fiume

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fiume della vita

giovedì 5 giugno 2014

GLI OCCHI CHE FECERO A MENO DELLA PAROLA


















Dentro a un cerchio di persone aspettavo l'autobus che tardava a venire. C'era gente  che mugugnava ignorando tutto il resto. Qualcuno inveiva contro un imprecisato nome senza volto. Altri, per lo più donne, si lamentavano per le disgrazie personali, gli acciacchi, il marito rimasto senza lavoro, la fatica per arrivare alla fine del mese, la tristezza per non riuscire a dialogare coi figli. È stato difficile non lasciarsi travolgere da quei fiumi ribollenti sui quali pareva essersi steso un sudario strappato a tratti dalle urla assordanti che mi riportavano alle orecchie, le mie, talmente pulite da riuscire ad afferrare ogni sfumatura di realtà vera  sommersa o a galla oltre l'artiglio che le vorrebbe mute. Sono stata letteralmente assalita da quella polveriera umana. Imbarazzata per l'anonima forzata condizione che mi aveva investito a dare risposte su cose che mi riguardavano relativamente. Ciononostante mi affascinavano quei volti multiformi sui quali dolore croce e calvario si avvicendavano come un susseguirsi di onde elettriche o su qualche strano rumore a scoppio ritardato. Mi colpì la vista un uomo, alto come una pertica e grosso come un pachiderma dal colore della terra di Siena e dall'odore forte di trementina. Non mi aveva dato l'impressione d'appartenere alla sacra casta del pennello, anche perché nei suoi monologhi più che di colori si udivano feroci litigate col fratello, coi preti, con   sant'Egidio. Poveretto, pensai, gli hanno martellato i piedi e ora la sua testa si vendica immaginando la "pira". Distoglieva gli occhi rabbrividendo per poi riportarli su quel fenomeno vivente . E un poco provavo pena un poco paura. Avrei voluto trovare pronta una scusa per scappare ma...Non ho mai avuta la vocazione della Veronica. né il lenzuolo a portata di mano per asciugare i rivoli di quella schiumetta verde formata a coroncina sugli angoli del labbro, che io vedevo senza dare l'impressione di farlo. Mi è sempre  mancata la parola che tenta la vita sapendola di ingannarla con il doppio stupido della bocca quando dice avete ragione fatevi coraggio perché  sicuramente cambierà.  Non sono mai stata brava a dire quello che gli altri amano sentirsi dire.  A che serve inventarsi una balla di consolazione che sai inutile come i fiori di zucchini mangiati domenica, quando la lama della  disperazione squama cuore, pancia, e volto?  Perché  tutto questo si vede bene, eccome. Ignorare o far finta sarebbe una frustata inferta alla propria coscienza con la quale si farà i conti nel cuore della notte.       Così mi limitavo a guardare gli occhi  altrui senza riuscire a (s)biascicare una parola.  E mi sentivo inutile quanto può esserlo una  "fuori posto"o un pesce consapevole d'essere altro.          Ha sfrecciato una macchina e ha frenato bruscamente. Si è alzata della polvere e una zaffata di monoossido di carbonio ha investito tutti.  Urli corali su  un accordo univoco quanto stonato, mentre a me restava a sfrecciata di ricordo la mia bella carolina (auto)  finita tra i sogni da non svegliare più.

Sopra di me ho sentito la collera di un gruppo d'uccelli. Anche loro sguaiati e urlanti.  Infastidita ho lasciato la manifestazione alle spalle. Oh aver preso l'auricolare per ascoltare Mozart o qualche buon  pezzo di jazz che scalda come il sole di oggi!    Da qualche parte mi pare di sentire il mare.  O è la mia voglia? Però lo sento. Una liquidità apparentemente calma. Così è nel mio ricordo ancora fresco di salsedine e di alghe. Il mio naso spadroneggia su quei richiami  ipnotici e afrodisiaci e, per la frazione di un secondo respiro un'aria che mi dilata bronchi e polmoni.   Un gatto bello come tutti gli arcobaleni visti e immaginati si infila tra le mie gambe. La visione mi toglie la parola, spostandosi a un piccolo spazio dove cresce l'albero di ciliegio,un grande mondo fatto di intrecci buoni e di piste da inseguire con infiniti occhi alla terra e due alle nuvole. Duole sempre un poco pensare a un territorio che mi apparteneva nelle infinite guerre che lasciavano il corpo graffiato si, ma con un' allegria forsennata di presente e dopo a ferite asciugate! Magia di un vedere senza parola questo che mi ha permesso di estraniarsi  da quella rissosa umanità deformata per continue fustigazioni e dentro una realtà che non ammette fughe dentro ai sogni.           Ma il bus tarda e l'Orda del gruppo  aumenta.  Passa un uomo dal passo tranquillo. Contrasta con tutto quel chiasso brulicante. Ha una camicia bianca. Da quella camicia passa un buon odore. Odore d'animale, di doccia quotidiana e non solo al venerdì forse mischiato a qualche goccia di eau sauvage.  Richiami d'occhi su un prato con l'impronta di corpi stesi sull'erba anche senza l'ombra di stelle.         Qualcuno mi urta la schiena. Sussulto mi  si innervosisce,  rispondo male, mi pento.   È così pronta l'esagerazione quando prende l'imprevedibile d'uno strappo.  L'istintiva reazione è la prova di quanto superficiale siano gli esercizi di meditazione, i respiri consapevoli, i massaggi rilassanti, l'abbandono al vuoto.        Poi...l'improvviso di una campana mi riporta allo stato d'equilibrio.  Una piccola chiesa di campagna sempre in attesa d'un viandante per graziarlo d'una fede bambina che magari si credeva persa per sempre, l'Angelus.     Non ho bisogno di sbirciare l'orologio ma involontariamente sento gli occhi allargarsi  in un sorriso pieno e muto.  Da lontano s'intravede il muso dell'autobus.   Cala il silenzio mentre ci si accinge a salire sul predellino. Chi avrà fortuna troverà posto e si siederà, altri staranno in piedi.  Per un tratto ancora saremo insieme, ognuno coi suoi pensieri, le proprie angosce,i fili da districare, il lunario da sbarcare, io non esente da tutto questo, ma con delle bellezze sparse da far rivivere, qualche strofa di una poesia imparata chissà quando e che non ricordo tutta, una funivia di emozioni finite in quei rintocchi di campana.

L'ANGELUS

Si: suonava lontano una campana,
ombra di rombe; 
Via via
si sentì la campana di San Vito,
si sentì la  la campana di Badia
e gli altri borghi, di qua di là,pronti
cantando si raggiunsero per via.

C'era di muti spiriti  nei fonti
un palpitare al tremolio sonoro
ch'empieva l'aria e percotea nei monti
La donna andava con la figlia; e loro
squillò sul capo,subito e soave,
dalla lor Pieve un gran tumulto d'oro.
E tu nascesti Dio da un piccolo Ave...


eri e non eri,
ma poi l'uomo ti vide e ti soppresse
t'uccise l'uomo,o piccoletto grano;
tu facesti la spiga e poi la mèsse
e poi la vita: fa che non in vano
nei duri solchi  quella gente in riga
semini il pane suo quotidiano.

Così diceva tremolando grave
la voce d'oro su l'aerea Pieve
e gli aratori l'Angelus e l'Ave
dissero; e in mezzo alla preghiera breve
la dolce madre a lui venia; non sola;
l'erano accanto con andar più lieve
bionda la Rosa e bruna la Viola.

(Giovanni Pascoli)


Ave Maria"  (Vespers Op 37-S.Rachmaninoff)






Nota: la foto della chiesetta è quella della Bernolda, una frazione di Novellara, quella del mare un mio divertimento irrinunciabile anche quando il cuore è pesante

6 commenti:

  1. Bello e potente, il respiro di questa prosa che, con umanissima lente d'ingrandimento, scruta gli umani, il paesaggio, cose in apparenza trascurabili. Leggendo questo testo, non ho potuto non pensare a un libro che amo molto (credo come tanti), ossia LA CITTA' DELLA GIOIA di Lapierre...per il formicolare di "passanti" felicemente reso al lettore da quella "circolazione" capillare della tua prosa che già in passato ho avuto modo cogliere e osservare. Grazie per questi scritti generosi e aperti

    Andrea

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  2. Caro Andrea,tu sai quanto io apprezzi la profondità sincera e attenta d'ogni tua lettura. Pertanto ti ringrazio con un abbraccio veramente forte. Mirka

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  3. L'umanità imbarbarita e squilibrata, il conforto vero dato da una chiesetta di campagna, la gioia dell'Angelus, nel ricordo di memorie dolci dell'infanzia. Un post delicatissimo nella sua realtà. E umano. Commovente sino alle lacrime quell'Ave Maria che hai postato. Tanti ma tanti auguri. Sergio L.

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  4. Ottima narrativa. Spietata,sottile e tenerissima come solo la nostalgia per le cose semplici,pure e ahimè lontane può portare alla memoria commuovendo come quest'Ave Maria. Marry .

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  5. Grazie SERGIO e grazie MARY sempre uniti da un bene comune. MIrka

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  6. Mille mete per conoscere. Un modo eccellente per venire incontro agli altrie anche a se stessi. Bello. Un bacione. Susi.

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