fiume

fiume
fiume della vita

mercoledì 31 ottobre 2012

GIOACHINO BELLI.-POESIA PIU' PER RIFLETTERE CHE PER RIDERE.





Anche noi come l'artista ci sentiamo empaticamente vicini al soggetto che ispirò le opere.  Nel pesce imbrigliato nel vetro,nel sentimento d'ira che dovette provare il Cristo quando cacciò i mercanti dal Tempio,l'energia liberata scaturita da quella forma,sprigionante una sensibilità obiettiva,fondamento stesso dell'arte e dell'artista,anche se oscuro è lo schema  che l'ha guidato alla creazione dell'opera.  In ogni caso "qualcosa" comunica,solleva domande,acuisce la fantasia,si appella a un sentimento di comunità ed è capace di assicurare una continuità storica all'arte non religiosa,ma che risveglia dei valori universali.  In tutti i casi l'opera d'arte,produce sempre il suo effetto prima ancora che si diventi consapevoli del suo significato profondo,cercandone l'intuizione,passata prima dal sentimento,poi dalla mente che,elaborandola ne sia capace di trascenderla sino ad intuirne l'essenza originaria.






Co' la cosa che er coco m'è compare
m'ha voluto fa vede' stammatina 
la cucina santissima.Cucina?
Che cucina! Hai da di' porto de mare.

Pile,marmitte,padelle,callare,
cosciotti de vitella e de vaccina,
polli,ovi,latte,pesce,erbe,porcina.
caccia e ogni sorta de vivanne rare.

Dico: "Prosite a lei sor Padre Santo!".
Dciec:"Eppoi nun hai visto la dispenza,
che de grazia de Dio ce n'è altrettanto".

Dico:" Eh,scusate,povero fijolo!
Ma cià a pranzo co lui quarch'Eminenza?".
"Nòo,"dice",er Papa magna sempre solo".

                                                            ( Gioachino Belli)



Qualcuno non mancherà  di notare che,nella  nella descrizione di pasti cardinalizi,di nobili e di signori, nell'allora del Belli, le vivande e i  piatti  erano ricavati dalla parte nobile degli animali. Cioè di cosciotti di vitello,di vaccina o di manzo,di cacciagione,di caviale,di storione e così via senza accennare a certe altre parti considerate,diciamo così,ignobili,come per esempio certe frattaglie che non dico venissero buttate via,ma erano cedute a basso prezzo ai negozi che spacciavano roba del genere (come ce ne sono ancora tanti dalle parti del Pantheon o di Piazza di Trevi e precisamente in via del Lavatore), dove venivano acquistate dal popolino che non si poteva permettere allora il lusso di una gallina,e nemmeno di un polletto,perchè quelli d'allevamento non esistevano,nè quello di un bel bisteccone,o di arrosto tratto dai quarti posteriori e dal petto dei bovini.
La povera gente l'acquistava a poco prezzo e s'ingegnava a farla diventare gustosa cucinandola con amore e con vivo senso d'inventiva.  Sono nati così dei piatti caratteristici che venivano cucinati anche nelle bettole e dai "bujaccari" (bujacca significa minestra e,al tempo del Belli,soprattutto in via Urbana o nei paraggi di via dei Serpenti ve n'erano parecchi che oltre alla minestra cucinavano la "zinna" che poi sarebbe la mammella di vaccina,la milza,la pagliata ed altri piatti che non avrebbero giammai varcato le soglie dei palazzi gentilizi o cardinalizi). Ebbene,questa povera gente imparò a cucinare così ingegnosamente questa roba spregievole che la fama si parse anche nell'alta società e oggi succede di vedere  nelle osterie di Trastevere  e di Testaccio i signori che fanno la fila per poter occupare un tavolino libero dove poter gustare i rigatoni con la pagliata,la pagliata,(che son le budella d'agnello intrecciate e arrostite su una graticola) e che magari si divertono un mondo a sentirsi insultare dall'oste che li tratta come pezze da piedi,il che "fa molto fino".
Uno di questi piatti per i quali i signori di oggi diventano matti e che sono stati inventati dai poveracci di ieri è la   

CODA  ALLA  VACCINARA  (ovviamente alla maniera del BELLI)

Facciamo che siano per i soliti sei dallo stomaco buono.

Un kilo e mezzo di coda e guancia di bue,lardo,strutto,cipolla,carota gialla,aglio,prezzemolo,sale e pepe,vino rosso fermo (barolo),un barattolo piccolo di pomodoro,e soprattutto sedano.Ma non di quello bianco,raffinato,che si mangia a cazzimperio (olio sale e pepe),bensì di quello verde che si presenta bruttissimo alla vista ma il cui aroma è quello che rende questo piatto così saporito.
Tagliate le guance di vaccina in pezzi regolari e la coda divisa in tanti tronchetti,all'altezza della giuntura fra le varie vertebre. Poi sciacquare tutto.
Preparare un bel pesto col lardo,cipolla,carota e prezzemolo,fare squagliare in una casseruola un cucchiaio di strutto,farlo soffriggere,quindi buttare le guance e la coda. Un pò di sale e di pepe lasciando che ogni cosa rosoli per bene sino a che raggiunga un bel colore oro scuro. Versare il bicchiere di vino rosso (secco-fermo) e soltanto quando è evaporato si aggiunge la conserva di pomodoro. Ricoprire coda e guance con acqua bollente che si sarà fatta riscaldare a parte,abbassare il calore del fornello e coprire la casseruola con il suo coperchio,facendolo bollire molto lentamente.
Nell'acqua fatta bollire a parte,si saranno fatti cuocere delle costole di sedano, della lunghezza di sette o otto centimetri. Quando la coda con le guance sono quasi cotte,aggiungere le costole di sedano e lasciarli cuocere insieme a tutto quanto. Cottura circa sei ore.

Finale?...dolcetto scherzetto,grappa magari quella torbata o quella di castagna ma ottima anche quella "dura" e...sogni d'oro che,almeno una volta nella vita se pò dì d'aver provato un piatto da gran signore fatto con poco.

Mirka


"Fiori Trasteverini"







 Annotazioni- Le foto sopra sono state prese da un libro.Il pesce tonno in vetro, arte veneziana del 17 Sec.La foto sotto " Il Cristo che scaccia i mercanti dal Tempio" dipinto del Greco

sabato 27 ottobre 2012

IL TARLO DI AURORA

                                       Ribelle più per autonomia che per natura




 
Un altro ricordo della vita passata tornava a tormentare Aurora.
Con ansia cominciò a chiedersi in che cosa aveva sbagliato,quella volta.
 Anche quel giorno pioveva,proprio come oggi,e tu correvi senza più fiato e senza sapere che non mi avresti mai raggiunto  Viene da chiedersi,sino a che punto possiamo dire di noi, Io non ho potuto sbloccare il Destino se questo  ne aveva beffardamente  anticipato ogni mossa?...Noi giocatori impreparati per astuzia prima ancora che d'intelligenza e,prevedibili sin dal muoversi del labbro che la parola era segreta perchè incognita di un'enigma anche per noi?    
  
Per Aurora  fu sempre così. O troppo rapido o troppo lento,anche adesso che il ricordo la porta indietro al tempo della sua adolescenza..Trascurata,abbreviata e prolungata eccessivamente in una di quelle fasi che trasformano la ragazza in donna.     Ribelle era stata solo nella misura che le poteva permettere di erigere un muro tra sè e tutti coloro che la idolatravano,madre compresa.Istintivamente ha sempre avuto in uggia gli idoli e non voleva assumerne  la forma  di nessun tipo,  Nè per sè, anche se in addivenire, (troppo faticoso per una pigra come lei e insofferente agli obblighi del ruolo) nè per chichessia.  L'adorazione di un'essere umano sotto l'apparenza dell'abnegazione e dell'umiltà,pretende molto ed è un tentativo di possesso. Sempre.       La sua natura era dolce e le sue resistenze non erano mai esasperate.    La vita,anche se giovanissima,le aveva offerto un esempio dell'affetto che accresce la libertà.  Ma poco assecondava le iniziative sempre troppo insistenti della zia Francesca per far colpo sui vicini e questo esasperava la zia e deludeva la mamma anche se rideva aggiungendo una battuta per smorzarne la delusione e la tensione che si era creata.  Ma perchè così spesso si sentiva così sola e con un sottofondo di amarezza?      Si faceva piccola,allora sino a scomparire (solitamente cercava per spalla la cima degli alberi per osservare il mondo non vista) e sognava l'indipendenza.  Tutte le virtù (persino l'umiltà) richiedono l'autonomia. E lei oscuramente percepiva come verità ciò che il tempo le avrebbe dato ampia conferma.

Davanti agli occhi quel giorno in riva al fosso a sguazzare i piedi nell'acqua con Gianmarco. Un vento gentile si era levato e la gonnellina pieghettata che portava palpitava come se fosse animata da vita propria.

"Hai freddo,Aurora?"
"No.No,Gianmarco"
Si lanciarono brevemente un'occhiata,lei abbassò gli occhi (le avevano insegnato così se non voleva essere giudicata una poco di buono).      Li rialzò lentamente incontrando con fermezza quelli di lui.  Azzurro nell'azzurro con un turbamento quasi doloroso e infinitamente dolce.
Nella vita quotidiana lo sguardo reciproco è breve; un poco prolungato è una conferma di matura fiducia o il segno di un deciso antagonismo. Solo i ragazzino giocavano a chi abbassa gli occhi per primo; ma la gara si interrompeva ben presto in una risata semisterica,nello sfogo di una vivacità da puledri.  Ma in amore è il dileguarsi dell'orgoglio e della distanza; è la resa.
Aurora e Gianmarco si fissarono negli occhi. Una forza che non avevano previsto,si era impadronita di  loro,facendole sollevare le mani,unendo  le loro labbra, e sospingendoli poi lungo il viale di campagna.    Lei non l'aveva premeditato. Lei aveva  fiducia.e credeva il lui      Senza parole camminarono con le mani strette dentro al buio che cresceva.
Non si sposarono mai.   Al momento mancava il tempo. Lui doveva finire gli studi e trovarsi un lavoro. In seguito fu Aurora a scappare anche se al dito tenne per tanto tempo il piccolo anello con lo smeraldo al centro e i brillantini attorno in forma di corona.Anello.finito poi al Monte di Pietà.
Lui non capì mai il perchè del gesto d'Aurora,la sua fuga precipitosa.    I regali erano piovuti,il primo assegno di stipendio pure,anche se esiguo per essere quello che merita un promettente e valente ingegnere,ma che comunque l'avrebbero fatto bastare orgogliosi di farlo, entusiasmanti le scoperte da fare meravigliandosi in ogni momento del giorno e della notte,la nidiata di pargoli per un'appello da allegra caserma già lì. Eppure andò a finire a rovescio.  E pensare che lui era bello,conteso,serio.   Magari  gli parlava "troppo" di  elettrodomestici  aggiornati  e di cantine piene di vasi di conserva preparati con mani gentili quanto ruvide,questo si.....
Si moltiplicarono le curiosità,l'ammirazione da una parte,l'ostilità dall'altra,ma Aurora scappò senza lasciare nessuna spiegazione.Spiegazioni che lei stessa non riusciva a dare perchè non riusciva a capire. Forse.
.

Anche quella volta...alla prima del suo debutto,anzichè fermarsi e condividere il successo con tutte le persone arrivate solo per lei,era scappata.  Non aveva voluto essere sgarbata,eppure i risultati erano stati quelli di farli interpretare così e,Aurora sottoposta a uno studio sociologico tutto da sperimentare.   Lei invece se lo spiegò dicendosi fierissima della sua indipendenza spirituale che la voleva chiusa nel camerino o affacciata a una finestra a guardar le stelle,ma anche tendente a commettere gaffes difficili se non impossibili da giustificare.   Del resto lei non fu mai una brava persuatrice.Anzi ogni volta che era costretta a giustificarsi per qualcosa  di sbagliato ma che lei aveva fatto in assoluta buona fede,si trovava a balbettare come se fosse una criminale per poi scappare via rossa e urlante da lasciare tutti a bocca aperta e costernati.


Il labbro  inferiore morsicato cominciava  a farle male così pensò di passare oltre a quell'episodio di cui  continuava a vergognarsi un poco.


Avvertì una strana sensazione in gola. Riandò a quando si era dichiarata atea.solo per sottomettersi a una superstizione che non le faceva certamente onore.  Era sicura che ci fosse  sempre un'energia  speciale e particolare ai suoi ordini,le catastrofi si abbattevano sugli altri,ma non su di lei,le circostanze sempre configurate a offrirle ciò che più desiderava.    Però il mondo era così  pieno di crudeltà,di sofferenza e di confusione che non poteva esserci un Dio a volere tutto questo.  Eppure la bellezza di un'alba la riportava sempre a Lui.come il profumo delle viole,del muschio al bordo dei grandi alberi,dei vigneti illuminati dal sole quando girovagava nella campagna da sola, Perchè Aurora era sola.Sola anche in mezzo a tanti.

Aurora  inghiotte fiumi di saliva o è invece la speranza sempre pronta all'inganno?!  E  ha un bel cercare le  ragioni logiche.ora che è tardi anche per farsene una ragione di ricerca.Anche per rispondersi.

Fu  credito d'orologio, d'Ombra sempre appresso o di Destino?

Fu lei l'intralcio per dubbi ritenuti un'assoluto insufficiente per amare in modo duraturo?


Fu naufragio  di campana  "a morto" che  secca e lenta scandiva e prediva ciò che era Già scritto fra la polvere e il cielo?


Com'è lieve la linea che separa l'ambiguità dell'acqua, dal cielo che promette diademi di sole al limitare della terra!

...E singhiozzava Aurora una verità perduta nella verità oltre la sua umanità.

Ma è tardi anche per intercedere misericordia a chi dà forza agli angeli. Gli provocherebbe la risata o la porta sbattuta sulla faccia.

Aurora si è sempre detta "Tutto è una scelta".   Si.Forse è è pure vero. Ma una "scelta" spesso di spinte inconscie dove le parole confondono invece che recare chiarezza e colpa al posto del conforto.

Fu per questo allora che NON CI SI RAGGIUNSE quella volta?    Fu risentimento imprigionato da un dubbio o una Probabilità inasprita da altezzosità che non si abbassa a nutrire il cuore giudicando "inezie" essere tutto dentro a uno sguardo che si addice solo all'innocenza di un bimbo?

Ma intanto si creava la diffidenza vestita col gioco di parole.

Eppure avrei dovuto darti fiducia.Conoscendoti meglio e di più.    Ma fu paura di quella sincerità che scioglie anzichè ritenere quel lato di fiume su cui l'iniziativa e l'onestà vanno insieme a braccetto con abiti  dimessi,guidati solo da un'invisibile forza che non perdesse mai l'aderenza alla realtà e alla vita,tendendo,aspirando,creando,cadendo e rialzandosi,nelle sue luci e nelle sue ombre,nell'alternarsi degli umani sbalzi di Bene e Male anche inconscio,ma tesi pur sempre a una fiducia piena l'uno verso l'altro.

Aurora è una sopravvissuta che ha avuto la fortuna di arrivare sin qui.
Uno specchio che non inganna malgrado lo si diriga verso la luce della parte migliore,ma che concilia il prezzo pagato,tutto,lietamente,in cambio della pace,mentre il tempo vola,il suo romanzo è diventato un'abitudine e,tracce sempre più frequenti di noia predicono più il vecchio che il nuovo,mentre l'ingenuità resta intatta a ringraziare e a lodare.

Solo un rimpianto le resta. Quello di non aver accettato la battaglia..  Avremmo imparato qualcosa uno dell'altro e,nel momento prima che precede la morte,mia o tua,avremmo potuto sentire i suoni  del silenzio che spiegano e tutto perdonano.

Cade la pioggia.Lenta.Lenta Lenta.  Come quel giorno.  O forse era sole che scioglieva la pelle solo un pò abbrustolita,dalla dubbiosità o dalla costanza del Destino che calcava la sua mano?.


Mirka


"Caminhos de Deus" (Amàlia Rodrigues)



 

venerdì 26 ottobre 2012

STAGIONI

Si ubriacò di luce e si montò la testa,  l'albero.  Pensarono bene di tagliargli i capelli. Pianse?...Lo sapremo a primavera.




Un albero potato
sta in disparte immusonito
un angolo di prato ride
con gli occhi della pioggia
colori di stagione.

dentro le case
si cerca il calduccio la scopa  il gatto
un bicchiere per festeggiare gli amici
colori anch'essi di stagione
che presto muterà

fugacità fatta sostanza
d'una colla restata
sul  bordo d'una ciglia.

Mirka

"Angel Eyes"




mercoledì 24 ottobre 2012

LA cinciallegra

.......e fu la confusione sparsa un poco dappertutto a farmi scappare in cerca di aria,di musica,di piccoli uccelli,alfine di poter ritornare,tranquilla,a frugare fra quelle carte familiari e un poco dimenticate.



"Solo ciò che dà la prova di se a ogni uomo e a ogni donna, solo ciò che nessuno smentisce è così" ( Walt Whitman)


Non so da che parte cominciare, disse la donna, guardando gli enormi scatoloni da imballare.
C'era tutta la sua vita da metter dentro in quei cubi di cartone...  Sconsolata si guardò attorno.    Il sole filtrava tra gli alberi. Freddo ma irradiante puntini di colori.    Si alzò. Dapprima con fatica,poi sempre più leggera come presa da strano delirio.   Con uno scatto deciso spalancò la porta.   E scappò uno Sbadiglio.  Allargò le braccia.    Respirò. Respirò tutti quei colori e stette bene.
Una cinciallegra le confidava la "sua"differenza  e la donna cantò allegra con lei.. 
E vide.
Nello scrittoio del sole sbriciolato, nell'esaltazione procurata ogni volta che l'aveva visto così ,o a gocciolante pioggia di crociere immaginate.     Si vide nell'inusuale binoculari fra l' immaginato e il reale, nei travagli di dolori dati dalla vita con mano d'alta chirurgia ma anche da scalpellino matto.    Rivide le chimere d'uguaglianza sbattute in alto a pugno ben chiuso e duro al seguito d'una massa confusa e lunga come la "gran muraglia" che sa di pianto mentre  festosa si accinge alla scalata di Wall Street.     Ripassò le guerre mai vinte come ciuffi di verde senza gioia ai bordi.     Il giorno confuso con la notte.     La Tosca, la Butterfly o l'Ernani quale opera di vita "vera" nel mestiere di un vivere mai imparato.      Un aura dove far fiorire la koinè del sapere, chimera anch'essa, se non fosse stato per la macina  di un'alba incustodita a ricordarne pannocchia e tavolo.     Un girino da trovare fra le canne di un fosso per  saltellare con lui.     La costruzione al rovescio con sbalzi climatici.       Un tracking a zig-zag.      Dei safari coi Caino seduto all'angolo d'ogni  crepa.    Il batticuore non certo da Gran Signora.      I lasciapassare trafugati ai picchi d'un bel canto seduttore.      Il magone scaltro senza il dovere di coprirlo.    I numeri sempre un poco truccati per lasciare alle fate la chance delle cifre incise su dei fiori.       L'allegria che pestava ferro lasciando molle il cuore.     L'odore della menta strigliata a dei salmoni. spesso puzzolenti      La riconoscente umiltà d'un bel rosso che rubizzo fa il volto mentre una lingua segreta lecca il fondo di un mare di anguille .     Un'isola di speranza per ripararsi da tutte le imboscate.     Le ceneri  di una Sintesi che tutto ha tragugliato dentro a un'urna di un abitacolo veramente suo.        Il fuoco d'una poesia salvata per  NON piangere quando anch'essa sarà finita dentro a quel l'urna..

Sbadigliò ancora la donna e stette bene .Forse aveva compreso che,il "senso" della vita era tutto lì.  Nello scrittoio del sole sbriciolato fra gli alberi,  nella "differenza" lasciata dalla cinciallegra a messaggio di mattino...  Lasciò tutto come stava.      S'incamminò dove la cinciallegra la portava.

Quel giorno.

Mirka

""Sonata K.30 " ( detta anche La fuga del gatto- D.Scarlatti)












Foto mie.Così pare ma è.

lunedì 22 ottobre 2012

AMORI.-MA FU LA SEMPLICITA' DI UN GESTO CHIARO



...e si apprende fra ombre fuggiasche e brividi di ricordi

...ma fu un pensiero diurno a darmi il "senso" di ciò che cercavo



"Cercate di essere chiari ma non semplici" (Carlo Giulio Argan)


C'è nebbia fuori.La prima nebbia da quando sono tornata nella bassa padana  Non vedo gli alberi,nè le cose che il giorno prima vedevo e so esistere,comunque..  Provo ad elencarmele al fine di non sentirmi straniera in casa mia. E intanto chissà che non salti fuori il sole.

Divago un pò poi torno a un pensiero fisso che mi angoscia per la sua complessità.  Gli intrigati umani,l'apparenza,lettoinzione, l'essere, la realtà,  la violenza esercitata perlopiù su bambini e donne.    Non posso fare a meno di pensare alle dinamiche sotterranee che lavorano nella psiche dell'individuo, i condizionamenti ambientali e culturali che influenzano,il contesto familiare che ha contribuito a crearne dei soggetti volubili tanto per citare un'insigne della psicoanalisi, Bleuler,di questi moral insanity dalle forme più svariate, subdole, filiformi che invadono il globo,generatori di comportamenti aggressivi sino alle reazioni più estreme (stalking ossessivo,violenza, varie perversioni sessuali come la pedofilia, la ninfomania, l'omosessualità, la sodomia, il sadomaso,ecc.).

Comune conduttore è sicuramente la diffidenza,un'eccessivo narcisismo non soddisfatto nell'età dove carezze e gratifiche avrebbero dovuto esserne il buon supporto per una crescita equilibrata. L'egoismo che accentra solo su di sè,un vuoto interiore che aumenta col crescere dell'insicurezza emotiva e insieme sentimentale o comunque nell'incapacità che scruta,vuole capire, cerca  le motivazioni che sono a monte di quel tutto "oscuro" che spesso non gli  permette di distinguere il vero dal falso e di affrontarlo come realtà oggettiva.  Vale a dire soggetti che non si sono mai evoluti a livello psichico restando a un falso universale sostituendolo con l'istituzionalizzazione,la fedeltà non libera,non personale,in quanto stabilita una volta per tutte, da un anello al dito, in virtù di un assurdo che ne esorcizzi (opacizzi) vergogna e colpa.  Vergogna per l'incapacità a trovare la forza di ammettere il peso del valore dato più alle proprie abitudini (gite domenicali,vacanze di villeggiatura dove sono indispensabili gli amici di sempre,la partita da non perdere bivaccando birra su un divano) che alla fedeltà del vero nell'essere se stessi.     La colpa per continuare a  fingere ciò che non si prova veramente,elevandola  a conforto,a compassione e  persino gioiendo del sacrificio che arriva alle proporzioni dell'auto annullamento,piuttosto che ammettere la verità di un disprezzo sentito.  
In fondo la "grande illusione" è anche lì, se non si parte dalla coscienza d'avere problemi da affrontare e risolvere che resteranno intatti  se si continuerà a fingere su una "realizzazione" data dagli "altri"  perchè ci riconoscono nell'identità costituita dentro a un matrimonio,ma fuori da se, nell'illusione  d'essere emancipati dalla famiglia d'origine,mettendo in un cantuccio la paura dell'esclusione,del sentirsi diversi,trovando un'identità solo esterna ( quella sociale),aspirata ma non corrispondente  al proprio Io,nella primaria essenza,insomma una grossolana truffa del Se illudendosi di rimuovere le tante sopite frustrazioni, i rancori, le rivalse mai aggredite a viso aperto. Che solo nelle favole esiste il lieto fine,nella realtà i coccodrilli si moltiplicano e,spesso non semplicemente a doppia mandata di denti.   
E' sempre così quando si elimina l'amore. Rassegnati a un rapporto di reciproci servizi, accompagnati da recriminazioni,ferite impartite col bisturi da fine chirurgo o con l'accetta del rozzo boscaiolo.

Perchè il rischio in ogni convivenza è la regressione della relazione a vari livelli di rapporto che possono di volta in volta dare la preferenza alla simbiosi della fusione,della possessività,piuttosto che essere insieme "persone".    Copioni imparati a memoria nell'infanzia e pronti all'uso senza cercarne un corrispettivo autenticamente originale.  Credo che questa sia la ragione principale per diventare estranei a se stessi e poi all'altro, perchè invece di capire dai segni di trasformazioni esistenziali oppure in quel l'originale, ignorato o mai visto,si privilegia accomunarlo a quegli aspetti già conosciuti,rispetto ai quali erano note e rassicuranti anche le risposte da dare.

Breve è il passo per diventare aguzzini o vittima alternando parti e toni. A volte sfumati di carezzevole intensità,di dolce ironia, di tenerezza prontamente trasformata in cattiveria che attende dall'altro, più che una reazione, un pretesto per manifestare violenza,trionfare e distruggere,piuttosto che cercare la risoluzione della  tensione formata,la parola giusta per medicare le ferite ricevute e date.      Purtroppo vittime lo diventeranno anche  i figli nati da questo "amore" ab-usato, deriso e calpestato, armi da impugnare per colpire colui o colei che un tempo lontanissimo, furono oggetti d'amore. Oggetti mai elevati ad amore e cresciuti come persone adulte.
Una caccia spietata alla colpa e nulla più.Accuratamente nascosto sotto mentite spoglie di fantasie narcisistiche e di onnipotenza da contrabbandare per amore, negli aspetti simbiotici di antica e distruttiva avidità...

Mi torna alla mente la frase lapidaria di un'amico che stimavo molto."La convivenza si basa su un contratto di interessi filato dall'odio".  Una sentenza senza appello che continua a mettermi freddo ai piedi.

Sento il desiderio prepotente d'alzarmi per scrollarmi dal corpo e dall'anima questa sensazione terribile levata in alto come una profezia.

Bevo  un caffè e ritorno al mio tavolo di scrittura.    Penso: " Ma io sono stata felice ?  Con lentezza smuovo l'acqua non sempre tranquilla sulla quale ha navigato la mia piccola  barca fatta per me anche se non avevo i remi.  Si. Sono stata felice, ma per onestà intellettuale subito pronta a dichiarare che è sempre stato grande il senso della perdita.  Di ogni perdita. Prima di morire. Prima di morire e poi rinascere. Rinascere cercando di ricreare quella danza fatta col vestito dal colore turchino.

I ricordi filmano i lampi.Ognuno di loro è fatto della mia umanità.Umanità fragile e sempre agganciata alle mani nude di un'altro.       Come quella volta... 

Io sdraiata sul divano letto e vestita. I pensieri lasciati al giorno ormai sfatto.    Un raggio di luce filtrava dalla finestra aperta illuminando i volti. Il tuo e il mio.   Fuori il profumo dei pini.   L'ho aspirato con voluttà. Come faccio sempre per tutte le bellezze che i sensi mi possono trasmettere.   Mi distrasse un uccello che cantava attraversando un incendio già prossimo al blu.   E fu proprio in quel preciso istante che TU ti avvicinasti alla forma azzurra che ero.   Mi prendesti la mano e in silenzio la mettesti fra le tue.  Non ci fu bisogno di parole o d'altro.  Semplici e sincere le reciproche umanità, fuse.  Di uguale odore. Di tenero terreno cui la sofferenza ha scavato senza indurire al suo interno. Della stessa vita pura che guizzò come fiamma, sù. dopo che la legna si è raccolta coi graffi degli errori di chi è mortale e lo sa anche se ha avuto l'arte di metterla prima ad asciugare.

"Perchè in ogni azione l'essenziale intenzione dell'agente,sia che egli agisca per necessità naturale,sia volontariamente,è di esplicare la propria immagine;  onde avviene che tutto ciò che agisce,in quanto agisce,prova diletto,perchè dal momento che tutto ciò che è desidera il proprio essere,e nell'azione l'essere dell'agente in certo senso resta ampliato,il diletto è una conseguenza necessaria...Dunque nessuna cosa agisce se,agendo,non rivela la propria essenza latente" (Dante)

Mirka


 "Le allodole" (Finale



 due foto sopra sono mie . il GATTO preso da Internet

sabato 20 ottobre 2012

E FINALMENTE IL SILENZIO NON IMPOVERITO.


...r si cammina perché piace e forse per alleggerirsi il peso di sbagli e di cadute


.....e si attende un sole che illumini,un faro fosse solo pure un lampione


...e infine la notte coi suoi silenzi che ridono, abbracciano come ceppi caldi scambiati a felicità di vivi. In lontananza sul vibrato di memoria, il nitrito di un cavallo che come la vita sorprende come da creazione o nuovo giorno.


La giornata era cominciata con l'accavallamento di telefonate. Alcune un poco concitate.    Intanto scriveva su un blocco, in modo incomprensibili anche a lei, mentre ascoltava, la cornetta arroventata via via come per chiasso assolutamente non messo in conto.     Guardava fuori dalla finestra, da dove si ergeva il grande faggio e al balcone i fiori rossi, viola, e bianchi, appena un poco sporcati.     Sentiva il volto a volte sbiancare, a volte  farsi rosso come per  un messaggio cardiaco..   Un leggero vento d'autunno agitava la sottile tenda della veranda. La intravvedeva da lontano. Sapeva d'avere lasciato aperto la porta che dà sul giardino abbracciandolo con un poco di malinconia.   Avrebbe voluto infilarsi dentro a quel prato di cui ne vedeva il verde del colore del muschio quando la pioggia l'ha in brillato, come faceva un tempo.   Essere filo fra i tanti fili e felice.   Felice perché inconsapevole di tutto. Oppure consapevole ma solo in parte.
Il vento arrivava sino a lei come una carezza.   Ascolta la voce al telefono e intanto si guarda attorno. Tutto in ordine come sempre. I libri ben allineati negli scaffali, alcuni accavallati uno sull'altro, ma coi titoli al dritto. Visibili all'occhio. Anche al più miope. Il vaso di cristallo al centro della tavola è vuoto  Si riempirà di nuovo. Prima o poi di tanti colori o semplicemente di un unico colore. Magari tulipani. Chissà!  Un cappello  lasciato sul divano, vicino a dei fogli ancora da scrivere la colpisce. Il divano sta di fronte a una scacchiera di alabastro, inutile perché lei  non sa giocare a scacchi. Eppure le sarebbe piaciuto imparare. Insegue mosse immaginarie e, voilà che perde una battuta del discorso al telefono. Il cuore azzuffato con un battito a sorpresa, ma subito torna alla regolarità quando riesce a riprendere il senso del discorso. 

Non non deve sbagliare. Non deve distrarsi da ciò che sta per dire al telefono. E' importante. Ne va della sua credibilità. Così fa uno sforzo che supera l'istinto e la voglia e si concentra.   Sa che ha un sacco di cose da fare. Alcune le de legherebbe seduta stante. Cosa che purtroppo non le è possibile fare.  E allora si distrae ancora.  In lontananza sente lo sbrigare della vicina. E' un poco fuori di testa. Forse la vita testimone varicosa, forse l'uomo violento che le vive in casa. Forse perché non è capita.   Spesso la sente parlare da sola, e rabbrividisce.  Diversi invece, sono gli altri dirimpettai.  Felici del lavoro che fanno, ognuno in tacito ruolo di parti ben suddivise. La moglie dell'unico figlio, è sempre la prima ad alzarsi, al mattino. E' felice di ostentare ogni merito di fatica attratta da ogni mattone che mette e che sa essere perno di moltiplicazione.   Un motore avvia il suo giro. Chissà se i pensieri  che ha in testa assomigliano ai suoi.
E' bello guardare la vita che ti passa davanti, senza essere visto e immaginare sogni, infrazioni, deviazioni, dolori conseguenti, l' imbarazzo per averlo capito, la possibilità di un riscatto, fosse solo per violenza che spacca i polmoni che nel silenzio respirano lo spaccato d'una vita intravista guardando fuori. Da una finestra. Da te. Oltre se stessi. Un sogno ostinato vivo, come quel "bulbo" rubato alla zia in un giorno lontano e cresciuto a splendido fiore colorato anche  quando svuoterà quel più che lo rendeva persino un poco scacciato per turbine di Individualistico affacciato.

Ha preso il caffè lasciato sul tavolo della cucina. Uno schifo di freddo con le zollette di zucchero neppure sciolte..  Ha deposto la tazzina nel lavello d'alluminio comprato da poco. Ha lasciato una smorfia di disprezzo ai ladri che glielo hanno venduto,si è appoggiata al vetro della finestra,godendo nel mescolare al freddo del vetro il suo caldo di temperatura 36. Abbraccia tutto il poco che riesce a vedere e il tanto che riesce a vedere oltre quella finestra. L'albero, gli uccelli, i cani, i gatti, le galline. Poi alza gli occhi, si sbatte un poco e si indurisce, diventano chiari come una rivisitata sorgente quando capisce che, vivere è pur sempre affrontare i due poli della stessa medaglia. Ed è con questo stato d'animo che s'incammina alla porta per affrontare il giorno.

Nel fuori.

Subito inciampo e non sono i sampietrini, ma un'unica pietra coperta da un ciuffo d'erba.    Mi faccio prudente come una lumaca che non ha mai conosciuto scadenze di nessun tipo se non quello di lasciare antenne e bava.   Però mi spavento un poco per un rigagnolo rosso vermiglio. Così divento la vigilanza bravissima e solerte a multare, come quella che è di turno ogni mattina. O almeno ci provo.
Ricordo mia madre che non conosceva fretta neanche quando doveva stendere i panni, ritirarli e riporli nei cassetti. (Tutto il  mio contrario!) Solo quando doveva provvedere a me, conosceva la fretta e lì era imprendibile come il vento che soffia o scardina.
Debbo ricordarmi il rosario dei "Riposa in pace", dice nel muto fervente di se stessa

Un uomo in bicicletta mi sfiora con un ciao a un palmo dal mio naso. Sussulto ma l'ho ritengo un privilegio e ricambio. In quel ciao c'era il "piacere" autentico e io l'ho sentito coi pori dilatati.

Alla posta c'è una fila d'una umanità più animale che di crisantemi da guardare ma...aspetto il mio turno rassegnata e distratta. Un gentiluomo mi ha ceduto il suo posto.
Infine eccomi davanti allo sportello. Cerco di blandire una tizia dall'espressione di arpia, sulla mia innocenza che ha generato equivoco e disguido.     Risultato?...Avrei voluto imbrattate la lucida faccia di morchia. Invece sono stata zitta e per gesto le ho regalato  un cenno della testa
Il mondo è quello che è, e noi ben poco possiamo fare per cambiarlo.  Resta la speranza è vero, che però confonde, anche se bisogna provare a crederci.

E si arriva dentro a un gruppo ben addestrato che ci sente solo da un orecchio.
Dopo quattro ore di parole sulle prossime Elezioni già truccate nei numeri, nelle regole e nelle impostazioni, e irrazionale quanto gli slogan fuorvianti e le ipocrite promesse dichiarate in malafede, sono del tutto svuotata d'energia..    Anche lì c'è una finestra aperta.  Guardo fuori. Alberi. Il cielo terso e, solo in me il profumo di tigli.  Gli uccelli, pare, non siano mai esistiti.  Rabbrividisce.   E' ora di  incamminarsi verso casa.

Il viale già illuminato.    L'improvviso d'un grillo reale ha provveduto ad illuminare il mio volto ome faro nella notte.   Una panchina di granito a metà del percorso m'ha  invitata a sedere.
Ho pensato all'ultima  scena di Mimì nella Boheme "Sono andati,".     Ho visto il verde e il giallo della valle poco distante da casa mia e ho ripreso il cammino, finalmente rasserenata e forse anche in pace.      Affonda la sera. La luna fa capolino. Fra poco sparirà. E sarà solo una fiammella bianca a ricordarmi che l'ho vista e cercata fra una fuga e l'altra d'alberi, di case, di pensieri..   Scorrono a fiumi i suoni in coralità d'una eternità che sapé se non a perfettissima chiusa.

La Vita è anche  Regno, se diventa oblio dove non manca  la musica che vuoi sentire come unica condizione che realizza e appaga nel mentre fuori si mette in fuga la foresta.

Mirka

"Sono andati" (Boheme-G.Puccini)







  

Le foto mie e visibilmente scattate col cellulare

mercoledì 17 ottobre 2012

BALLATA PER LE LUCCIOLE SPENTE



...Oh come calda di ricordi è la vecchia madia mentre le vespe pungono gli occhi



Ti piaceva inzuppare il gnocco fritto nel latte
la sera

Mi accoglieva come Turandot sull'ultimo dei tre indovinelli
la sera e poi anche al mattino

Non  ti lamentavi mai sul dolore che ti stia consumando se non per dirmi
"Aiutami"

e quando sin giocava a briscola  per TE era solo l'inizio quando si era alla fine
ridendo ai miei soffi senza l'astuzia dei baffi

A mezzo delle frasi ti facevi uscire sempre come va?  ti rispondevo  "Mah!"
 sorniona sorridevi, quasi a castigare la terra battendosi il polso rovesciato cantilenando bene il ritmo mentre mi facevi il verso
"Chi dice mah cuor contento non ha ma chi non lo dice non è felice" 

Il tuo odore sapeva di cioccolata scavata in ogni anfratto della casa

E quel quel bastone che pestavi zittendo tutti bloccando i passi già avviati per ognuno la sua strada, mentre il tuo occhio indagatore portava elettricità ai miei nervi bagnati come un cielo di lamenti

Spuntano da ogni spigolo fotografie che non vorrei toccare  per timore di un sale  che non sa la dose necessaria a un finito che lascia buono in bocca

Fra poco è novembre

ma quanto vorrei non dover anticipare il tempo verso quel viale di cipressi, ferma davanti al portone d'una casa fredda e grigia rassegnata a portare colori fra le mani.

Mi son fatta persino spavalda mentre varcavo quel cancello, sai?.
Il pigolio d'un uccello mi faceva compagnia  e io ne imitavo il piopio
 E ci credevo col cuore rallentato sino a spingermi alla fontanella recitando un Requiem  sottratto a un chiaroscuro inutile perché  imparato come fanno i pappagalli a una scuola dove il pensiero svolta sulla logica  delle conchiglie morte e benedette dal Signore.

Ma fingevo la forza che non ho 

Io che di forte tengo solo le vespe che si azzuffano agli occhi
mentre indifferente continua il suo giro la vita
mi sussurra con suadente melodia che apprendista sono e viandante 
la  tregua        quell'albero da cui TU  facesti nascere e crescere i primi canti alla ancora crisalide nel tutto appare in un assolo che ogni volta si prepara al congedo e sempre lì rimane
Sarà per questo che oggi taglio i tramonti con la mano tremula sulla banchina di memorie  fra una lacrima e l'altra  che rintoccano come campana e a morto,io viva,  con l'occhio che alla macchina si trascina per buttare giù queste parole, affinché nella casa di adesso tu le possa accogliere come il dolcetto che ti portavo sempre,col cuore in subbuglio, ora, per quel silenzio che mi fa paura. Un poco.

Mirka




"Kindertotenlieder" (G.Mahler)





QUEL RAGGIO CHE SCANALO' LA LUCE





e ogni filo è diverso,perfetto o imperfetto che sia ma sempre appartenente al verde di quel prato



L'acqua falciava l'erba
s'intruffolò il raggio
scanalatura di luce
di melanconica meraviglia.

Mirka



Kind of blue-Mile Davis)








Foto fissate da me col cel

lunedì 15 ottobre 2012

I PAROLAI CHE SI NUTRONO DELLA BUONA FEDE DEI TENERI CONIGLI.


e si inquina "consapevolmente" chi non sa, ma non sapendo si illude che possa essere la realtà del vero e  ci si emoziona per l'illusione di una distorta realtà fatta per preparare la morte.



......................................................Lei si chiamava HOPE

Ci vorrebbero  tribunali di onesti, fuori e dentro per giudicare e assolvere chi ha pensato creduto per bontà di fede che, le parole usate non fossero droga, bensì guizzo urlante di prorompente cuore, magari "farfalle" che concorrono al fanale di Fetide. Anfibi e invertiti, ahimè, che non si scappa al laccio di questi esatti termini.   Magari in gioventù dove la parola nasce più dal sangue cavallino senza aver riguardi per la logica che pensa prima e soprattutto poi...
No, quella è una categoria che "svacca" pianti di vergogna. Molli hanno le viscere a diarrea fusa a idrodinamica poltiglia di parola.
Pare persino che si compiacciono a fare i giocolieri nella loro intricata fantasiosa mente che si diverte a creare "sistemi" in scaglie ganoidi coperte d'oro e d'argento, chiusi come sono nella loro cecità che non prevede le conseguenze del loro agire nel governo degli imbrogli.
O certo, si preoccupano della salute dei bevitori e fumatori, ma intanto ignorano i morti sul lavoro, sulle strade, nelle aggressioni di guerre con migliaia di vittime civili, quelli che si suicidano per aver loro creduto e, a premio della loro buona fede si son visti nudi sulla piazza perché il lavoro o l'impresa non c'era più.

I parolai! I grandi civilizzatori di pietre focaie, scrollatori di ragni sparsi nel dentro come nel fuori. Così. Tanto per distrarre dai problemi imbroglioni intricati con a filo di più sporco non ce né creati da loro corrompendo coi quattrini rubati agli onesti ora topografie di viscere in subbuglio.

Tacciono sempre i grandi dolori, perché per loro parla il fatto.

Già!

A queste belle "teste d'uovo" manca l'autorità morale, ché quella l'hanno investita  in parole che liquidando dichiarano, mentre implicano altro che equivoci. Mucillagine di se stessi prima di farlo agli altri, scioccando il sangue a profusione nel mentre si forma la parola diverticoli e poi gas.

E' così che si diventa fango anche per il cielo, grigliata su cui intessere inventari per non dimenticare il sole.
Per loro è solo una necessità biologica, ma per le vittime che sconsideratamente  (cinicamente) mietono, liquidando aggressioni di guerra con migliaia di vittime civili come scontro  "inevitabile", il dito puntato sul legittimo governo siriano che muore per difendere il proprio Paese dagli assalti e dalle stragi dei mercenari armati e foraggiato dagli USA, da Israele e dalla NATO pronti a farlo propri ai primi cenni di una resa ottenuta per sfiancamento o fame. Un incidente di percorso, da sminuire e irridere la promessa a 5 stelle imbandita a festa di epifania e poi tradita senza il vincolo della revoca.

Già"

I teneri conigli sono muti, tutt'al più si lamentano in silenzio prima di chiudere gli occhi.
Gli storici futuri leggeranno giornali, libri, consultati documenti di ogni sorta, ma nessuno saprà capire quel che ci è accaduto. (Longanesi)

Furbizia e nulla più. Furbizia risibile e giottesche di giocatori e complici su esternazioni vuote di parolaio riformismo. Carne alata che si chiude, (forse) in gloria tra il rosolio di vili cortigiani in processo di lievitazione..

Parolai che smerciano bombe in nome della "libertà". D'ogni libertà.     Che come Savonarola alzano abbassano il dito per condannare a morte Assage solo per aver fatto il mestiere di giornalista, idem per quelle verità uscite da una "talpa" papalina che fece per un pico tremare tutto il Vaticano.

E pensare che io, coniglia in buona fede e tenera, avrei fatto della parola un pallone colorato e leggero che non scoppia mai, da prendere tra le mani quando in inverno manca la coperta o si è rotto il termo e non si ha soldi per pagare l'operaio, delle nuvole lampi di cotone con dentro qualche cubo nero e tanti soli, strade razionali e senza troppe "girotondi", grandi o piccole larghe o strette, non importa, sulle quali marciare a passo svelto e senza storte alle caviglie, verdissimi prati per conigli liberi e teneri perché non parlano mai ma il mulo fanno, una città con un piano regolatore che per battaglia avesse tanti bei giardini, mentre le macchine che ingorgano il traffico e fan degli uomini cani che scavano come quando hanno l'osso lì, saltano  come brandelli di lamiera sbriciolata, una città con amministratori onesti perché quelli disonesti sono tutti alla berlina o in prigione col piagnistei dei governatori, evasori e mafia  impenitenti quanto recidivi, puniti giustamente, le ricerche (controllate) della più sofisticata chirurgia pagata "bene" coi beni confiscati a  caste e cosche, bianche o nere, il tramonto che si ingozza di sangue "suo" mentre le farfalle volteggiano bevendo il bello della vita e muoiono felici.

Già!

Ma questo punto fermo è utopia solo per me, coniglia in buona fede e tenera, nel mentre i parolai impazzano coi loro trucchi illusionisti, fanno quadrato su accordi verticistico, alfine di garantirne la "continuità"  di imbrogli, la truffa elettorale sventolata da bandolero mai stanchi anche se annoiati..

Già!.........................Mirka



"Io non mi sento italiano" ( G.Gaber)





sabato 13 ottobre 2012

PRIMI FREDDI E UN FILM D'AUTORE GUSTATO CON GLI AMICI A CASA










Ed ecco i primi freddi, il desiderio di condividere con gli amici la casa, una cioccolata densa e calda, della grappa che esalta la vicinanza coi suoi profumi e le sue emozioni olfattive, la musica in sottofondo, chiacchiere frammentate a qualche battuta piccante e, a sorpresa, un vecchio film trovato fra le cassette  e preso a caso.
 Il film in questione era comunque d'un autore ragguardevole come Ingmar Bergman."Donne in attesa".
Un film, del 1960 ingiustamente sottovalutato dalla critica di quel tempo. Per me di una rara bellezza. 

  Protagoniste le donne. Personaggi per Bergman, molto sensibile alle pieghe più nascoste dell'animo femminile  risultanti sempre più positivi  a dispetto di quelli maschili.  
Quattro donne e quattro uomini, questi ultimi in secondo piano.
Secondo una ben calibrata simmetria, le quattro donne raccontano i fallimenti della vita coniugale ad una ad una. Ma dal primo al quarto racconto si assiste a un progressivo affievolimento del dramma, che via via si fa commedia.         
 La prima confessione, quella di Annette (la donna più anziana), è la più tragica ma anche la più rapida. Non c'è neppure bisogno del flashback. Il fallimento è totale, resta solo l'ipocrisia della maschera esteriore che consente di fingere un rapporto normale; sotto non c'è nulla.       
 La seconda confessione, quella di Rakel, è la dolente e drammatica storia di un tradimento conseguente a una crisi di rapporti instaurati sul piano fisico (la frigidità della coppia a dispetto della non frigidità dei coniugi presi singolarmente) e trapiantata poi sul piano psicologico e su ogni risvolto della vita a due.   La crisi viene risolta quando la donna si pone in una condizione protettiva, materna per continuare a credere che Eghen è lo scopo della sua vita.    
 Il terzo racconto è più gioioso, specie nella prima parte dell'incontro spensierato di Marta e Martin a Parigi. E' una pagina di cinema magistrale, a mio parere, dove non c'è bisogno di parole, ma di sole immagini e musica per raccontarci un'intera storia d'amore. Le parole arrivano quando cominciano le incomprensioni e il distacco.
Molte altre volte Bergman denuncerà le parole come mezzo inadatto a comunicare,esaltando invece la musica come mezzo privilegiato per la comunicazione e specialmente per una "trasfusione" d'amore per due esseri umani.         
 Il quarto racconto è il più gaio, perché giocato in una chiave tra il comico e il grottesco.   I due partnership, Karin e Fredrik, sono smaliziati; tengono in piedi un rapporto superficiale e banale, ma tutto sommato accettabile.   Il tradimento non è un dramma, il recupero del senso della vita coniugale avviene sul filo del paradosso in una situazione inconsueta e straniante. Qualcosa rimane, anche se poco.

La chiave del racconto è da ricercarsi però fuori del quartetto, in una coppia di giovanissimi la cui presenza attraversa orizzontalmente la trama. Mary ed Enrik fuggono dal compromesso, dall'ipotesi di una vita a due dominata dalla convenienza e dall'ipocrisia, dai problemi non risolti.   Vogliono costruire un rapporto nuovo, sognano un matrimonio diverso, puro, felice.   I profeti di sventura che spesso si sono accaniti contro l'opera bergmaniana attribuendole un pessimismo oltre il dovuto, segnalano il simbolo della barca che non riesce a partire.   Certo Bergman, avverte che l'utopia non è a portata di mano. Ma il film finisce con l'immagine della barca che finalmente procede verso la meta.   E' vero che, mentre i giovani si allontanano, Paul dice: "Torneranno, quando l'estate sarà finita", ma è pur vero che, Marta nel vedere la barca che si allontana assapora ella stessa un briciolo di felicità. Ed è sul suo "Sono felice" che il film si conclude, lasciando naturalmente come sempre in chi ha assistito la visione, il compito di trarre le conclusioni.


Le mie  personali conclusioni?...Ci sono i fatti che provano cosa io abbia compreso del film e scelto con cognizione di causa e per convincimento che, all'utopia si può sempre mirare, almeno come principio di una fedeltà alla propria natura che ha in odio i compromessi, crede per contro, più a un valore morale, disciplinato dal rigore dalla coerenza.  Anche se gli scotti da pagare nel l'incognito del viaggio non mancano mai e, forse superano la fierezza di ciò che a priori è stato un consapevole povero smisurato coraggio.


Mirka

"Prelude in E min Op 28 n.4" (F.Chopin)





La prima  foto è mia la seconda presa da internet