mercoledì 24 giugno 2020
In Equilibrio del Triplo Salto Senza Rete
E mentre si adoperava al procedere svelto delle operazioni quotidiana, la sua gola non smetteva di emettere un lugubre suono lungo, somigliante alle doglie di un parto oltre prolungato, solo a stento trattenuto da un estremo pudore di quel l'esercizio naturale così congeniale alla donna, ma senza averne nulla di umano. Una mucca dalle mammelle troppo gonfia, di un asino recalcitrante per avere annusato un pericolo preannunciato da altissimi ragli filiformi fuori usciti da narici e occhi, da una gatta inglese capitata su un tetto ardente per battuto dì calura ferendosi le zampette o dalla lagna di un bambino messo per scherzo in uno sgabuzzino e lì dimenticato. E su quei graffi fatti alla pancia, prendevano la formazione di nodi che i pescatori fanno alle reti bloccandone la laringe. Così uscivano le lacrime, copiose, libere, irruenti, senza poterle trattenere, ma neppure senza la volontà di metterle a freno. E in tutta la testa sentiva quel muggito di parto tardivo, come il lamento di un animale ferito proprio nel momento della sua creazione. A volte il pianto si spezzava bruscamente per tornare lungo, lamentoso e profondo come una viscerale fuoriuscita di materia placentare diventata cordone attraccato alla placenta. Il petto le faceva male fino a sentire lo spaccato in tanti pezzi, ma lo fronteggiava con la baionetta lunga di quello strano lamento continuato pure a volte spezzato. Raccogliendosi come a proteggersi dal l'estremo dolore con l'amorevole stretta come solo il bene sa manifestare, convincendo più di ogni parola, per allargarsi subito al quotidiano sgranato come corona di rosario recitato al venerdì sul l'obbligato di un dovere. Scuoteva un lenzuolo sul lamento corroso di quel muggito, batteva un cuscino come fosse un tamburo da guerra alla maniera di quel filmato sugli indiani visto tanto tempo addietro, tirava la coperta come il nodo scorsoio per impiccagione duro a districarsi. La radio suonava un ritmo moderno così dissonante dal suo stato ma senza avere nessuna presa su di lei. In altri tempi avrebbe abbassato la manopola con un gesto secco, ma ora le era perfettamente indifferente, tutta concentrata ad ascoltare le variazioni di quel muggito o miagolio fatto sottile come un lamento indistinguibile, a volte che usciva dalla gola troppo chiusa per reggere il libero dirompente urla. Il petto adesso bruciava, ma lo fronteggiava con l'unguento di quello strano lamento deciso a contrapporsi pari alla stessa forza tirannicamente trattenuta, se non superiore per risonanza rimbombante in tutti i muri del l'abitato. In contemporanea tanti lampi le incendiavano gli occhi facendoli fastidiosamente secchi. L'indifferenza dei suoi figli, subito attraversati da quelli amorevoli di Colui che alla vista fisica non c'era più. La voluta ignavia degli amici proclamati tali, e anch'essi attraversati dal Reale visibile di un tempo finito. Un lontano sentito più distante di chi stava nella tomba e di cui ne sentiva persino il profumo corporeo se solo chiudeva gli occhi. E pareva che, su quei muggiti il cuore potesse spaccarsi esattamente in due. Metà lasciato con indifferenza alla terra senza curarsi dove, l'altro in formato volo in direzione cielo in attesa di festeggiato. D'improvviso il muggito si arrestò per un rumore catturato dal l'orecchio della donna attirando tutta la sua attenzione. Una piccola stampa antica di Fragonard si era staccata dal muro. Ricorda con precisione il momento del donato, facendo si che insorgesse nuovamente il muggito lagna in trasformato sottile come filo di seta attorcigliato al fondo della gola. Si stringe al petto l'effige rappresentativa di un Cupido dormiente, con sacralità la sfiora con un bacio e la depone. Ci penserà dopo a rimetterla al posto di sempre. Il cuore le faceva male mentre la testa scoppiava per un troppo accumulato riversando il carico di quegli scoppi sulla schiena dolorosamente costretta a piegarsi. Con un moto di stizza si morse il labbro inferiore. Altro male aggiunto che la donna con dolcezza ne leccò il rosso nella piccola ferita formata a canaletta. Il pensiero le andò al padre mai conosciuto e per eventi lasciati al mistero buono per lavorarci come filo conduttore di viaggi e percorso, ma perdonato pur in struggenti ripetuti di domande. Lo invocò chiedendogli il risarcimento di quella mancata Protezione. Sgorgarono a fiume le lacrime unendosi allo sgocciolare del naso che con uno strattone pulì col rovescio della mano. Lo straziato delle viscere gli faceva battere i denti come se avesse la febbre che forse aveva. Ché quando si ha quel genere di freddo non si ha bisogno del confermato di mercurio. E fra un battito e l'altro ai denti, girava l'occhio ai pochi oggetti rimasti dei tanti di un tempo e che la donna ricordava esattamente essere li e li. Impronte luminose, inclusa quella pesante catena rubata a seconda volta da un ladro più furbo del primo, sempre a portata di visita, il grosso smeraldo con dentro le sfaccettature di tanti oceani di un pendente fermato sempre al l'inizio dei seni sul l'abito scollato da grande scenario. La raffinata damina con merletti Capodimonte al centro del comò. Quel pesce tonno di Murano unico ospite della scrivania Luigi Quindicesimo di sua madre. La stupenda riproduzione della coppia zoomorfica di Max Ernst proprio a lato del letto. Testimonianze d'amore in danzato di felicità, d'impegno, di promessa. Il naso ora era diventato un fiume dalle sponde indefinibili. No. No. No. Non poteva permettere a se stessa la vista del Disonorevole mutato dagli Eventi lasciando per contro, orgogliosamente integrale la sua Identità lucente di impronte purissime. D'improvviso il sogno della notte. L'incontro di un amore al quale nuda si abbandonava pur con un poco di vergogna. I seni scoperti e carnalmente offerenti come da gioco bambino alle mani sapienti del cesellatore. Il gesto però era quello di un altro. Pudicamente Lei alzava un fazzoletto di tela grezza per nascondere il mutato dagli anni. Poi insofferente per ogni equivocità che avrebbe potuto ricrearsi, di scatto butta a terra il fazzoletto e altro a inutile velatura, alzandosi in piedi e dritta in tutta la fiera altezza di ogni tempo e sicuramente restata anche in ogni ora di disfatta, abbracciando l'uomo e fondendosi con lui come solo l'anima cerca e fa fuori dal confine del corporeo. E questo fu anche l'ultimo regalo che la donna fece a se stessa, nel mentre le lacrime continuavano a scendere a pioggia bagnandola e purificandola da ogni errore con assoluzione piena. Il muggito lamentoso era finito. Restarono invece l'asciutto lucido degli occhi e l'incertezza del l'alternativa. Dritta come un coltello affilato si avviò a lavarsi la faccia sotto il getto del l'acqua freddissima per dare tonicità al volto come rimpicciolito dalla piena delle lacrime prendendo la forma di cima innevata con rigagnoli d'acqua adamantina e, guardandosi allo specchio sorrise. M. B.
Dai racconti Il Destino Nel Nome
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