fiume

fiume
fiume della vita

martedì 31 maggio 2016

IL POTERE DELLA MUSICA (ovvero ciò che non potè il mestiere lo fece Lei)

                   
                    Dura la gola     La sciolse la Musica        non lo sbadiglio.






A volte capita che la gola si chiuda e non ci sia verso di sbloccarla. Fa male quel duro che sembra pietra che nulla ha a che fare con la Pietra dei filosofi!  Feci di tutto per  smuovere quel conflitto  situato un poco più su dal centro del corpo, ma tutto si dimostrò palliativo. Decisi allora di uscire. L'aria ha sempre avuto una forte presa su di me. Mi dà energia e al tempo stesso mi fa godere di tutto. Dai profumi che annuso e che mi diverto a distinguere, un fiore sbucato da una crepa, ( una volta ne ho trovato uno su la crosta di un muro), un uccello, il volto delle persone.  Debbo sempre stare attenta a dove metto i piedi, trasognata come mi sento.  Eccomi allora in cammino. Senza una meta precisa ma con buone possibilità di trovare quella confacente a cambiare in leggerezza la pesantezza del momento.   Mi hanno insegnato che il sole di fine maggio dà velocità alle gambe, ma dal momento che tutto è strettamente collegato al cervello e il cervello all'anima, dovetti ammettere,anche questa volta, la storiella della prima, la scientifica verità della seconda che, gola e gambe quando sono sassi non li smuove neppure maggio.  Cerco allora di mettere in moto la fantasia. Sono a Villa Scacciapensieri in veranda a fare colazione col profumo dei glicini, i tetti senesi nello sfondo, i prati verdissimi, i dipinti del Lorenzetti. O nella villa di S. Michele dove "quella" volta, dopo l'ebbrezza per avere rimirato tutti quei poggi tanto cari a Lorenzo de Medici, mi misi a saltare sul letto a baldacchino rompendo una delle tende e  invece di provare dispiacere  ridevo come una pazza. Un modo piuttosto sconveniente per la castellana come avrei dovuto sentirmi. L'aria che ora sto respirando mi afferma però che sono a Roma e Trinità Dei Monti mi sovrasta gli occhi. Villa Medici e il suo roof-garden con vetrate a 360 gradi sui tetti della città che un tempo fu anche Imperiale.  Anni fa ci sono capitata per un aperitivo. Roba passata. Bella. Elettrizzante ma... ei fu. Alzo le spalle e passo oltre.  Non mi piace inseguire il passato se non per rivivere, i lampi che mi ricomunicano gioia e allegria.    Arrivo davanti a una chiesa. Entro. La chiesa è affollata. Alcune teste sono congiunte tanto da formare un unico cestello. Sembrano cannucce così mescolate si che il nero diventa giallo e viceversa. Altre teste si danno un gran daffare spingendo all'estremo il collo in cerca di un volto noto, qualche altra sta incollata all'altare o nella direzione da dove sarebbe uscito il sacerdote. Anch'io guardo l'altare e penso al mistero del sacrificio che di lì a poco si rinnoverà. Povero Cristo dico a me stessa immolarsi per tanti idioti moltiplicatori di idiozia, cattiveria e crimini!   Che è valso donarsi, darsi a gente che neppure nell'ultimo istante troverà la luce del pentimento che redime almeno davanti a Lui?  Il dolore alla gola mi dà una stretta come il torturatore del pittor Cavaradossi nella Tosca di Puccini. Deglutisco più e più volte.     Ma ecco che delle note si levano da dietro le mie spalle come scaturite da una fonte  misteriosa e magica. Ta ta tataa ta ta ta taa tataa ta  Re doo si laa sol  sool fa Mi re do sii la laa sol Sol   fa sol mi fa re  mi volto stupita per cercare chi suona una delle melodie che perseguitò la mia giovinezza.  Una testa di donna si affaccia alla balaustra. Così lontano  non ne distinguo bene i caratteri ma ne intuisce  la fessura della bocca allargata da sembrare un emoticon proprio come quelle faccette che si usano ora su i tablet. L'organista invece è di spalle. Ne vedo solo la testa  piatta e di un nero sbiadito più vicino al l'argento.  Sento rotolarsi della grandine sul viso. Ma no!  Altro che grandine è acqua benedetta. Acqua che sta trasformando la pietra in molle e dolcissimo sciabordio.  Svelta tiro fuori dalla borsetta gli occhiali neri e con gesti lentissimi li indosso.  Il potere divino della Musica ha vinto ancora una volta. Da uno sbarramento che teneva bloccata la gola, al volo sciolto nello spazio. Incredula e stupita  posso finalmente concentrarmi e seguire attenta tutte le fasi del sacro rito. Cosa che solitamente mi riesce difficile che, nella testa mi passano tante cose. Ma la Musica ha  alleggerito,purificato e portato all'essenziale. E tra me mi dicevo mentre ancora i goccioloni scendevano senza che io avessi nessuna  voglia di fermarli  " Ecco la mia Amante segreta che non ha mai bluffato, bella come le tende di Kedar e stabile come sigillo di fuoco sul braccio  e senza macchia,(Cantico dei Cantici) la mia Verità centrale, guidata, come sempre, dalla mano sicura della passione e dell'amore è, l'onesto inestinguibile fuoco, la mia coscienza e forse anche l'ultimo bacio.  Seduzione vestita da Incantesimo per persuadere di nuovo che la Vita è onda di alte e basse maree e infine mare... alito fecondatore soffiato su delle strani eccitazioni, vertigine del più alto vertice di un Se profondo" raccolto ora, da un desiderio istintivo e inspiegabile di resistenza a lasciare quella chiesa e come semplice grazie regalarle anch'io il mio canto (cosa che feci nel Sanctus).   Troppo lirico questo Hosanna ?  Forse.  Ma è facile entrare in questo eccesso di esaltazione alla bellezza quando non si è un Ungaretti.  Comunque è stato un forte coinvolgimento.  Peccato che sul finire della performance nel Joy of man's Desiring di Bach quel l' organista prendesse la "rincorsa" con una velocità tale da parere un gabbiano (reale) ovviamente, più che un ottimo interprete. Un'artista, chissà, forse anonimo (a me sicuramente) e sconosciuto ai più dei fedeli raccolti per il rito sacro, ma probabilmente anche un poco suonato.  Si fa per dire. Ché eseguire così solo ai veramente grandi è dato sentire.

Mirka







"Adagio" (Concerto in Sol min-Tomaso Albinoni)





 Nota: Una precisazione per far capire il senso della frase messa sotto la fotografia. Nella tecnica del canto per rilassare (sciogliere) la rigidità della gola si usa , oltre le varie smorfie facciali, lo sbadiglio

mercoledì 25 maggio 2016

OGGI MI VA COSÌ




L'incontro d'aria poi       una boccata al gusto delle  prime more  poco distanti dalla casetta rossa di campagna      la siepe col biancospino sentita come religione alitata con potenza ma guai ad avvicinarsi       le ginocchia bruciate dai rovi come il rosolio fatto dalla zia     il profilo stagliato nell'ombra lasciata dal sole     la luce davanti e dietro adombrata solo da un fiore o da uno sciame di moscerini     qualche riflesso rosa e blu e la risata di pancia perché ci sei entrata dentro e non se ne distingue più il colore      la percezione acutissima che Dio stava lì, in ogni cosa creata sotto e sopra i miei occhi e non nei  rosari distratti o nelle lugubri chiese inquietanti      la lucertola  che a singhiozzi accarezzava l'erba e la pietra      le bave di lumache come guida  sicura a un posto che non si trovava e il "Da Capo" diventava  il premio di vittoria per l'ostinazione      il preliminare di coscienza che diceva anche all'orecchio della pelle "la sicurezza burla sempre un poco"      il riflusso come bomba nella testa      l'arrestarsi dove calore e luce sono incorporati e tremi insieme a quella foglia che ti sei respirata addosso come anima che invoca i dolori tenuti nascosti o semplicemente canta       la frenesia segreta per l'allegria sottratta ai grandi       la felicità d'esistere  sentita all'interno e fuori di me e niente importava se non viverla e trasmetterla con incontenibile entusiasmo come iniziazione alla vita nel suo corpo mortale nella sua anima infinita         il fresco delle foglie come piume che soffiano sul viso       il Tempo scandito come Sogno senza conoscerne i contorni e che colore  ha      l'immersione in infinite sfumature di verde e  intense azzurrite     la Musica come orizzonte nel quale specchiarsi piangere mentre la Gioia esplode       bagnarsi i piedi e arrivare dove ancora tutto è inviolabile e esplosione improvvisa       godere del bagnato       la voglia di ripeterlo senza neppure un brivido di freddo        le città immaginate saltando su dei sampietrini      le macchine tranquille   i finestrini aperti con le mani che fanno ciao     L'incantesimo davanti al Piero Della Francesca o su un volto del Giorgione e di quel "monaco"  e pensare con la coscienza che guizza per un altro colpo          una fiaba sempre pronta da inventare per la cena ritardata      un lampo di rossore per la camicetta sgualcita        la battuta alterata di chi non sa trovar risposta alle valanghe di domande       i musi lunghi sul piatto caldo che lentamente si raffredda        un rimorso che non sa di colpa       quattro parole dette con la pupilla dilatata e la tranquilla impassibilità di un Buddha per un silenzio prolungato        Oggi mi va così.        Echi e questo  ricordo.     Una pura essenza che troverà sempre il senso del percorso di una mèta Senza Nome per cui vincere o perdere, perdere o vincere saranno sempre un gioco alla pari, ma dove l'unica dimensione sarà sempre e comunque il fondo.     Un fondo sempre da esplorare.      Così sognava in un qualunque giorno di maggio, una ragazzina ribelle e testarda sfogliando una Margherita ai piedi della sua Stella preferita. Sirio. La prima stella che lei vede e pare chiamare alla conta chi ritarda, si nasconde, o per qualcosa sempre sconosciuto  e imbronciato. Ché alla fine di tutto è sempre l'attendente sfogliando una margherita immaginaria quello che si fa, mentre il compimento di ogni cosa sognata, spesso, è solo fuori dal tempo, là dove la luce non sarà mai oscurata neppure dall'ombra di un fiore e dove ogni complessità o viluppo di intrighi destinati sarà semplicemente un libero volo unito. Così mi piace pensare e sperare che almeno questo Sogno non sia solo una mera proiezione di un desiderio impastato di assoluta Bellezza.

Mirka



"Era de Maggio" (Roberto Murolo)


giovedì 19 maggio 2016

IL RIAFFIORARE





E l'improvviso       di una scrittura amata portò alle gambe il senso della marcia per ritrovare nei voli di farfalla tutti i colori di una stagione nuova, l'atto di volontà a farcela che sempre contraddistinse il mio andare incontro, dire a me quanto sia bello sentire,  provare emozione, e percepire il ritmo in ogni cosa e io strettamente legata a loro.   Magari  comunicandola agli altri attraverso gli occhi, con un ascolto sincero ed empatico, la calma "pensata" di una risposta riaffiorata da tutte le cose viste e  insieme unite.  Essere capace di riappacificare ogni moto contrario, i tempestosi sbalzi di umore, le inquietudini, anche se motivate. Una serenità, insomma, che si contempla, per dirla alla maniera di Wordsworth, come homo che parla a un altro homo, dai miei agli occhi degli altri e viceversa, consapevole di farlo e di ciò che sta avvenendo.   Il potere della scrittura.   Lei che era armonia nel suo ridere di tutto e      piangere.    Mirka



"Adagio " (Concerto V Imperatore - Op 73 E flat Major -Ludwig van Beethoven)




giovedì 12 maggio 2016

FINZIONE E REALTÀ









Eri sulla porta 
e con la mano davi
 il cenno del l'arrivederci

 ma entrambe sapevamo di fingere come 
l'antico gioco che fa la mamma col bambino.

 Il mio volto rigato dal broncio lungo di lumaca 
il cuore stretto sul  freddo del l'acciaio
negli occhi la tua mano levata nel gesto di saluto.

 Ma tu sapevi essere quella la realtà 
 che non risparmia un poco di finzione

 e fu proprio così l'ultima volta che ti vidi
 impresso ai margini degli occhi 
 la mano alzata e un po di voce.


  Forse è così che si sopravvive
 fingendo che non sia vero quel
 l'inimitabile rituale che fumando
 con impazienza aspetta?

 Mirka


"Barcarolle" (Les Contes d'Hoffmann- Offenbach)









martedì 10 maggio 2016

LE DIVERSE UMANE REALTA'




Nel palazzo dove abito, aperto da una striscia di cielo e da un tentativo di giardino, incontro il giorno buono o meno sul volto delle persone già affacciate al cancello aperto lentamente  o sbattuto of course con fragore di vetri ostinati a restare in piedi con tutta l'intenzione di prendersi il "loro" tempo.  Ci si saluta come educazione virtuosa ha insegnato, si accompagna il saluto come se si fosse interrotta una conversazione fatta il giorno prima o si accenna un sorriso come si fa a teatro col binocolo.  E' un palazzo tutto sommato, tranquillo, quello in cui abito adesso.  Qualche uccello che canta al mattino e nelle prime ore del pomeriggio c'è sempre, l'abbaiare di qualche cane nelle prime ore della sera anche, e solo a sorpresa delle urla di una ragazzina probabilmente  imparate da genitori non proprio amanti del canto gregoriano, o di qualche giovane gasato di birra e di voglie non risolte che spaccano il collo e non solo la moto.

Per la strada,quando la luce non abbaglia e il vento non obbliga agli occhiali degli spioni, accoglie i colori dei negozi, la vita silenziosa che ci tromba dentro, i banchi del marocchino con le arance più belle esposte a coprire quelle marce, qualche risata e qualche strillo raccolto fra una ragnatela di fumo e una sgommata d'auto, una faccia musulmana sempre pronta come un gatto a capire, sbattendo in faccia ai passanti il giornale o i calzini firmati cotone anzi che nylon, un tizio smarrito e sempre in bilico di cadere al semaforo giallo.

I bar gremiti come pugili d'assalto che arretrano solo per un'occhiata dritta e ferma, teste bianche, rosse e pelate sul gratta e vinci di turno, col cuore che martella desideri messi proprio male se si sentono battere oltre la camicia per smettere poi  come se davvero ci fosse il morto. Spesso mi viene da piangere per loro e insieme a loro. 
 L'improvviso di spalle, a volte, mi raggiunge a sorpresa di cielo, guizza d'anguilla il sangue, mentre cospira il tuono sul filo di una sotterranea corrente, nel mentre intenerisce la memoria e il cuore su quel passo lento come chi viene da molto lontano e da lungo viaggio, apparendo come la più bella e lieve nuvola sorta da chissà quale arcobaleno, portato su ali d'aquila reale di un tempo che fu e  che ora nel l' ora presente scarti  se non per concentrati visioni di superbo volo.

I bus vecchi come il Signore non più onnipotente, buoni e giusti  solo per l'Odissea spietata della schiena e delle budella, ( incerta molto la vittoria), i fiumi umani dagli odori più svariati di cucine grasse e speziate, alle tracce del nero del cemento, il sudore del lavoro. Un palcoscenico di comparse i cui protagonisti principali sono i cellulari,  qualche pantalone gonfio per lo struscio fugace e voluto di una mano allungata, subito afflosciandosi senza la posata farfallina.  Mascelle irte di peli e dure anche nel sonno di teste danzanti il ballo della salsa.   Sono pochi quelli che ridono se si escludono i ricercatori di chat. Qualcuno crede di parlare al suo vicino senza accorgersi del monologo che ha imbastito come  fanno i matti.   Un bambino cinese ingurgita Coca Cola, rutta e si diverte a chiedere scusa alla madre. Mi fa ridere quel gioco ancora abbastanza innocente e rido. Altri bimbi, dai colori più svariati sgambetta su enormi passeggini che bloccano l'uscita sotto l'occhio compiaciuto di papà e mamma. Stringo la fronte e penso che ci vorrebbe poco chiudere il passeggino, prendersi in braccio il pupo e lasciare libera la via ma... Ecco l'umanità che ogni giorno incontro.   Eppure lo stupore in agguato mi prende come un violino di antica risonanza arrivato alle orecchie della mia memoria, quando qualcuno sbatte gli occhi su di me, giovani o vecchi che siano e immediatamente mi cedono il posto e io penso  caspita sono  diventata una  Rita Levi Montalcini o improvvisamente molto sfortunata...  o quando gli occhi mi cadono su persone di ogni età  con le poesie di J. Keats fra le mani, un saggio di Z. Bauman,  un libro  di S. Màrai.  E guardo e strani ti gli occhi, indugio a guardare senza vergognarsi per l' insistenza e mi dico  No.  Nulla è  ancora veramente perduto. E' solo un poco logorato il tempo, per troppa inerzia, per molta pigrizia delegante, il troppo lavoro che non piace o fatto solo per soldi  oppure preoccupati  seriamente per un contratto in "forse"  o     per  Catene alle Ali.   Così mi si rinfrancato si fa il passo stanco e torno svelta sorridendo a casa, orgogliosa e fiduciosa che,   Eppur Si  Muove  anche se da sveglia non ne avrò certezza né conferma.


Mirka ( Zorba) 




"Io non mi sento italiano" (Giorgio Gaber)






domenica 8 maggio 2016

MAMMA

 A te che fosti sempre la mia fiaba.    Il più incredibile prodigio che seppe tramutare, sempre, l'acqua nel  migliore dei vini.     Ovunque Auguri e    Grazie. Mirka


""Mamma" 

venerdì 6 maggio 2016

SPIAZZATO L'UMORE E IL CIELO








Un cielo rabbuiato  

il mio umore ancor di più 

la  risata del bel tempo 

improvvisa venne a soccorso

 libertà d'immaginare    

 il gioco  del vincente    

 con la logica  di sempre .

Umore spiazzato e anche il cielo.



Mirka








"Andante" (Do Mag k 545 Sonata semplice W.A Mozart)





Nota:  Dedicata a tutti i miei allievi sparsi affinchè ricordino che solo nella serietà del gioco si può vincere tutto. Anche la paura di mettersi contro un Cielo dispettoso.  Viverle come se fosse l'infinito gioco che si faceva da bambini. Un Pallottoliere che se ne inverte l'ordine per Imparare cominciando dal "da capo"

domenica 1 maggio 2016

LEONARD BERNSTEIN







Come una scatola magica lasciata in soffitta irrompono i bei ricordi come un festoso e colorato gioco di birilli. Sono loro a dare allegria al giorno quando diventa avaro di colori. E come fossi tornata bambina mi piace riprenderli, giocare, emozionarmi, ridere o mordermi il labbro inferiore come  facevo e faccio ancora per qualche  gioco lasciato in sospeso  che conduce a un poi, retrospettivo, lasciato forse per inadeguatezza,timidezza o per uno stupore di meraviglia che fa lenti i movimenti, ingabbia la mente, la rinchiude ai confini dell'immaginario possibile quando invece...     Anche oggi mi domando se fu anche lì un giocare (perfido) del Destino, una questione di tempi non coincidenti, un eccesso di scrupoli, la mia  pigrizia, un birillo messo nel gruppo col lancio distratto della palla o la non conoscenza delle regole del gioco, quelle regole, non conosciute ma che si deve sperimentare in proprio,se non mi permise di cogliere quel "preciso" momento, per curarlo, studiarlo, renderlo lezione e scuola sul flusso naturale del mio percorso.         La mia vestina blu di seta fiorita a margherite e viole con qualche papavero dal lungo gambo verde, lo spartito ben stretto al petto, il corridoio interminabile dell'Auditorium impolverato dal sole di giugno, affiancata  a una persona col maglioncino di seta rosso, i capelli a modo di ragnatela brillante di rugiada, una gamba alla quale facevo fatica ad adattarsi per la lunga falciata, il gioco di ombre e luci che si alternavano sul suo volto e che io cercavo d'interpretare rabbuiandomi come un temporale o illuminandosi come una torcia da mille watt,  il mio ininterrotto farfugliare.  (cinguetto sempre quando sono imbarazzata ma felice).   Così ricordo il mio primo incontro col Maestro Leonard Bernstein per la prova al pianoforte di "Das Lied von der Erde di Gustav Mahler.    Dopo, nella sala di prova, fu solamente qualche timido suono emesso da una gola chiusa ma che Lui "intuì"  preciso, rotondo e intenso, molte pause di ascolto da parte mia, l'idea di cosa fosse la perfezione e  il  suo tono imperioso pur nella gentilezza misurata che mi ingiungeva di mirare sempre alle grandi altezze,  le risate.  Le risate improvvise di entrambi, complici di magnifici sottintesi ma preziose per nutrire il mio pensiero ancora acerbo  dandogli il via per una forma, sostanza nelle infinite sfumature. Quando per testare il mio terreno musicale e la conoscenza di Mahler mi chiese con indifferenza, cosa pensassi del compositore, gli risposi nel modo più disordinato e lontano anni luce dal linguaggio tecnico della musicista   quello che so che mi fa piangere     sento antiche risonanze     dentro la sua musica percepisce  lo spirito universale    la terra coi suoi prodigi e le sue terribili rivolte    l'idea del cielo     la redenzione    la pace .    Lui si limitò a sorridere.  Un sorriso enigmatico che, se  allora non riuscii ad interpretarlo,  non scomparve mai dalla mia mente e che a mia insaputa lavorò, procurandomi sconcerto e l'aggiunta di altra confusione.    Lasciata la stanza della prova, ricordo il tremore che mi aveva preso le gambe. Mi dondolavano come fossi ubriaca ma, come tutti gli ubriachi felice senza conoscere la ragione e con una gran voglia di ripetere la sbronza. Cosa che feci nella realtà di ogni incontro, bevendo, assorbendo e senza mai saziarsi.    Preparata, ricca di pathos e sicura, mi apprestavo a mettere in pratica tutto ciò che avevo imparato, imitato e fatto mio, se non si fosse messo in mezzo lo zampino di qualche forte diavolo. Una brutta e recidiva tonsillite mi obbligò all'asportazione delle tonsille con relativa sospensione della Performance.  Al dispiacere mio e a quello del Maestro per tale increscioso incidente, fece seguito, per un poco di tempo, un carteggio fra me e Bernstein, con la promessa di rifarci presto e con una sicurezza nuova.  Purtroppo  anche Lui si ammalò e io non ebbi la forza o il coraggio di mettere in opera la mia risaputa testardaggine. E qui non fui un'abile giocatrice. Ma ero così giovane! Troppo giovane in tutto per osare il gioco,  anche a distanza, coi veramente grandi. Eppure se fossi stata, anche quella volta, la monella di strada  di certe mie azioni audaci, quelle che rivoltano il mondo e lo ricreano, sarebbe stato Intelligente insistere anche col rischio d'essere mandata al l'inferno.   A volte penso e rifletto su quella forza oscura e così potente che fu capace di frapporsi fra l'essenza che vive e pulsa dentro il midollo del l'istinto e la mente bloccandolo nella sua "chiamata" che  spinge a insistere. E rabbrividisce pensando alle tante deviazioni imposte al Destino da noi, in quel l'orizzonte intravisto con indicibile meraviglia, "senza confini", ma recintato dai pensieri con l'ambiguità degli scrupoli, (nello specifico caso il non volere accettare le mie imperfezioni  per presentare il massimo del meglio di me)  ci lusinga, filtra, le stupide e forse anche le vigliacche paure immaginate.   Ma è andata così.  Inutile  rimpiangere ciò che si poteva e  si doveva. Inutile come respirare aria piena di fumo credendola marina e all'alba. Forse nella prossima vita... chissà. 
Una cosa preziosa  comunque imparai dal Maestro. Una lezione della quale feci tesoro per ogni mio futuro approccio musicale. Come si entra nello spirito di un compositore e in assonanza con la sua essenza restando nuovi e fuori da ogni invecchiamento, con la profondità dei sentimenti, ricreando lo stesso sentimento che ispirò il compositore nello splendore che lo rese immortale. E almeno in questo, credo, d'essere stata l'allieva che allora mancò a un appuntamento che per certi versi era predestinato a seguire le stesse orme di luce.

Mirka




Der Abschied  (Das Lied von der Herde- Gustav Mahler)


 ...Egli scese da cavallo e gli porse la bevanda dell'addio. Gli chiese dove andava e perchè doveva partire. Rispose, e la sua voce era velata: Amico mio, la fortuna in questo mondo mi fu avversa! Dove vado? Io vado. M'incammino verso i monti. Cerco pace al mio cuore che è solo. Torno alla terra natale, mia dimora! Mai più in paesi stranieri andrò errando. Tace il mio cuore e attende la sua ora; la buona terra fiorisce ovunque in primavera e torna verde! Ovunque e in eterno splendono le lontananze azzurre. In eterno, in eterno...