In un certo qual modo era per entrambi come un tacito appuntamento che, mancato, faceva grigio il giorno e oscurati gli occhi. Lo so perchè quando capitava d'incontrarsi nei corridoi del Conservatorio, il sorriso che si levava sui volti di entrambi era forzato e scuro. Ne restava comunque una nota vibrante che via via assumeva l'intensità di un colore come il rosso di certe albe. E non c'era verso di spegnerla. Questo per me, ma se penso ai misteriosi innesti di sincronia so che doveva succedere anche a Lui. Ne ebbi la conferma giocando a fargli l'oroscopo per arrivare a sapere se fosse vero il mio sentire. Sono sempre audace con chi mi fa sentire a mio agio e libera di iniziative coinvolgenti, coinvolgendo chiunque a provare il gusto felice della libertà accettata e pienamente divisibile. Il treno era lo stesso,n. 521, carrozza 44, ora 7.15 del mattino. Lui saliva a Bologna, io a Reggio Emilia e, come meta comune Parma. Sapevo che sarebbe passato con quel treno. In cuor mio desideravo che anche lui incrociasse il mio pensiero, sperando che anche lui attendesse il mio arrivo. E quando gli Insiemi combaciavano, le mie gambe diventavano Ali di merla. Con studiata noncuranza, maliziosa solo quel tanto per togliere l'eccesso ingombrante del cuore, davo due colpetti al vetro dello scompartimento, allungando il collo sino al limite estremo, (mai avuto un collo da oca così lungo neppure nei miei incubi da cattiva digestione!) e, assicurato che non ci fosse nessuno, con la soavità dello zefiro anche se tutti i venti si erano scatenati come folletti sbronzi si, ma spinti da un unico inarrestabile pensiero, con un colpo di quel l' ala di merla sbloccavo la porta. Deposto lo zainetto dei libri e la borsetta con gli innocenti strumenti femminili, davo il via a una verbosità dapprima banale come può essere quella di un pappagallo ripetitivo, del tipo stamattina ho visto una farfalla una farfalla bianca ho cantato felice come lei farfallina bella e bianca vola vola e mai si stanca, per passare ad altezze vertiginose del tipo la nostra vita è la realizzazione di un dovere assegnato ci dal destinato e tutto è fatto in modo che questa realizzazione sia guidata dalla gioia oppure la vita è un'onda che sfida l'uomo con la magia della sua altezza la vita il più delle volte la si rappresenta e si lascia perdere l'occasione di viverla e roba del genere e chissà chi me le aveva infilato in testa. Lui mi guardava coi suoi occhi marroni di castagna maturata al sole sotto i boccoli già spruzzati d'argento ma con lo sguardo perso come in un sogno lontano. Credo che dovesse divertirlo un mondo l'aria saputa di un'adolescente quale io ero allora! Solitamente teneva sulle ginocchia uno spartito o un quaderno per scrittura musicale. La mia curiosità salita alle stelle, cercava in mille modi di decifrare il significato dei segni, delle annotazioni lasciate con la minuziosa scrittura del pensatore. Un giorno senza distogliere gli occhi dai suoi, gli domandai a bruciapelo "Maestro che nome ha dato a questa composizione? " "Occhi neri" mi rispose e io subito di rimando ma col volto imbronciato come fanno i bimbi Ma falle gli occhi azzurri! Da quel momento ma falle gli occhi azzurri fu sempre il nostro Buon Giorno anche alle sette del pomeriggio. E' vero che non seppi mai se cambiò la versione originale, ma di sicuro so che qualcosa di invisibile e solo nostro ci rese complici di un dolce, innocente, intrigante segreto, oltre, ovviamente, alla profonda stima reciproca che non si perse mai. Da allora sono passati un poco di anni, eppure quella visione non è mai uscita dai miei occhi, nè dal cuore, e ora che qualche stella dal mio universo si è spenta, riappare vivida la sua, come stella cometa nel ricordo di un bambino che d'incanto finisce dentro a una bella fiaba. E so che, nelle curve del vivere per ogni uomo c'è una cosa che capita, nel momento giusto, solo in quel momento, mai prima né dopo. E so della felicità che può recare ogni attesa. Ora quella di un ricordo, bello anche nell'incertezza del Presente ma sentito come l'eternità di un abbraccio attraverso la gioia mai spenta. Anche a Te, Maestro, ovunque...grazie e...arrivederci. Mirka "Recondita armonia" (Primo atto Tosca- G. Puccini)
Nota: Il M. Lino Liviabella oltre che compositore di fama internazionale e di grande cultura umanistica, fu il Direttore del Conservatorio di Parma per tutto il tempo dei miei studi musicali
Uno due tre e si fermava per riprendere subito dopo con testardaggine quasi capricciosa il gioco che insegue la certezza per renderla nitida anche al cuore, pur consapevole di frugare nel dolore. Uno due quattro un equilibrio tra numeri pari. Hanno tutti lo stesso colore, quei numeri. Un colore rosso scuro. Rosso come la terra bruciata dal troppo sole, rosso come una ferita che prova a cicatrizzarsi ma non riesce neppure col premio finale della dimenticanza. La donna sa che le farà male rovistare fra quei buchi sui nervi anche se è cosciente che non sarà quel dolore a portarla alla morte. O meglio. Di certo non sarà quel tipo di dolore a farla morire. E se anche fosse dopo tutto non ha mai avuto paura della morte. Da quando ricorda,e cioè da sempre,s'è educata ad accettare la realtà senza mai nascondersela raccontandosi illusioni. Un'educazione fine capillare lucida implacabile e costosa ma spazzante miti e pietose bugie. Anche ora che scrive sa che non l'ascolterà nessuno. Ma che importa. Quando si è cresciuti negli anni si può benissimo parlare e ascoltarsi anche da soli senza più il desiderio della condivisione che cerca di rassicurare nel mentre maldestramente avanza una consolazione. Uno due tre quattro. cinque sei. Quattro uomini e due donne. Scosta la sedia dal tavolo e fa per alzarsi. La sua verifica è giunta a termine. Quattro sono stati gli uomini che hanno ab/usato delle sue lacrime, due le donne che le hanno visto dirompere restando impassibili a guardarle se non per la vigilanza d'attesa che quelle lacrime finissero per respirare più comodamente disputandosi il merito dell'ultimo saluto asciutto. Karina lasciò cadere sul quaderno la penna usata per scrivere di quei brutti ricordi liberando la gola da quel nodo che da un paio d'anni minacciava d'ingolfarla nel suo volo leggero d'anima bambina e, sempre parlando da sola concluse anche il conteggio di quella dura aritmetica con queste parole "Nel l'uomo è sempre l'impotenza a raggiungere, a fare, ad Amare, la paura istintiva che difetti e idiosincrasie vengano scoperti togliendo il fascino di un "prima" chegenera il godimento della sofferenza di una donna, dandogli il piacere delle lacrime, mentre nella donna sarà sempre il conflitto combattuto fra l'amicizia fondata sul sentimento e un poco di fredda razionalità che tenta di mediare la "vergogna" di sentirsi in colpa. Karina supplicò il Dio con la lucidità che doveva avere un Ralph Waldo Emerson affinchè le regalasse il dono della dimenticanza più che il perdono che,di quello non ne sarebbe mai stata capace. Il cinismo non ammette sconti di bontà. Per lei e per il "suo" bene questo solo chiedeva al Dio. Per un attimo rivide il caldo brodo delle sue lacrime, gli impassibili spettatori e lo stomaco le si rivoltò. Ma fu un attimo. Karina sa che anche lei ha le sue colpe, ne vuole esimersi dalla responsabilità a riconoscerle come dal l'assolverle, purtuttavia riserva agli altri per intero tutta la sua pena per l'inganno crudele dato al loro cuore impoverendolo con la meschinità della miseria anzi che arricchirlo con la bontà vera di uno slancio empatico e umano. Con fastidio spazzò l'ultima lacrima restata come un ghiacciolo a sei punte aguzze sul bordo del l'occhio sinistro. Chiuse lentamente il quaderno degli appunti, col pensiero già oltre e altrove, scostò la sedia e si alzò. Respirò a fondo. Fece qualche smorfia per rilassare i muscoli contratti del volto e si stirò come faceva Omero, il suo gatto, restato a far la guardia lassù, al Nord dello Stivale,nel giardino coi lillà e gelsomini a maggio e la neve a gennaio nella Casa Della Gioia e poco distante da sua madre. E finalmente sorrise. Grazie al buon Dio o per le improvvise soste della buona sorte, poteva rinfrescarsi gli occhi stanchi e brucianti su ben altre visioni, nel l'intuizione che si avvale del buio della notte,come per il dolore, per ricomporre i sogni più alti sino alla commozione più profonda,Invisibile a tutti se non per una strana luce misteriosa che appare e scompare a secondo della luna di certe notti estive che pare un occhio vigile di Madonna. Mirka (Dai Racconti -Il Destino Nel Nome) Danze Ungheresi ( 1 2 3 -Johannes Brahms)
Perchè così restia? E intanto saltava un bottone Perchè così lontana? E intanto volava una scarpa sfiorando un angolo del petto Perchè così imbronciata? E intanto sgorgavano mirtilli di luce sul volto boschivo Perchè così muta? E intanto si materializzava l'aria di musica andina Perchè così lenta a venire? E intanto gli uccelli si ergevano a garriti di mare come fa l'onda quando s' impenna.
Alti si levarono i calici obliqui gli occhi violetti germinava nel buio la vita un treno cigolava o forse gemeva del suo sfinito e molle. In agguato febbre, sudore, biancheria, tracce di fiori,oggetti sparsi, una tenda da l' incerto azzurro. E' bello il Tempo dell'amore. Tutto è possibilità. Arte fine di ladri senza fissa dimora ma di meta certa. Il sole ha la vastità dell'umido pulsare e muto è il grido che s' incolla alla pelle mentre succhia l'osso dell'anima. E fosse pure che, nel corso della vita dovesse fermarsi l'orologio del Gran Fuoco, resterà comunque tra gli spaghi della cenere una brace, emersa come per magia dal mistero della nostra memoria. E sarà lei, la brace, quella che conserverà, come un passaggio ardimentoso in vetta o in valle, tra i papaveri, le lucciole o gli occhi, il senso di una trionfalistica magnifica illusione. Mirka