fiume

fiume
fiume della vita

giovedì 31 dicembre 2015

31 DICEMBRE 2015 -BUONA FINE E UNA RICETTA DI MAMMA BIANCA



E si continua a immaginare ciò che la Vita è stata.



Come sarà la Fine del vostro giorno?  Pensieri in volo come gabbiani mentre distrattamente sgranocchiate, o Occhi curiosi che, senza esagerare, sapientemente gustano mentre pensano "un altro anno è passato e una Sorella manca?" (Suor Angelica in un atto di G. .Puccini)

Beh! A ciascuno la sua realtà dentro, e solo all'interno di se stesso.

Quello che ho in mente io per la cena di stasera. Chissà che non possa essere tentatrice per qualcun altro all'ultimo minuto.

1) Affettati assortiti
2) Salmone non affumicato con burro
3) Gamberetti tartufi al foie-gras
4) Soufflé di spinaci e di cavolfiore
5) Radicchio di Treviso
6) Pollo arrosto
7) Ananas al maraschino
8) Gelato alla vaniglia

  I vini saranno i miei ospiti. Graditissimo  se seriamente Pensati.


Un guizzo di nostalgia ovviamente non può mancare pensando a un Tempo, all'armonia di quel tempo, alla cuoca che mai fece cilecca. Mia Madre.

Ed è appunto con la sua immagine scolpita su tutto il corporeo, nonché sul sostanziale del l'anima, se ne lascia la ricetta di due suoi piatti forti.

Soufflé DI SPINACI E CAVOLFIORE

Lessate con pochissima acqua gli spinaci ( g 600) ben lavati. Sgocciolare e strozzarlo dentro uno strofinaccio (pulito) comprimendolo. Passarli dopo averli tritati con un poco di burro giusto il tempo che serve per asciugarlo. Preparare la besciamella (100 g .di burro-100 di farina 1 quarto di latte. Appena tiepido unire 1 cucchiaio abbondante di parmigiano,4 tuorli d'uovo frullati,1 presa di sale,1 pizzico di spezie miste. Unite il tutto agli spinaci e mescolate aggiungendo le 4 chiare montate a neve ben soda,poco alla volta e con mano leggera. Idem per il cavolfiore. Versate poi il composto nel recipiente da mettere nel forno a temperatura moderata

FRITTELLE DI RISO CON GLI AMARETTI

Cuocere 20/25 m. 250 g. di riso in un litro di latte. Unire 50 di burro,60  di zucchero,una presa di sale, un pizzico di vaniglia,100 g. di amaretti tritati  e 100 g.  di farina. Versare il composto nella tortiera imburrata e spolverata di pangrattato,oppure su un tagliere. Raffreddare e tagliare a rombi. Passarli all'uovo e pan grattato e friggere in olio bollente.

AUGURI A TUTTI E SEMPRE UN EVVIVA



Mirka


"Ouverture" (Nozze Di Figaro -W.A.Mozart)


lunedì 28 dicembre 2015

TRACCE ROSSE SUL PURISSIMO BIANCO




  1. Neve.   Cristalli.    Sole bianco.   Slitte.   Voglia di denudarsi.   Voglia di sfidarsi.    Sfidarsi per arrivare al sole.    Fiducia mordente di promesse.      Felicità.       Passione di  terra che si unisce al cielo.      Tenerezza.     Freschezza di frutti maturati al sole e alla pioggia.   Tracce rosse   Realtà e Sogno.      Tracce rosse.     Dentro il Destino.  Maligno dio che congiunge e poi distacca gli esseri umani.    Tracce rosse.     Così ricordo  quel lontano giorno di un 31 dicembre di un tempo lasciato in custodia al "non tempo" della memoria.      E qualcuno, come allora, che continua a mettersi in mezzo col libero arbitrio.     "Non si doveva ostentare tanta sfrontata felicità"  diceva fra il convinto sfrontato e il turbato  ammutolito.     Eppure l'universo era lì.    Splendente in tutte le cose e perfetto  nei suoi terribili contrasti.   tracce rosse   Per un attimo anche la Ragione fu acquietata e in accordo col tutto.   Se non fosse stato per l'improvviso di quelle tracce rosse a cui fu vano ribellarsi.   Impresso rosso aggiuntivo ai battiti lenti, furiosi e implacabili del cuore, restò solo lo stupore nella meraviglia di quella Eternità intravista    nel relativo di una visione unica e lontana che finiva per sempre.       Forse è per questo che spesso si affida al vento l'ansia, la paura, l'incertezza, il cammino?
Mirka   (estrapolato dai Racconti Il Destino Nel Nome)





Ode To Joy   (scena dal film -L.van Beethoven)




mercoledì 23 dicembre 2015

BUONE FESTE A TUTTI



AUGURI A TUTTI


Ai piccoli una bambolina di pezza e un trenino per Sognare a Cosa Farò Da Grande

Agli adulti,stagionati o meno, un vagone di Salute e alcune Buone Frecce per lottare ancora.

Auguri. Auguri.


Mirka



"O Holy Night  (Cantique de Noele-Adolphe Adam)



Dedication Prayer  (A Mather's day Song)





giovedì 17 dicembre 2015

LETTERINA A UN'AMICA COPERTA DI FEDE E DI BELLETTO






Questa mattina mi hai chiamata. Hai esordito subito con le tue poesie.  Ti ho risposto secca. Faccio  sempre così quando la realtà mi sta stretta. Hai continuato parlando di fratellanza ed esortando a viverla. Ti ho risposto tagliente come una lama affilata e mai smessa all'uso. E tu sai  che non sono cattiva, lontana da ogni più piccola ipocrisia o da quelle inutili consolazioni  se non fuoriuscite dal cuore si. Ma come sempre si farà finta di non avere compreso l'essenzialità Dimostrato coi fatti.


Che ne sai tu. 

No. Tu  tu non puoi sapere  quanto
  fredda possa essere l'alba
 senza le spezie della luna
 sentite in ogni istante. 

No. Tu non puoi sapere      quanto
 piombo ci possa essere nell'assenza di quel l'abbraccio
che precede ogni alzata.

No. Tu non puoi sapere.

Forse il Dio che compone e scompone
 nel Suo gioco di contrasti con la lampada imbrattata di sabbia?


Nell'illusione senza una possibile conciliazione
mediata se non da un inflessibile amore per la Vita?

O in quel grande affresco che io miro
 ricreando ogni volta come un bimbo
 che si ostina a imparare Contro Voglia?
 Ecco. Questo si.

E tu non cercare ancora di smentire la consistenza dello stabile formato 
 col belletto o con quella fede che sfida mentre freddamente ti toglie 
 la Coperta calda mai mancata a te protetta come sei stata fin dal primo UE.

Con affetto diverso ciao.

Mirka




" Ideale" (F. P. Tosti)









lunedì 14 dicembre 2015

SIGNORE DELLE CIME







Quasi alla vigilia di un Natale   col sole freddo che tenta d'indorare i rami secchi degli alberi    in altro luogo la neve già caduta   candele come stormi d'uccelli sui muri delle case   vestiti neri che umidi si stringono    mentre una bimba nascosta alla vista di tutti sperimenta per la Prima volta cosa sia il Dolore. Il dolore muto sui volti degli adulti.   E non sa. Non può sapere   eppure  sente che il dolore ha sempre il volto di un fratello sconosciuto o forse quello di un padre.

Mirka

 "Signore Delle Cime"




 Nota: col tempo    anche la bimba diventò adulta. Magari troppo presto, pur non smettendo mai di aggrapparsi ai Sogni, importanti più ancora della realtà. E continuò a chiedersi se quel Signore, padrone delle Cime più alte fosse stato in ascolto e colto l'urlo o la preghiera smorzata prima di finire. Nella voluta certezza trovò sempre la risposta in were you there when they anche nei suoi momenti più belli e    silenzio. Uno sconfinato immenso silenzio. 

sabato 12 dicembre 2015

E DIRE CHE





Trattenne come aguzzina

 la libertà del pianto.

E dire che erano solo occhi.

Mirka



"Ouverture"  (Forza Del Destino -G.Verdi)








mercoledì 9 dicembre 2015

DOMANI SARO' UN RAMARRO



OGGI VA COSI'



riflessa negli occhi distratti di un passante

una mascherina colorata di viola

una ladra di luce fra ombre sul muro

l'odore della nebbia dove nessuno osa

un bacio su una bocca chiusa

un calendario senza un segno di memoria

un saluto senza la gioia di mandarlo

il lamento di una musica che precede l'urlo della doglia

un giorno in salita dalla parte dolente del corpo.

Oggi va cosi ma domani sarò un ramarro.

Mirka


"Adagio per oboe"  ( Concerto in Do min -Alessandro Marcello)

martedì 8 dicembre 2015

SII. AMA. VIVI E NON CHIEDERTI






Ama. Perché solo nel l'amore puoi riconoscere la tua essenza   e
aiutare gli altri a Riconoscerla e perché 
quando ami sei nel giusto. 

Non rifuggire gli sbagli perché è lì la tua umanità
 fatta di continui sforzi per vincerla e partire da un nuovo
 consapevole che i vecchi errori ti attendono.

Tieni per te le tue sofferenze e i tuoi dolori prima che 
il tuo occhio veda il fastidio sulla bocca degli altri camuffato 
dalla mano educata perché non ti ha capito.

 E Cerca.  Cerca sempre un luogo ove 
il tuo corpo e la tua anima stiano bene
non arrendendosi sin quando l'hai trovato.

Ma fa in modo, sempre, mentre attendi l'inconoscibile
 d'essere degno del ricordo per avere molto amato
 riconoscendo gli sbagli ma senza  averne troppo rammarico. 

 Piena sarà l'assoluzione trasformatisi in serenità nel mentre si sospende
  il tuo ritmo per passare ad altro       e    tu
lo sentirai da l'alito fresco di carezza passata sullo sfoltito del tuo volto. 



Mirka  


Kind of Blue" (Miles Davis)






domenica 6 dicembre 2015

PROFUMO DI CANNELLA E CHIODI DI GAROFANO






Nell'aria un profumo strano
 un misto tra la cannella e chiodi di garofani
  l'odore di casa mia
   lo stracotto del lento  che friggeva
   umida era l'aria che copriva anche il giallo delle foglie
  poi  
 "malandrino quel buon calice bevuto poco prima"  
 mi  sono detta
  nel vedere spuntare le testine rosse tra il verde delle foglioline.  
 E fui  quasi  felice.

Mirka

Ho respirato un tenero profumo. Nella stanza c'era il regalo di una mano cara, un rametto del tiglio, com'era dolce il profumo del tiglio (Ruckert)

 Ich atmet Einen Linden Duft  (G.Mahler)










martedì 1 dicembre 2015

LA CACCA E LA FORTUNA












 Oggi ho pestato una cacca. Si proprio una cacca. Me la sono trascinata fin dentro a un negozio. Tutti ad indicarmela.  lì per li non avevo capito ma quando ho centrato l'obiettivo ho provato vergogna. Una vergogna grande e da innocente per il lavoro che avrebbero dovuto fare quei poveretti del negozio e il mio appena arrivata a casa.   A freddo mi son detta:"Ecco la cacca che governa il mondoben sapendo che invece era quella di un cane senza coscienza nè responsabilità. Però la connessione c'è stata.   Mi sono confortata su una diceria portata sempre nelle orecchie di quando ero molto piccola. "Pestare la cacca porta fortuna" Chissà.

Mirka











domenica 29 novembre 2015

QUELLO CHE SEPPI NON DIRE


La nostalgia  sparata tutta negli occhi      E fu tutto     Quello  che   seppi  non dire.

Mirka

"Non ti scordar di me"






mercoledì 25 novembre 2015

QUESTO TEMPO





L'mprovviso di una sirena fece saltare di un colpo il cuore  -  rimbalzò ovunque come palla di cannone

L'improvviso di un pugnale fra qualche tenera nuvola in un cielo azzurro smorzò la dolcezza di una melodia -si accese una candela

L'improvviso di un'innaturale silenzio bombardò la mia finestra spalancata per carpire il rosso dell'ultima foglia    -fui obbligata a farmi male per non sentire il sudore delila paralisi

L'improvviso di un grido interruppe il quotidiano gesto d'allacciarmi le scarpe lasciandolo sospeso fra un fascio di nervi scoperti

L'improvviso abbaiare dolente di un cane si frammise nel languore lento della sera  - rabbrividii come da scossa d'alto voltaggio  lucide il blu delle vene

L'improvviso della polvere sollevata dallo sfrecciare pazzo di una macchina spezzò l'ultimo profumo del gelsomino  -si chiusero gli occhi  le palpebre un ripostiglio di stoppia

L'improvviso arresto d'un treno senza la stazione di fermata mi tese la pelle del ventre  -  comincia la battaglia  io un'invalida a vita

Al mercato dei fiori vi trovai di tutto un poco,strilloni confusione e falsi ambulanti   -ma non i fiori

Un dibattito catturò la direzione dei miei passi   vi trovai messaggi cifrati,strane complicazioni,  niente che mi parlasse della classe operaia, ne dei precari     -presi il volo come l'uomo del violino sui tetti e con lui formai entropia mentre fermentavo

Una caldaia mal funzionante raggelò l'abitacolo del mio corpo, un accappatoio a salvarmi  dentro il ruggito di una leonessa  - rimpiansi il primo mastello di legno   l'allegria bambina la mamma con le mani nei capelli 

Un pomodoro dal sapore di cetriolo anemico lasciato nel piatto   la nostalgia di un'orto che non c'è,   un minestrone caldo   - una frantumata difesa alle viscere contorte per l'impietosa sorte

Sacchi d'immondizia  seminati ovunque    mi costrinsero a vedere le cose con la chiarezza di uno spropositato consumo e spreco  - dolente l'occhio

 In un autobus esseri informi abbarbicati gli uni agli altri come granchi dondolanti   mi  portarono a desiderare un Paradiso Perduto letto da qualche parte per evitarmi una crisi di claustrofobia   -un Monastero nel punto più alto del Tibet

Una processionaria di ragni tarantole vocianti alla Posta Centrale mi fece capire che esistevano valori e linguaggi diversi  da quelli che avevo sempre perseguito   scoraggiata mi arresi a quel viaggio infernale trovando conforto in una caramella succhiata con libidinoso gusto   -mi ripromisi la permutazione in qualche tipo d'uccello.



 Questo è il Tempo che vivo, che viviamo.  Con l'ansia che esce da ogni buca della strada, nel fumo del cielo più corridoio di aerei che di nuvole tosse e,che,per quanto io cerchi di parlargli razionalmente continua a farsi beffa sghignazzando di grosso.   Il bisogno di simmetrie immaginate agli albori di una Vita tanti anni fa con Occhi sgranati.   Nel naso i maltagliati coi borlotti che borbottavano come un mare in amore che faceva mia madre in fila per tre col riporto di due, un libro in tasca e l'astuzia di leggerlo per distrarre il Tempo affinchè mi porti alla continuazione del Viaggio a dimensione umana più che a una notte di "grandi coltelli" .  Chissà.

Mirka

"Ouverture"  (Sogno Di Una Notte Di Mezza Estate  -F.Mendelssohn)



lunedì 23 novembre 2015

SALUTO D'AMORE (haiku)


Una rosellina rifiorì
raccolsero i suoi petali l'ultima luce
a novembre.

Mirka



 "Salut d'amour"  (Op 12- E.Elgar) 



















































lunedì 16 novembre 2015

LA FOTOGRAFIA






Una fotografia sgualcita per troppo uso

un viaggio fra mille facce

isola deflorata da un tornado di memoria sparse

confusi gli occhi  frastornato il mercato della mente

squillò argentino il cuore nel suo tessere di bambina

friggevano alte le frittelle di cipolla

si scottarono le dita

mi dissi "Ben ti sta cuoricino mio. A far lo scemao ci si rimette sempre".

"Suonò" alto un nitrito.

compromesse le frittelle

gentile mi curò l'unguento.

passò il dolore

suonò l'armonica del cuore

Pesò turgido il seno.



Mirka


"My Funny Valentine"




venerdì 13 novembre 2015

QUANDO SFIORA LA BELLEZZA DEI RICORDI




 Quando sfiora la bellezza di un ricordo è luce che accarezza il corpo, stanco che sia ridandogli lo splendore della Prima mela      la violenza dolce del gelsomino    quel profumo fresco sulla pelle che scotta    il vigore di un campo da arare senza conoscere la fatica   un Sogno da Srotolare e poi  Rifare col fiato lungo del ragazzo che corre senza far sforzo nel segreto del più bel perchè     una colomba furiosa mentre palpita fiori di miele e dolcezza       i cieli e i mari negli sguardi un pò incupiti     la freschezza che si rinnova all'alba avida di esplorare la forza del sole senza scottarsi     un pianeta entro cui immergersi e riemergere vecchi di nuovo.     Un ricordo degno è luce sul buio della notte perlustrata dai raggi lunari e dagli odori che lascia la buona terra.    Una Campanella che suona solo per te e salta in calici di lapislazzuli e di rubini di schiumosa fragranza.    Quando sfiora la bellezza  è cristallo che tintinna e punge senza fare male.  

 Mirka



"La Campanella"  ( F. Listz)

















lunedì 9 novembre 2015

ANCORA DI LEI





In un piccolo paese della bassa emiliana viveva una giovane donna rimasta vedova in ancor giovane età e con una figlia che adorava. La figlia era la narrante La donna mia madre.  
Lei, donna dai forti sentimenti umani e dalle ugualmente forti spinte ideali, era sensibile ai dolori altrui e sempre pronta ad offrire il suo aiuto con l'ascolto e nel concreto.  Per lei rendersi utile,era motivo di gioia interiore,gioia che lasciava trasparire soltanto attraverso un sorriso. E fra le tante sue opere di bene voglio raccontare questa, semplice ma significativa per molto altro.
Un certo Paride,conosciuto in paese come barbone,di età indefinita a causa della lunga barba e dai capelli incolti e sudici così come lo erano gli abiti che indossava,aveva preso l'abitudine di venire,all'ora di pranzo,e fermarsi vicino alla finestra della nostra cucina (abitavamo a un piano rialzato con una veranda davanti alla finestra) in assoluto silenzio e con lo sguardo rivolto a terra. Era mia madre che gli domandava "Paride,vuole un panino con una fetta di salame?" La risposta era un si con il capo e con lo sguardo sempre fisso a terra. Mia madre preparava il panino accompagnato da un bicchiere di buon lambrusco che egli beveva in un solo sorso,e senza proferire parola prendeva il panino,se lo metteva in tasca e se ne andava. Dove? Dall'altra finestra dove sapeva trovarsi un'altra anima caritatevole nella persona della sorella di mia madre. Fernanda. Fernanda (di nascosto a mia madre,per modo di dire) era solita dargli un piatto di minestra o di risotto o di pastasciutta che il Paride divorava velocemente.  Anche lì,dopo aver mangiato,senza proferire parola,se ne andava lontano,tra i campi e,solo e libero cantava a squarciagola. Chissà,forse era il suo modo di manifestare la sua felicità e   ringraziare Dio per il dono quotidiano...
La zia vedendo la frequenza con la quale Paride si presentava all'ora di pranzo,diceva a mia madre: " Si dice in paese che abbia diversi soldi  nascosti".
E da mia madre riceveva sempre la solita risposta: " A me non interessa ciò che dice la gente".   Orbene,passarono molti anni. Io mi trasferii altrove per questione di studio prima e poi di lavoro e per molto di Paride non seppi più nulla.  Un giorno squilla il telefono. Era mia madre smaniosa di raccontarmi un sogno,strano come lo sono tutti i sogni.  Si trovava nel cortile della vecchia casa in compagnia della sorella. Si avvicina a loro il Paride il quale appoggia un braccio sulla spalla dell'una e l'altro braccio sulla spalla dell'altra come fosse un unico abbraccio e dice: "Sono venuto a dirvi che voi avete fatto la vera carità. Io pregherò da Lassù perchè possiate campare 90 anni e più".  Quando mia madre ebbe finito di raccontarmi il sogno provai una grande gioia e la manifestai dicendole :"Magari si avverasse".  "Va a dar retta ai sogni"  rispose prontamente mia madre. Però capii che anche Lei era turbata.  Mia madre si trasferì per un poco di tempo da me ed entrambe dimenticammo il sogno.  Un giorno arrivò la telefonata della zia che comunicò a mia madre la morte di Paride.  "Hai visto che era vero che il Paride aveva soldi?"  disse la zia. E mia madre :"A me non interessa nulla".

Passano gli anni. La salute di mia madre cominciò a declinare per varie Patologie che non lasciarono sperare nulla di buono e tanto meno ancora anni di vita. Ogni tanto mi veniva in mente quel sogno e con tristezza mi dicevo: "E' vero.i sogni sono solo sogni"..  E il Tempo scorreva,e mia madre,seppur carica di acciacchi sopportati con santa rassegnazione toccò i 90. Il sogno mi tornava sempre più spesso alla mente.  Pensavo che per lei il sogno era diventato realtà e sinceramente sentivo un pizzico di invidia mista a speranza. Chissà se quel sogno si sarebbe realizzato regalando quel "pezzetto in più" a mia madre? mi domandavo col cuore insaziabile di Lei e della sua Vita amatissima.   Il "pezzetto in più" lo regalò invece a sua sorella venuta a mancare tre anni fa e all'età di 100 anni.  Sono sicura che il Dio,nella sua infinita bontà ha ascoltato la preghiera di Paride,permettendo a loro di vivere sino ai 90 e un pezzettino.  
Ancora una volta ripenso alla stranezza di certi sogni e nel pensiero rivedo Lei,la sua umiltà e la sua grande forza mai separata dalla saggezza nel suo bel cielo illuminato di umanità in tutte le sue forme. E mentre una lacrima scende,ride intero il Sole dentro di me. Mio ritmo dove nasce muore rinasce ogni innocenza e buona fa anche me.

Mirka


Summertime"




giovedì 5 novembre 2015

È UNO DEI TANTI








 Breve premessa.    Ognuno di noi porta dentro di se delle percezioni che hanno dato impulso alla sua storia personale, forse anche condizionandola senza averne coscienza.  Percezioni che si sono rimosse e, che, all'improvviso da un avvenimento riemergono dal sommerso. Così le leghi alle altre della tua esistenza, sosti, le metti in fila, ci lavori, separi, e misteriosamente capisci che, in fondo, chi ha guidato la tua vita negli incontri importanti è sempre stato il miracolo di un angelo incarnato o nascosto nel tuo istinto, figlio di una voce carica di una forza eccezionale dotata di un'altra via.  Certo la folgorazione viene sempre dopo, a posteriori e nell'ambito della sorpresa.  Ed è appunto su questo terreno che con precisione ricordi "quel" dettaglio del tuo mosaico interiore che forma il quadro della tua via e del perché di una predisposizione anzi che un'altra.  Naturalmente questi motivi sono radicati in un terreno individuale imprescindibile dal contesto familiare e dai primi anni della propria vita. 

   Giovanissima e insediata da poco a Roma grazie a un concorso vinto che mi aveva permesso un ottimo posto assicurato da un contratto a tempo indeterminato, fui onorata della conoscenza di un Maestro direttore (anche) della Cappella Giulia e mio maestro di composizione. (Sono musicista anche se per una spiccata versatilità ha spaziato in molti altri campi sicuramente a scapito della mia prima passione e professione. La musica), Ma torniamo all'argomento di questo post.  Spesso assisteva alle prove musicali respirando insieme ai suoni le Bellezze che mi circondavano mai disgiunto da un vago senso di misteriosa inquietudine. Dan Brown me ne avrebbe spiegato il perché al di là del romanzo, in seguito e in un'età dove sai distinguere la realtà romanzata da quella vera.  Credo che, proprio quell' episodio che spesso mi torna alla mente e segnato sui miei diari, sia stato lui a concretizzare una mia istintiva resistenza verso il prelato. Giovanissima, non brutta, ingenua ma non stupida e col fuoco dell'entusiasmo che mi bruciava gli occhi, aspettavo nella sagrestia  che il Maestro si togliesse gli abiti talari per tornare a quelli civili di ogni giorno.  In silenzio mi guardavo attorno friggendo dalla voglia di uscire da quel posto cupo anche se suggestivo. Una porta si aprì ed entrò un prete con la fascia e la cupola rossa. Il Maestro lo salutò con deferenza, continuando la sua operazione di svestimento"o. Io mi limitai a un cenno della testa.  Allora non conoscevo la scala delle gerarchie e per me questo o Quello erano tutti uguali. Preti. Con apparente noncuranza seguivo la breve e alquanto strana conversazione che si stava svolgendo tra il Maestro e il cardinale. Ma dove hai pescato quest'angelo    abita a Roma?   cosa fa.   Tra me e me mi domandavo perché fossero così insistenti le domande a mio riguardo irritandomi al contempo dell'insistenza degli occhi "cardinalizi"  incollati su di me come può fare un falco quando punta la preda. E   finalmente fuori. All'aperto!  La prima cosa che feci fu quella di esprimere al Maestro il fastidio provato da quegli occhi costantemente addosso. Il Maestro dolcemente e con infinita mestizia  sorrise e mi  rispose in modo alquanto sibillino " Lascia perdere. Meglio non indagare. Meglio passare oltre.  È solo Uno Dei Tanti" . Sulla pelle mi serpeggia un brivido lungo che doveva restarvi  per tutta la vita.  Istintivamente mi strinsi "a me stessa" quasi a fissare quel brivido come futura armatura e scudo, mentre gli occhi guardavano dritti oltre quel nero macchiato di rosso,i suoni come barriera cristallina a cui guardare, la fierezza di mia madre che non si abbassò neppure davanti a un plotone puntato, forte del mio spirito testardo, ribelle e insofferente  a ogni catena che non fosse l'amore. Un amore buono, gioioso, magari un poco intrigante da esaltare una certa complicità, ma pulito, intelligente e forte per proteggerla da ogni ingenuità e orgogliosa di essere in cammino e affiancata con la responsabilità consapevole  di una libera scelta.

Mirka


"In paradisum" (Requiem G.Faure)












sabato 31 ottobre 2015

TU SAI CHE IO SO



Io so che tu sai quanto ora mi pesa il mattino senza "quel" caffè che riempiva la stanza di sole prima che l'aurora, dentro l'inverno con la neve bianca che cadeva e pareva danzasse l'eternità del viaggio fuori da ogni paura.  Eppure  tu non sai quanta lieve freschezza c'era in quel fumo che non c'è e che ora pesa.



. Mirka


  


Arabesque  (notturno n.1  C. Debussy)




Nota: Questo appunto è stato trovato da me tra un vinile e l'altro. Mi sono detta La memoria è un  impercettibile battito di uno sconosciuto senso dell'eternità,  il filo luminoso di una ragnatela che si spegnerà solo con noi. 

giovedì 29 ottobre 2015

LEZIONE DA UN PICCOLO FIORE



Breve premessa. Negli anni del collegio s'impara di tutto. S'impara a fantasticare su come scavalcare un muro evitando di rompersi l'osso del collo. S'impara a ingraziarsi la Badessa o Madre Superiora in cambio di un peccato di gola o di quell'ora di sonno in più al mattino, la concessione del permesso di frugare nel libro della Divina Commedia (senza troppo capirci), come farsi perdonare il carattere ribelle dagli sbalzi d'umore incredibili e tali da far sbalordire un esorcista. S'impara a reprimere il valore della schiettezza e quindi dei "diritti" percepiti come tali, sostituendoli con il muto linguaggio degli occhi abbassati come la donna delle pulizie (di un tempo) o rivolti al cielo come santa Teresa d' Avila. Si imparano le buone maniere buttando fuori tutta la lingua appena la monaca ha voltato le spalle.. S' impara l'arte della finzione a fare per deviare l'attenzione sulla tua natura predisposta alla pigrizia e all'ozio con gli occhi spalancati. S'impara la Musica come gioia e condanna. Gioia quando liberamente  scatena le emozioni anche quelle più sconvenienti o tristi sino a sentire la morte vicina e Amica. Condanna quando s'impongono di vedere bello quello che a te non piace e...gli interminabili studi disciplinari. S'impara la scalata della perfezione imperfetta. Si studia duro mentre la testa si perde nel bel Cappellano che ha raccolto nel confessionale il tuo candore innocente lasciandosi nel fondo l'ombra di un torbido e una caotica inquietudine. S'impara lo stupore delle prime scoperte dei piaceri della sessualità subito nascosti accuratamente con occhioni grandi come la luna. E s'impara a ricamare dei favolosi piccoli capolavori di pazienza dei quali insuperbirsi i come avrebbe voluto uno dei settecento diavoli che si dice infestino il Creato. S'impara a scottarsi le dita lasciandole orgogliosamente integre. S'impara insomma ciò che serve per affrontare l'ambiguità della Vita bifronte.

 Ma eccoci al racconto. Il sole era spuntato da poco e la giornata prometteva serenità. Presi il mio lavoro a telaio e mi misi accanto alla finestrella dove vi era più luce non perché avessi problemi di vista, tutt'altro, allora godeva di una ottima vista che mi permetteva di effettuare splendidi ricami prima che potesse perderla forzandola al lumicino per leggere di nascosto. Stavo infatti ultimando una tovaglia in puro lino, arricchita da ghirlande di superbe rose e timide viole che si intrecciavano armoniosamente a cascatelle di narcisi, Pratolini, mimose e ciclamini in un tripudio di linee e colori. Con l'aiuto dell'ago e dei fili multicolori e soprattutto con l'abilità delle mie dita, riuscivo a far sbocciare fiori delicati dalle mille sfumature e immortalarla sulla stoffa. Ogni tanto mi soffermavo ad ammirare l'operato e si compiaceva della mia bravura, anzi, ne ero addirittura orgogliosa perché mi pareva d'aver raggiunto la perfezione in questo lavoro tipicamente femminile. Ma quel giorno un episodio mi insegnò qualcosa di molto bello che mi piace raccontare. Sul mobiletto (piccolo scrittoio) accanto alla finestra avevo posto,tempo addietro, un vaso nel quale avevo messo a dimora,in un piccolo pugno di terra, un bulbo di ciclamino sottratto furtivamente al giardino di una zia e lì l'avevo lasciato nel totale disinteresse. Dopo un po' di tempo mi accorsi che erano spuntate quattro foglioline. "Toh" mi dissi "è sopravvissuto senza cura" e sinceramente provai quasi tenerezza. Cominciai allora a seguirlo con tutte le attenzioni dovute; le foglioline crescevano mostrando la loro aggraziata forma di cuore, di un bel colore verde intenso ai bordi e verde chiaro al centro, interamente venate da una sottile rete simile ad una trina. Un giorno tra le quattro foglie, fece capolino un bocciolo di ciclamino. Se quel fiore avesse avuto occhi avrebbe visto con quanta gioia avevo accolto l'inatteso fiorellino, così piccolo ma perfetto nelle caratteristiche del suo genere. Quel giorno stavo appunto ricamando quando un raggio di sole entrò nella stanza illuminandolo. Impercettibilmente il raggio raggiunse il mobiletto sul quale era posto il vaso e sempre impercettibilmente raggiunse anche il ciclamino.
Tra una gugliata e l'altra osservavo il bocciolo inondato di luce.  A un certo punto cominciai a notare che la sua forma conica stava cambiando. Ma si,si stava gonfiando come un palloncino e nel gonfiarsi si accorciava. Pareva facesse fatica ad aprirsi perché i suoi petali, alla punta, erano ancora avvoltolati come se non volessero sciogliersi dall'abbraccio che li teneva uniti dalla nascita. Incuriosita smise di ricamare cominciando ad osservare attentamente ciò che stava avvenendo. Ad un tratto,nella spinta del calore del sole,avvenne una specie di esplosione, i petali si aprirono di colpo sciolti dalla loro stretta e uno di essi velocemente si rovesciò all'indietro,verso l'altro come in atteggiamento di lode a un'invisibile creatore. Fu in quel momento che da esso scaturì l'intenso profumo del ciclamino che invase tutta la stanza. Io guardavo stupita quel piccolo miracolo. Non credevo ai miei occhi; avevo assistito a uno dei tantissimi misteri di "crescita" che ci dona la vita e che noi consideriamo attratti soltanto dal fatuo scintillio delle cose del mondo che ci schiavizzano per le loro false promesse.
Fui come risvegliata da un sonno e capii il messaggio udito nella "voce sottile del silenzio" attraverso quel piccolo e infinitamente grande miracolo che è anche lo sbocciare di un fiore. Per un istante capii anche la mia pochezza e mi vergognandosi per essersi cucita addosso un vestito intessuto di vanità e superbia. Si ,superbia, perché attributivo soltanto a me la capacità di espressione nell'arte del ricamo mentre era uno dei talenti che Dio mi aveva donato  e che dona a ciascuno di noi in modi diversi.
Sono passati molti anni da allora. Il ricamo appartiene ormai ai ricordi di un tempo e di uno "stato di transito". Anche la vista non è più come quella di allora. Eppure,da quel giorno,i miei occhi, e mi riferisco agli occhi dell'anima, non hanno mai smesso di vedere la Bellezza e la grandezza di un Piano Superiore in cui traspare Amore operante anche a nostra insaputa in quel guizzo della percezione di un "qualcosa" che si riforma fuori dalla nostra volontà e attraverso la natura che rompendo si espande e si dilaga nei prodigi delle sue forme più svariate,nel mistero velato e occultato in modo che, ognuno, e a modo suo,gli si avvicini diventando lui stesso fonte di inesauribile prodigi anche nel nuovo di un piccolo gesto scappato nel quotidiano,nella sofferenza da vivere fino al limite del possibile e poi "offrire". La lotta come lo stesso "principio del piacere" e lontana da ogni distruzione,il rispetto per ogni specie che ci vive accanto curiosi d'accettare la diversità. Un risveglio sempre pronto ad affacciarsi. La gioia di lasciare libera  ogni crescita  anche se osservata con amorevole attenzione senza che qualcuno ce lo dica o ce lo imponga ma come voce che ci suggerisce il cuore. Un bulbo rubato perché faccia sempre rumore nell'intimo di noi. La Bellezza rubata per moltiplicarla con gratitudine. Se ne può non esserne ancora consapevoli ma l'inconscio sa perché ha fatto quel gesto.  Non fare mai nulla se ha per fine un personale tornaconto, ma consapevole dei frutti che nel silenzio si sentono spuntare,rossi o viola che siano non importa, ma pieni del loro succo che un poco sa anche di noi.


Mirka

lunedì 26 ottobre 2015

LEI




Da poco era passata la Pasqua e da un giorno la commemorazione di un giorno altrettanto bello. Forse più bello per chi non andava a messa la domenica. Il 25 APRILE. I fiori gareggiavano col Cielo. Lei ne fu felice. Come sempre. Solo per la frazione di un attimo l'anima si arrestò dal suo Volo appena cominciato. Uno strattone Invisibile la riscosse da quella Volontà  sovrumana di restare.  Lei "non voleva" andarsene  per la coscienza di "quel tutto" in addivenire.   Non potendo parlare, lasciava agli occhi la forza di volontà, intensa come la luce di un mezzogiorno estivo forando la stessa luce.  Poi reclinò il capo.   Sapeva che il messaggio sarebbe passato dalla mente passando subito oltre, cosciente che non sarebbe arrivato alla profondità delle viscere, a modificarne la natura, né il corso del Destino.     Così tacque per sempre.      E dire che l'amava. L'amava di un Amore che credeva più forte d'ogni limite pensato da umana potenza.   Eppure non bastò.    Ancora a distanza, Aurora si emoziona a quel ricordo, e si domanda se Amare sia invece una condanna più che la voce comune che gli attribuisce il miracolo di fare nascere la gioia.  Una condanna da sentire oltre lo stesso finito, con l'impegno della Responsabilità ad agire per non vanificare l'offerta del sacrificio. (?)     Sconfitta, Lei parve arrendersi a ciò che quella volta non poté cambiare.   Stanca chiuse gli occhi alla vita come per abbandonarsi a un lungo sonno.  Fu l'unica volta che nel volto non le si riflessero i bagliori del sorriso.   Il sorriso sempre portato in ogni lotta e quella volta perso per sempre. Una nebbiolina rosa si stava formando attorno a Lei. Aurora ebbe l'impressione di vedere la mano di Dio, implacabile nella sua volontà fatta di affilato coltello.  M. (Dai Racconti Il Destino Nel Nome)


"Im Abendrot" (Vier Letzte Lieder -R. Strauss)


"O pace, vasta e silenziosa,
 pace profonda del tramonto.
Siamo così stanchi del cammino-
è così, forse, che si muore? (H.Hesse)

 


domenica 18 ottobre 2015

UNA SCOSSA POI LA NORMALITÀ COME SE NIENTE



Fu sorpresa quell'incontro e io battei le ciglia. Il cuore sussultò come smarrito uccello senza memoria del suo nido. Ma di tutta quella teatralità da copione, a colpire la mia attenzione fu il suo sguardo fissato sulla minuscola catena che portavo al collo con la ancor più minuscola cifra E. appena sopra i seni. Lì si fermò la sua tenerezza mentre al contrario s'induriva un poco il mio cuore sciogliendolo col burro della Compassione. Certo i rapporti umani, non meno di quelli coniugali sono governati da una legge generale, diventata prassi di "civiltà" (io la chiamerei più realisticamente ipocrisia ma sorvoliamo) che vuole in presenza di estranei non ci siano rivelazioni indiscrete, non "scene" rivelatrici che, per quanto il freno esercitato  per lunga scuola possa salire di temperatura e induca qualche dubbio su cosa sia passato fra i due facendo anche trapelare il sospetto di un colpevole e di un offeso, per cui se ne deduce, teatralmente saggio mantenere un comportamento calmo e sorridente come "se niente", come se "non fosse", in modo che, anche al più smaliziato resti difficile trovare un appiglio per criticare o peggio immaginare equivocando su un pantano inventato. Da qui però, al gesto dell'indifferenza che mira a far soffrire chi in tutta coscienza non ha MAI danneggiato, ce ne passa di acqua sotto i ponti. Mi viene allora spontaneo pensare a ciò che ha scritto uno dei tanti cinguettanti di mia conoscenza "Siamo tutti pagliacci tristi". Con piacere gli rispondo anche se indirettamente "Si. Ma a sipario alzato. Al chiuso, non so."   Forse solo delle misere nudità umane e tremanti, eccentrici e forse anche arguti e divertenti, un tempo, ma molto più sbrindellato ora e con una legge morale che si presenta chiara e  "fiera" solo quando fa comodo.

 Mirka

 Musica Notturna per Le Strade di Madrid  (L.Boccherini)















mercoledì 14 ottobre 2015

FRA POCO SARA' SERA

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Fra poco sarà sera.


Le luci del giorno già muovono al declino.
Un raggio di luce prova a farsi strada fra un mantello rattoppato di nuvole in cammino.


 Fra poco sarà sera.


 Dei colpi di giovane tosse  mi rallenta il battito del cuore.
 M'incupisce il ricordo lontano, vivo come carne ammaccata da poco.


 Fra poco sarà sera.


 Il mio pianoforte tace.     Non può.
 Manca il delirio dell'anima e la magia che ne perfora i suoni.


 Fra poco sarà sera.


  Nella mia insonne oscurità respirerò un richiamo di Cornice.

  Limpida sorgente di fronte che non smise la trasparenza su le pieghe.

 Ombra di me stessa su la luce verde della foglia.

 Palpabile Assenza che martella su un mattone.


  Fra poco sarà sera.



Mirka





"Notturno" (Op 48 N.2 -F. Chopin)





domenica 11 ottobre 2015

LETTERA ALLA MOROSA

I maschi, come le femmine, ma soprattutto i maschi, da quando il mondo è stato creato, sono sempre stati pronti a inventarsi alibi, più o meno credibili, per giustificare una "mancanza" o una "scappatella".  Poco è cambiato e ancor meno cambierà. Noi siamo fatti della stessa sostanza dell'acqua, un poco di terra e molta immaginazione per trovare le infinite scorciatoie per farla franca. Sfogliando tra i quaderni di mia madre, ho trovato questa lettera che desidero portare a conoscenza magari per riproporre una sottesa risata.  Quella che sicuramente la fece fare a mia madre e a me immaginando la scena. "Cara morozza, Ier sera non sono mica potuto venire a morozzo perchè pioveva, timpistava, tirava lo vento, brontolava lo tirone.(tuono) A gh'era i fulmani e am bagnava li scarpi novi perchè in tella strada c'era tanta plicce-plocce. Acosì g'ho deciso di starmina in cà. Al tò moròs"


 NOTA: Va da sottolineare che la suddetta lettera scritta da un sempliciotto di campagna per scusarsi del mancato appuntamento solitamente fissato al giovedì, fu scritta a cavallo dei primi trent'anni del 900. Non deve quindi meravigliare il "modo" di scrittura nè l'intercalare del dialetto (emiliano) con qualche parola d'italiano.

Mirka






io cerco la morosa  (Raul Casadei)











martedì 6 ottobre 2015

IL DIAMANTE DA UN'UNICA LUCE PURISSIMA




La sua luce riempiva tutta la stanza. Faceva male al cuore più che agli occhi.  "Oddio morirò  strozzata con tutte le lacrime che si fermano lì anche se io mi affanno nello sforzo di cacciarle giù da dove sono venute", si diceva la donna rigirando quel diamante fra le mani tremanti come quelle d'una vecchia di cent'anni. L'anello era restato sempre là, in un punto ben preciso e come scordato. Volutamente scordato. E ora stava fra le sue mani con quel groppo che in continuazione la minacciava. Chiuse gli occhi e rivide la sala illuminata da tante luci e già piena di gente elegante venuta per ascoltare Lei. La paura l'aveva presa e le si erano paralizzate le gambe come in quell'inverno quando piccola si era persa nella neve alta della campagna e non riusciva più a trovare la strada verso casa. Le lacrime le scendevano, diventavano ghiaccioli e il suo invocare la mamma era solo un indecifrabile pigolio. Non sentiva più lo scorrere del sangue nei piedi e così si era bloccata come fosse una statua. Una statua che mandava fuori dei granuli bianchi e scintillanti. "Ecco" diceva alla testarda che già si predisponeva a diventare "Me lo merito. Scappare  come una furia  per dei normali litigi di casa, per godere del silenzio assoluto e dell'ebbrezza che le avrebbe dato il bianco della neve!  Gli scarponcini erano ormai diventati due maccheroni che nessuno avrebbe mai mangiato e i piedi due ghiaccioli che nessuno avrebbe mai succhiato. Ormai era già morta. Si vedeva nella bara senza il bacio della mamma, senza averle chiesto il perdono per quest'altro dolore.  Poi      qualcuno da dietro l'accolse in un abbraccio. Voltò lentamente la testa. Riconosceva quel braccio. Lasciò che una lacrima si fermasse sul centro della guancia. "Ehi piccola cosa ti succede? Una lacrima!  Perché!?" Le risuonò  in tutto il corpo la familiare voce, dandole al braccio una lieve pressione per farla voltare tutta. Il lungo vestito anche se di seta leggera come un velo le impedì la scioltezza del movimento. Sentiva però che altro si stava sciogliendo nella gola liberandola  un poco da quella durezza "Sarai bravissima" le sussurrò sulla bocca quella voce. E lei fu pronta. Sorriso sulla fronte, l'occhio concentrato al podio. La sala era bella, spaziosa, ricca di addobbi e con gente in attesa. Le faceva piacere vederla sparsa e raccolta nella varietà misurata e composta. Il suo istinto più profondo cercava però sempre e a sua insaputa un accordo delicato fra le modalità esteriori a qualcosa che potesse riportare il tutto a un'essenza che solo in uno spirito fine ed esercitato si poteva trovare. Da l'alto del soffitto cominciò a venire meno la luce. Ne inseguì l'affievolirsi. Davanti a lei un'infinita grandine di teste. Le teste parevano così riavvicinate da darle l'impressione di piccoli palloncini colorati tenuti da una grossa mano. Si raccoglievano, si spostavano, si riunivano ancora come mossi da misteriose correnti d'aria. Sentiva tanti occhi fissi su di lei domandandosi perché invece non tendessero l'orecchio al suo grido d'aiuto. Il primo violino abbozzò un saluto con l'archetto. Gli rispose automaticamente con una specie di sorriso. Il vestito da nuvola aranciata le si era fatto pesante come il freddo del piombo. Qualcuno si raschiò la gola. Avrebbe voluto farlo anche lei. Si affacciò invece la nostalgia del caldo della sera davanti a un tavolo apparecchiato con una immacolata tovaglia a quadretti blu e bianchi, il piatto  fumante sui passatelli fatti dalla nonna e in silenzio si mangiava mentre dagli occhi esce musica.     La neve continua a scendere e lei con lei. Sta scavando una fossa. Fra poco sarà tutta coperta e nessuno saprà mai che  sotto quella neve  c'è lei. Nessuno lo scoprirà. Neppure sua madre.  C'è irrequietezza ora nella grande sala e fra gli orchestrali. La sente addosso senza capirne la ragione. Potesse almeno voltarsi al podio. Ma non può. È una donna di neve. Di neve come il pupazzo che le faceva il nonno davanti al cancello di casa. Il pupazzo aveva come naso un sughero rosso. Il silenzio è assoluto e greve ora. Ma cosa sono quelle voci che ripetutamente la chiamano? C'è preoccupazione, ansia, isterismo, paura. Il collo le si è fatto lungo. Lungo come quando lo si tira a una gallina. "È qui è qui. È viva" Delle mani la sollevano, la scuotono, la sfregano, le regalano il caldo tenerissimo e rassicurante del petto. Non sente il cuore pulsare, sente invece l'allargamento del caldo anche se non sa distinguere da dove proviene. Com'è dolce quel Ritrovato! Bellissimo. Splendido. Da "ricordare". Solo per un attimo si ritrovò nel freddo della neve. Un ramo con tante goccioline di ghiaccio l'aveva improvvisamente ghermita. Voleva gridare ma al posto del grido le uscì un verso così spaventoso da far paura anche a lei. Era il cuore che martellava. Il verso non c'era. Lei era muta. Sentiva male. Il caldo è così profondo ora d'arrivare sino ai piedi. Un rumore la scuote. Il direttore sta venendo verso di lei. È deciso ma sorride. Lei lo ferma con un cenno della testa e con un uguale sorriso gli sussurra. "Tutto bene, Maestro. Mi scusi. È stato solo un lievissimo sbandamento. Può cominciare".   Il concerto scorre come gli anelli di una catena perfettamente equilibrata e disposta al più magnifico dell'uso. "Sei stata bravissima"  le ripete la solita voce penetrata a sorpresa nel suo camerino forzando tutti i fasci dei fiori e mettendole al dito un diamante dalla luce purissima. Si. Bravissima lo è stata sempre, in teatro. Non invece nella vita incapace  quasi della più piccola finzione. O meglio, o reagiva prontamente, o con indifferenza voltava le spalle, oppure stava zitta lasciando che gli occhi parlassero per lei. Come quella volta quando l'aereo non fece più ritorno e tutto il cerchio cercava di consolarla e lei guardava oltre ogni testa.   Tra le mani il diamante manda strani bagliori gialli. Con un gesto di Dolore fa per scagliare nel fiume che indifferente scorre davanti alla sua finestra, tutta quella luce che le brucia le mani. Si trattiene in tempo "No. Se non mi è servito per vivere mi sarà utile per pagare il mio funerale" si dice con ferma determinazione mentre con estrema lentezza si avvia per deporre l'anello nel suo scrigno prezioso. Un raggio di sole attraversa il centro della stanza formando disegni di luce. Si ferma a guardare le innumerevoli varianti. Nel suo ondeggiare sente TUTTI i suoni d'ogni musica eseguita, la sua anima, il suo corpo. Ora al posto degli occhi ha due diamanti. Respira a fondo felice, incurante del suo volto bagnato. In quel perlaceo luccicante, lei sapeva esservi riflessi tutta la luce della sua piccola Vita.

 Mirka (Dai racconti Il Destino Nel Nome)
 "
 My Heart will go On




sabato 26 settembre 2015

"COME FANNO I BAMBINI" IL SOGNO CHE INSEGNÒ LA VIA

Breve introduzione. Tardavo a dormire. Pensavo. E i pensieri non aiutano il preludio al riposo a meno che non portino ad approfondire un sentire bello. Tenevo accesa la piccola lampada sul comodino e i pensieri sgranocchiati come il secondo dei Misteri. Quello doloroso per chi non avesse dimestichezza con la Chiesa cattolica e con quello che s' impara nella prima età. Solitamente quella scolare. L'Invisibile che mi sta sempre appresso mi suggerì di spegnere la luce. Così allungai la mano ed eccomi sprofondata nel sonno. SOGNO In grigio sino alla fine se non con qualche spruzzo di luce bianca. Mi trovavo in una casa che non conoscevo ma che sapevo essere la mia. Era arrivata la donna delle pulizie insieme ai suoi cinque figli adulti meno una piccola incollata alla sua gonna. La gonna era nera e cupa lei nel volto mentre duri erano i volti dei figli. Erano sardi e, com'è risaputo basta un'ombra per offenderti chiuderli come dei ricci. A uno di loro impartivo lezioni di canto. Tutti lavoravano insieme alla madre. L'atmosfera che si era creata era tesa pesante cattiva e a me non piaceva. Per natura sono accomodante, odio i litigi e i litigiosi, i bronci. Io assistevo ai lavori manuali imbarazzata, impacciata quando davo qualche ordine. Lentamente mi avvicinai al giovane allievo e con dolcezza gli chiesi se ricordasse la respirazione. Immediatamente sorrise e subito si predispose a darmene una dimostrazione. Era un pò che non veniva a lezione e temevo potesse avere dimenticato come si utilizza il diaframma. Al fine di spiegargli il meccanismo completo e sul percorso di ciò che avviene a livello dei muscoli, avevo introdotto un Concetto molto complicato da capire e quindi difficile da mettere in pratica. L'atmosfera pesante ora si era sciolta e tutti i fratelli assistevano interessati alla prova, tranne la madre che continuava a lavorare, piegata ma col volto rischiarato dalla luce della serenità. Il giovane però pur mettendocela tutta non riusciva ad applicare completamente ciò che gli dicevo. A un certo punto sbottai nel lampo di una giusta intuizione "senti, lasciamo perdere i MUSCOLI e concentriamoci invece du una bella e profonda respirazione naturale. Di PANCIA COME FANNO I BAMBINI", Senza problemi lui respirò come doveva e felice mentre tutti scoppiavano in una fragorosa risata liberatoria e riconciliatrice. E anch'io mi sono svegliata col sorriso che mi allargava tutto il volto. Con questo sogno avevo imparato io una cosa preziosa e fondamentale. Il complicato ce lo creiamo noi quando il semplice che ci riporta alla naturalezza di quando si era bambini è la sola e unica strada che si deve seguire anche per spiegare concetti difficili di matematica. Mirka NOTA Anche la narrazione scrittura di questo sogno l'ho buttata di getto appunto perchè non ne perdessi nulla e fosse naturale e vero come lo sono sempre i bambini quando dormono o da svegli ridono

domenica 20 settembre 2015

OSTINAZIONI





Erano litigate furiose da parte mia. Lui non perse mai e poi mai la pazienza. E dire ch'era un esuberante. Ostinatamente tornava con un bacio. Ostinatamente quello era il suo fiore sempre fresco di rugiada. Ora che non c'è più, sono io che Ostinatamente cerco che si apra la porta col fiore spuntato prima ancora di vederne la faccia. Stupida Me per non aver voluto comprendere l'amore raccolto e pieno in quella enorme virtù dal nome Pazienza. Le mie liti furibonde solo Scemenza.

Mirka

 Notturno (Op 48 N. 2  F. CHOPIN)



giovedì 17 settembre 2015

CONSERVO ANCORA QUELLE MICRO CASSETTE

Mi sono svegliata con My Way in gola. Tutto era come quel mezzogiorno quando la lucina rossa della segreteria telefonica ha cominciato a lampeggiare.  Ho sempre pensato che, con chi si ha un'intesa alchemica, fossero delle onde magnetiche a propagare energia, a inviare messaggi da decifrare, a scegliere una musica precisa scartandone altre, a formare le  stesse parole anche senza averne coscienza. Così tra noi, dopo quel l'addio voluto più che sentito, avevano preso il via degli strani segnali che riuscivo a interpretare senza timore di equivocare il senso, godendo e agganciandosi a loro come fosse il mio interno, mentre l'immaginazione si cullava di ricordi che credevo persi per sempre e ai quali davo ogni volta forme di esclamazione. Ah! Oh! Uh!. Li stava tutta la realtà di essenze brucianti per superiore intelligenza e che si impossessavano d'ogni neurone portandolo fuori da ogni relatività. In fondo noi eravamo degli geocentrici, quindi Aurora continuava a deglutire sapori immaginati tra un ricordo e l'altro, tra un'esclamazione e l'altra variata solo dalla vocale. E pur fra un lampo e l'altro di quei ricordi ne percepiva l'interezza e l'unità. Proprio come un fine al quale entrambi avevano dato un contributo formativo. Nitido il ricordo di quella pioggia fine di uno di quei crepuscoli lenti e chiari di giugno che paiono continuare sino alla metà della notte. Non si erano baciati, ma le loro mani si erano congiunte in una morsa mandando in circolo una valanga di ormoni. E la potenza dell'amore era materia viva, palpitante nei polsi, nel l'ebbrezza di fondali dove zampettano farfalle cristalline. Anche quel giorno era di giugno. Non c'era la pioggia ma un sole già forte da invocare lo scuro degli occhiali. Ma perché le batte così forte il cuore?... Salta due gradini per arrivare alla porta, una caviglia le fa male ma caccia con fastidio il dolore che avanza. Non trova la chiave. Si innervosisce. Rovescia a terra tutto il contenuto della grossa borsa. Fumano gli occhi e tremano le mani ma la chiave è li. Lucida e bella. La raccoglie, le dà un bacio virtuale e apre la porta. Con uno strattone la spalanca e corre nel corridoio. La lucina rossa le parla nel solito linguaggio familiare. Si tranquillizza e ritorna indietro a riprendersi le cose lasciate a terra. I gesti pensano ad altro e più tardi pagherà il disordine con del tempo prezioso che le recherà altro nervosismo. Lo sa bene ma non se ne cura. Il silenzio della casa è quasi palpabile,se non fosse per i canarini che come sempre si azzuffano. Indugia in cucina. Comincia a sgranocchiare un biscotto restato sul tavolo dalla colazione, fa il verso ai canarini, cerca d'imitare l'usignolo. Apre il frigo. Prende la bottiglia di Francia Corta versandosene due dita. Con lentezza studiata si dirige alla segreteria telefonica. Ma perchè continua a batterle così forte il cuore? Tituba un poco mentre fissa la lucina rossa,  poi decisa spinge il dito sul bottoncino rosso. La voce inconfondibile di Frank Sinatra riempie tutti i muri della casa ma soprattutto la canzone MY WAY. Raggela mentre come una Mummia va verso la sua camera da letto. Si depone sul letto. Chiude automaticamente gli occhi. Fuoriesce un rigido cristallo facendo strada ad altri.  Duro come la  prima pietra  consapevole del dolore senza conforto di nessuna spiaggia. (Estrapolato dai Racconti Il Destino Nel Nome )

 Mirka




 MY Way