fiume

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fiume della vita

giovedì 29 ottobre 2015

LEZIONE DA UN PICCOLO FIORE



Breve premessa. Negli anni del collegio s'impara di tutto. S'impara a fantasticare su come scavalcare un muro evitando di rompersi l'osso del collo. S'impara a ingraziarsi la Badessa o Madre Superiora in cambio di un peccato di gola o di quell'ora di sonno in più al mattino, la concessione del permesso di frugare nel libro della Divina Commedia (senza troppo capirci), come farsi perdonare il carattere ribelle dagli sbalzi d'umore incredibili e tali da far sbalordire un esorcista. S'impara a reprimere il valore della schiettezza e quindi dei "diritti" percepiti come tali, sostituendoli con il muto linguaggio degli occhi abbassati come la donna delle pulizie (di un tempo) o rivolti al cielo come santa Teresa d' Avila. Si imparano le buone maniere buttando fuori tutta la lingua appena la monaca ha voltato le spalle.. S' impara l'arte della finzione a fare per deviare l'attenzione sulla tua natura predisposta alla pigrizia e all'ozio con gli occhi spalancati. S'impara la Musica come gioia e condanna. Gioia quando liberamente  scatena le emozioni anche quelle più sconvenienti o tristi sino a sentire la morte vicina e Amica. Condanna quando s'impongono di vedere bello quello che a te non piace e...gli interminabili studi disciplinari. S'impara la scalata della perfezione imperfetta. Si studia duro mentre la testa si perde nel bel Cappellano che ha raccolto nel confessionale il tuo candore innocente lasciandosi nel fondo l'ombra di un torbido e una caotica inquietudine. S'impara lo stupore delle prime scoperte dei piaceri della sessualità subito nascosti accuratamente con occhioni grandi come la luna. E s'impara a ricamare dei favolosi piccoli capolavori di pazienza dei quali insuperbirsi i come avrebbe voluto uno dei settecento diavoli che si dice infestino il Creato. S'impara a scottarsi le dita lasciandole orgogliosamente integre. S'impara insomma ciò che serve per affrontare l'ambiguità della Vita bifronte.

 Ma eccoci al racconto. Il sole era spuntato da poco e la giornata prometteva serenità. Presi il mio lavoro a telaio e mi misi accanto alla finestrella dove vi era più luce non perché avessi problemi di vista, tutt'altro, allora godeva di una ottima vista che mi permetteva di effettuare splendidi ricami prima che potesse perderla forzandola al lumicino per leggere di nascosto. Stavo infatti ultimando una tovaglia in puro lino, arricchita da ghirlande di superbe rose e timide viole che si intrecciavano armoniosamente a cascatelle di narcisi, Pratolini, mimose e ciclamini in un tripudio di linee e colori. Con l'aiuto dell'ago e dei fili multicolori e soprattutto con l'abilità delle mie dita, riuscivo a far sbocciare fiori delicati dalle mille sfumature e immortalarla sulla stoffa. Ogni tanto mi soffermavo ad ammirare l'operato e si compiaceva della mia bravura, anzi, ne ero addirittura orgogliosa perché mi pareva d'aver raggiunto la perfezione in questo lavoro tipicamente femminile. Ma quel giorno un episodio mi insegnò qualcosa di molto bello che mi piace raccontare. Sul mobiletto (piccolo scrittoio) accanto alla finestra avevo posto,tempo addietro, un vaso nel quale avevo messo a dimora,in un piccolo pugno di terra, un bulbo di ciclamino sottratto furtivamente al giardino di una zia e lì l'avevo lasciato nel totale disinteresse. Dopo un po' di tempo mi accorsi che erano spuntate quattro foglioline. "Toh" mi dissi "è sopravvissuto senza cura" e sinceramente provai quasi tenerezza. Cominciai allora a seguirlo con tutte le attenzioni dovute; le foglioline crescevano mostrando la loro aggraziata forma di cuore, di un bel colore verde intenso ai bordi e verde chiaro al centro, interamente venate da una sottile rete simile ad una trina. Un giorno tra le quattro foglie, fece capolino un bocciolo di ciclamino. Se quel fiore avesse avuto occhi avrebbe visto con quanta gioia avevo accolto l'inatteso fiorellino, così piccolo ma perfetto nelle caratteristiche del suo genere. Quel giorno stavo appunto ricamando quando un raggio di sole entrò nella stanza illuminandolo. Impercettibilmente il raggio raggiunse il mobiletto sul quale era posto il vaso e sempre impercettibilmente raggiunse anche il ciclamino.
Tra una gugliata e l'altra osservavo il bocciolo inondato di luce.  A un certo punto cominciai a notare che la sua forma conica stava cambiando. Ma si,si stava gonfiando come un palloncino e nel gonfiarsi si accorciava. Pareva facesse fatica ad aprirsi perché i suoi petali, alla punta, erano ancora avvoltolati come se non volessero sciogliersi dall'abbraccio che li teneva uniti dalla nascita. Incuriosita smise di ricamare cominciando ad osservare attentamente ciò che stava avvenendo. Ad un tratto,nella spinta del calore del sole,avvenne una specie di esplosione, i petali si aprirono di colpo sciolti dalla loro stretta e uno di essi velocemente si rovesciò all'indietro,verso l'altro come in atteggiamento di lode a un'invisibile creatore. Fu in quel momento che da esso scaturì l'intenso profumo del ciclamino che invase tutta la stanza. Io guardavo stupita quel piccolo miracolo. Non credevo ai miei occhi; avevo assistito a uno dei tantissimi misteri di "crescita" che ci dona la vita e che noi consideriamo attratti soltanto dal fatuo scintillio delle cose del mondo che ci schiavizzano per le loro false promesse.
Fui come risvegliata da un sonno e capii il messaggio udito nella "voce sottile del silenzio" attraverso quel piccolo e infinitamente grande miracolo che è anche lo sbocciare di un fiore. Per un istante capii anche la mia pochezza e mi vergognandosi per essersi cucita addosso un vestito intessuto di vanità e superbia. Si ,superbia, perché attributivo soltanto a me la capacità di espressione nell'arte del ricamo mentre era uno dei talenti che Dio mi aveva donato  e che dona a ciascuno di noi in modi diversi.
Sono passati molti anni da allora. Il ricamo appartiene ormai ai ricordi di un tempo e di uno "stato di transito". Anche la vista non è più come quella di allora. Eppure,da quel giorno,i miei occhi, e mi riferisco agli occhi dell'anima, non hanno mai smesso di vedere la Bellezza e la grandezza di un Piano Superiore in cui traspare Amore operante anche a nostra insaputa in quel guizzo della percezione di un "qualcosa" che si riforma fuori dalla nostra volontà e attraverso la natura che rompendo si espande e si dilaga nei prodigi delle sue forme più svariate,nel mistero velato e occultato in modo che, ognuno, e a modo suo,gli si avvicini diventando lui stesso fonte di inesauribile prodigi anche nel nuovo di un piccolo gesto scappato nel quotidiano,nella sofferenza da vivere fino al limite del possibile e poi "offrire". La lotta come lo stesso "principio del piacere" e lontana da ogni distruzione,il rispetto per ogni specie che ci vive accanto curiosi d'accettare la diversità. Un risveglio sempre pronto ad affacciarsi. La gioia di lasciare libera  ogni crescita  anche se osservata con amorevole attenzione senza che qualcuno ce lo dica o ce lo imponga ma come voce che ci suggerisce il cuore. Un bulbo rubato perché faccia sempre rumore nell'intimo di noi. La Bellezza rubata per moltiplicarla con gratitudine. Se ne può non esserne ancora consapevoli ma l'inconscio sa perché ha fatto quel gesto.  Non fare mai nulla se ha per fine un personale tornaconto, ma consapevole dei frutti che nel silenzio si sentono spuntare,rossi o viola che siano non importa, ma pieni del loro succo che un poco sa anche di noi.


Mirka

10 commenti:

  1. E' un bellissimo racconto: scopro solo ora cosa non darei per assistere allo sbocciare di un fiore. Grazie del piccolo risveglio. Samuele

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  2. Grazie Samuele. Tutto è possibile per i Piani Superiori anche un Risveglio fuori stagione. Il caldo e la pioggia fanno sempre miracoli

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  3. Mi è piaciuto molto questo racconto. Dal giardino del ricamo,l'avventura di un fiore,la storia di una vita,la creazione del mondo,i risvegli dopo ogni caduta. ((vanità-superbia). Veramente bello. Sergio

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  4. Carissima,osservare la natura è osservare noi stessi. Il desiderio di vivere,la voglia di farcela anche contro la disattenzione degli uomini. Proprio come ha fatto quel fiore e anche tu vita nella vita dopo il collegio.Un abbraccio affettuoso. R. S.

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  5. A volte Sergio le emozioni ti portano a rivivere i ricordi e qualche volta anche a ricrearli in un piacere condiviso. Questo è uno di quei casi. Un abbraccio e sempre Evviva. Mirka

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  6. Credo avvocato che sarò immortale dal momento che mai smetterò di chiedere la vista di un fiore, un albero con l'ultima foglia ancora aggrappata. Non me lo faccio comunque come augurio. Mi basta ciò che ho vissuto nel vivo di una curiosità spalancata. Ricambio l'affetto, Mirka

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  7. E in collegio s'impara a lottare come ha fatto quel piccolo fiore su una inimmaginabile possibilità di spuntarla. Un racconto delicato e bellissimo. Mi ha fatto piacere leggerlo. Veramente. F.

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  8. Si F. In collegio s' impara a Sognare la Libertà come viaggio da portare avanti e non importa per le tante volte che sei finita a terra se non sotto come quel piccolo fiore prima che ce la facesse a dire "Eccomi. A voi tutti il mio profumo".

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  9. Il collegio ti è servito per imparare tutto della vita e nelle disarmonie tu hai fortificato i tuoi sogni,la sete di conoscenza fuori da ogni apparenza,felice della grazia di un fiore come luce meravigliosa che si accende sempre quando s'incontrano i tuoi occhi. Orrnella

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  10. Il collegio insegna Ornella, a difendere coi denti e con l'astuzia una diversità che mai vorresti mescolarla a chi invece sente come obbligo di modificarla o "redimerla" come peccato originale. Un saluto, Mirka

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