generosa sino all'eccesso e buona, anche quando sono obbligata a dire ciò che penso in dissonanza col loro modo di sentire. Con chi non conosco sono invece scostante, a volte persino altezzosa. Così almeno sembra. Non so da cosa dipenda, forse un retaggio d'antica timidezza, mai smessa o residui nell'anima disincantata da troppe esperienze. Sono fiduciosa da rasentare la credulità, però anche se da questa (costante) ne ho ricavato dolori e pena di mattone, debbo a quella stessa credulità, se il mio cuore è stato preservato dal preconcetto del male e dall'amarezza che ne deriva, tenendomi aperta la possibilità verso la speranza di cambiamento nel tempo, con la distanza necessaria per comprendere e mettersi sulla via di un recupero di bene.
Così, come da copione, anche quella mattina quando incontrai Gianni senza pensarci due volte ho allungato la familiarità spontanea del gesto. Era di spalle e circondato dalla gente (lui parla sempre ed è sempre al centro). Senza pensarci due volte, mi feci largo fra quel fitto di piumini grigi come di nebbia conosciuta nelle strade della bassa padana, o del color del piombo proiettile e fummo a un palmo di naso. La frazione dell'attimo che precede lo stupore dell'inaspettato, poi l'abbraccio stretto e caldo più di tutti quei piumini insieme fra un coro invidioso di oh come da copione. Dietro al sipario e sulla scena a sipario alzato. L'argomento era quello del giorno, Obama...il calo delle borse...gli e sodati. A me interessava l'amico anche se non non sono mancata nel l'aggiungersi a riguardo. Ho Salutato tutti cordialmente e ho ripreso il mio passo da bersagliera pensando e sorridendo. Sapevo che per un poco avrei avuto tutti gli occhi addosso. Come da copione. Così va il mondo. La scena comunque si chiude su quel gesto che fa bene perché uscito dalla spina dorsale dilatato fra le costole.
Poco lontano da una scuola e, all'incrocio di un viale alberato e due nodi di villette allineate come brave bambine da onirica memoria, un altro incontro. Una una mia allieva mi ha portato al tempo di quando avevo la sua età. Tredici anni o giù di lì. Aveva marinato la scuola. Anche a me era capitato. La stessa forcina storta fra i capelli scompigliati dalla corsa, le guance rosse come due pomodori. Ci siamo messe a ridere tutte e due quando lei mi ha raccontato la cosa. Però non ho chiesto più di quello che la discrezione permette quando la fiducia è di casa. I suoi occhi luccicavano in modo strano. Così ho capito che il motivo di tutto doveva essere un ragazzo. Mi sono alleata con lei. So che recupererà. E' brava e responsabile delle sue azioni. A casa farà la sua piccola recita personale, tanto per difendersi un poco dalle paura che si prova quando si sa d'aver infranto delle regole di vita e di comportamento, poi parlerà coi suoi genitori. Avrà la giusta punizione, infine l'abbraccio e la piena assoluzione. Loro glielo hanno insegnato con l'esempio. E l'esempio fa più d'ogni predica, urli, parole. In questo "gioco delle parti" c'era tutta la spontanea schiettezza del candore. Ci siamo lasciate con la felicità dell'incontro. Incontro felice perché senza che menzogna o sotterfugio l'avessero inquinato. A me restò solo un poco di nostalgia per un tempo passato e felice, che come luce all'improvviso uscirà quando ne avrò bisogno. Spero e mi auguro, come da copione. Da lontano i rintocchi di campana usciti da una piccola chiesa, a consolidare la fugacità d'ogni attimo, felice oppure no, purché il senso di quel richiamo è l'Unione, il comprendersi anche nelle diversità, lo stare insieme, dare una mano anziché spostarla. Felicità mai disgiunta da un poco di nostalgia. Mirka
Andante " (Concerto brandeburghese n 4 BWV 1049 J.S. Bach)
Respirò l'anima l'inimitabile realtà.Si consumò il sogno come fiammella d'erba.
Nella buca l'impronta di foglie colorate dal miele della terra l'albero a cui mi appesi la musica dei tuoi occhi la piccola chiesa in fondo commossa anche la luna.
Capita di sognare ancora di realtà come da nebbia nel mentre l'eco di passi e presenze di ticono che da lì sei passata
L'abbaiare insistente d'un cane, ci dice che c'è un cane. Il suo esistere è tutto in quel "dettaglio". E' così che prendono il via tanti frammenti di vita percorsa come il battere di un tempo ternario sospeso sul levare. E alla fine in sul finire del giorno e in prossimità della Grande Sera, sarà solo "quel" particolare a ricordarci che siamo esistiti, e chi incontrammo a ogni incrocio, è stata come una luce che ci camminò a fianco o come angelo di buio senza neppure il lanternino dell'inganno. Bagna la pioggia come lumaca lenta che lascia la sua scia sul selciato, sul viale fiocamente illuminato, sulla foglia appesa ancora all'albero, sul l'inferriata col suo squarcio di ruggine e di verde. Solo la testa è preservata dal bagnato. Lei lavora. In lucidità e in involontaria febbre per l'arrivo di quei lampi. E' lì che pulsa il suo destino che lampeggia e le attraversa l'anima, la scuote con quelle piccole porzioni di umanità fatta spugna di codici e qualche chiave per interpretato a posteriori, o come un'ernia che nutrì le api. S'interrogano i lampi e paiono persino gemere, dibattuti negli intrecci, e ognuno ch'è già è strato senza fare più paura. Senza priorità o interne relazioni di un insieme che sfugge nel mentre si riunisce. Ed è una bocca vorace subito seguita da un'altra, appena abbozzata, falciata da un'altra imparentatisi con la nuvola mutevole e spruzzata. E sono oceani l'intensità degli occhi riemersi freddi come un vetro d'inverno, o sfuggenti come Giuda quando i trenta. Grande la mano che suona il violoncello, sinfonia di pace a tutto il corpo, mentre l'altra una brace che subito fa cenere. Uno sguardo che buono accarezza bisbigliando di purezza, intorno il falco gira, scruta e poi ti squarta. Un calzino di seta blocca il passo, un altro porta la fuga col chiodo fisso nella testa. Il dono che guarda diritto e in festa, l'altro si volta, mesto è il sembiante che quasi a sembra lutto di sconsolata vedova. Un seno succhiato come da incesto, l'altro indifferente. Della gelatina sul vestito verde mai andata via, altre ridonando il quasi originale la lavatrice nei suoi giri. Un orecchio teso a mordere la panchina del giardino di un collegio, a invocare la campanella del parlatorio, il muto che tutte e due le riempì come cera d'alluminio. Un cuscino. Nel sotto e ben protetto un cioccolato sottratto alla badessa e un libro censurato, un genuflettorio d'ore a penitenza e la montagna di giaculatorie. La povertà nascosta come scettro mai svenduto nei ricami amorevoli di un vestito ricamato dalla zia, girovagano intanto spilli di occhi e tu li vedi. Una casa piccola con la veranda vicino all'unica stazione del paese aspetta la bambina che trema e trama per nascondere l'odore dello studente, non ci riesce e sono botte. Il gioco della settimana per fare venire la sera foriera d'un buon fritto espanso per le vie, sgambetti e corse, poi la quiete . La locomotiva dal nome così buffo da richiamare alla testa la bersagliera Lollobrigida, le rotaie come lunghi fiumi, i volti rumorosi quanto i soldini che tasca si portava in tasca per il panino col prosciutto o il bombolone, in disparte, silenzioso un colbacco a tessere i suoi sogni. Corse da schiantare il cuore nel tempo di febbraio maggio giugno e così via per conquistarsi un'autonomia del niente. Giorni cronometrati a morto o a festa per far quadrare i conti, musica rock quando non ha deluso. Gli alieni davanti al lungo tavolo dei cinici padroni, scudi alzati e pugnale in alto che inchiodano tavolo e spettacolo, per quel giorno, coscienti del Pirro ma nel trionfo dell'Aida. Agitazioni addomesticate da mobilità mappata in territori così stranieri da togliere ogni speranza a voi che entrate, i figli con lo studio in piedi. L 'imperioso bisogno di comprendere l'arte del vivere restata sui libri di sociologia o del gran Rousseau. La relatività come grande bilanciere, noi estranei e sradicati immersi nel grattacapo della cabala. Costante ricerca di una sicurezza che lasciasse fuori dall'uscio ogni straccio di dubbioso, per trovare la burla che intrappola senza neppure il sentore d'amicizia. Il canto delle allodole come dono di natura per riempire i silenzi di onirica memoria. La paura per un ventre squarciato impudico forcipe assassino, la gioia che si lecca la ferita aperta perché sano era il Pupo e bello nel suo rosso urlante voglio il nutrimento. Una piccola macchina per proteggere i segreti senza offendere la vita, solo di poco lontano, la tragedia delle belle di notte nei loro inventari di miseria e di forzati orrori. I polmoni a mantice da far invidia a Orfeo e ai mille cherubini in coro. Il mare di Sabaudia coi suoi echi di conchiglia e per sabbia i riccioli biondi dei giornali. Un biglietto d'aereo prenotato per la festa del ritorno. I giovedì dell'Enrico con musica e fuori la politica. La pioggia di fiori allo Chatelet io stordita e quasi ebete se non fosse stato per gli occhi lucidi di orgoglio. Le mura di Villa Pamphili scalpellate di rosso da un Radames inferocito in irragionevoli durezze. Una tavola di selvaggi nel giorno dell'Epifania nel mentre la neve... trasformati in pettirossi in marcia e saltellanti da villa Pamphili sino alla Piazza dove la fiaccola sta sempre accesa. Un profumo "famme" regalato con la timidezza dei cioccolatini incartati nella pasticceria dell' avenue Louise come fosse un peccato da non rivelare e neppure da svelare.
Un urlo nella notte per l'inaspettato artiglio che perfora il braccio, lo stupore del dolore che si ritrae e pensa. Una faccia liquefatta dalle lacrime con inciso un grazie solido, ma incapace di dar voce per l'emissione, che il tempo non conosce se non fosse che ora è morto Questo e poche altre cose ancora faranno crescere i lampi sull'erba ancora verde del prato mentre le sabbie immota ne prenderanno la consistenza di ombre e forme. Però. Adesso,TU che mi cammini appresso, dimmi cosa pensi quando cammini. Io ti dirò quello che, nel silenzio penso e un poco forse anche lascerò scappare che un sorriso nè estragga l'anima perché si ha vissuto. Mirka
A Te figlia della matrigna Terra ti sia migliore il Cielo.
Ti vedo mentre raccoglifoglie e petali di rose e nè fai sporta di memoria le tieni tra le gentili mani in meraviglia di stupore e già sono pennelli che calmano gli oceani il burrascoso dei passaggi e i venti in fiera lotta.
E ti vedo abbracciata a Me o io abbracciata a Te a respirare la linfa e i colori sul bianco d'ogni aurora di tutto strabiliante Rosse le guance hai e uccello palpitante il cuore ovunque in festa.
E ti vedo nell'ultimo atto della vita Tua a stringere a occhi il Sogno grande sulla cima della porta con la mano a segno del l arrivederci che mai tornò neppur nei sogni più invocati come di figlia al protettore ventre.
E ora che reale è la distanza tra me e Te e Me e te non mi resta che sostituirla con tutti quei colori che ancora guardo ma subito cancello perché fuggito è il senso di un desiderato di rinascita Com'è inodore il polline dei fiori nella casa dei morti, mamma! Anche la rosa li superba non s'aggira più e più non sparge il suo profumo ché il suo destino è l'alba col sole degli uccelli zittito solo all'allegria dì sera ora tutti assortiti per farti compagnia su quella scienza che conduce al tempio.
E per fortuna che tutto lentamente si consuma e che ad altro prende forma anche se i prati le rose e i fiori tutti quanti in profumo di stagione continueranno a crescere fra il selvaggio la rugiada la nebbia ed il sole nascosti i grilli le api il brusio del mondo raccolto in nenia di gioia o di dolore.
Solo ai vivi è datoil cerimoniale del lento viale come di processionale terra un vestito rosso a sfidato di intrecciati per emozionare ancora un poco il segno di un lasciato che condurrà alla marcia poi muovendo incontro al Carnevale della scena in frettolosa pensosa chiusa in frammentario specchio riflettente. Mirka