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fiume della vita

giovedì 8 gennaio 2015

QUANDO L'ITALIA NON ERA ANCORA QUELLA DI OGGI-- CARLO MOROZZO DELLA ROCCA



Erano gli anni dei progetti vittoriosi e a lungo termine quando conobbi Carlo Morozzo Della Rocca. Giovanissima e borsista al theatre Royal la Mannaie di Bruxelles e,caldamente raccomandata e presentata a lui dal M. Lino Liviabella. direttore del Conservatorio musicale di Parma dove avevo conseguito gli studi di pianoforte e di canto.  Rammento la prima volta del nostro incontro nella sua splendida casa con l'emozione di una educanda che per nascondere la sua timidezza diventa sfacciata sino alla impudicizia ma stretta al suo vestito semplice e castigato. La prima cosa che notai quando fui introdotta nella lunga sala fu un magnifico pianoforte a coda. Credo fosse un Petrof. Lui era al pianoforte ma alla mia entrata si alzò immediatamente e con un largo sorriso mi abbracciò. Ero impaziente di conoscerla. Lino me l'ha decantata come promessa sicura della nostra lirica  e della nostra cultura.  Rossa come una torcia al tempo di Spartaco non riuscivo a staccarsi dal fresco nido delle sue braccia appena un poco più caldo nel punto dove batte sempre il cuore. L'istinto mi disse con certezza d'essere davanti a una persona speciale, lontana da ogni acquisito che potesse avvicinare l'artificiosità o comunque fuori da se stesso e, di fronte a un avvenimento eccezionale.  Sapeva di buono Carlo M. della Rocca. Un buono di pulito e raffinato. Forse ma non importa al vapore di fahrenheit. Il tremore che mi aveva preso erano stilettate di autentico freddo pur stando nel mezzo dell'estate. Ne sarò degna? continuava a frullato  di testa o la mia acerba giovinezza strabuzzerà in qualcosa? Deluderà nelle aspettative?  Saprà trarre dall'esperienza che sto facendo l'utile del beneficio per ricambiare il  dono offerto su un vassoio di purissimo cristallo?  Insomma, devastata dai dubbi, per darmi un tono e confondere la valanga di incertezze che mi erano piombate sull'anima diedi vita a un cinguettare sconclusionato passando da un argomento all'altro con superficiale aria salottiera come avrebbe fatto Madame de Steal. Una biografia che io avevo letto da poco. Carlo M. della Rocca era il responsabile dell'Istituto Italiano di Cultura e anche dalla sua persona emanava quella grazia naturale e lieve di chi della cultura ne ha tratto piacere di sapienza e non di accademica boriosa ostentazione. Con elegante spontaneità mi prese il gomito e con passo sicuro mi portò a una delle tante finestre. Io come una quasi pecorella aggrappata al suo pastore incantata ad ammirare solo con gli occhi. Lui e il panorama della città che ci stava sotto. Ciò che ricordo fu solo un'immensa lunghissima strada che a me fece venire a mente la via lattea anche se non centrava nulla. Ogni tanto mi prendevano i dubbi di inadeguatezza che subito cacciato con l'entusiasmo più sfrenato ma tenuto a bada per residui di buona educazione.  Mi dicevo se sono lì mica sono lì per caso. Qualcuno che credeva in me ha operato per far si che avvenisse l'incontro. Devo essere orgogliosa,mettercela tutta di quel meglio che posso o intuiva fosse e far si che qualcuno di quei progetti divenga realtà grazie anche a questo incontro così fuori dall'ordinario. Tutto qui. Ma ero così giovane,inquieta,suscettibile sino all'incarnazione del riccio, umorale da passare come un lampo dal regno di Lethe all'ira  dei 10 Comandamenti e da questi condannata. E che dire di quel l'inclinazione furiosa ad afferrare tante cose insieme come ciliegine sull'albero e messe a grappoli all'orecchio?  Candida sino al ridicolo ma con una incredibile capacità d'andare in profondità quando il brivido mi attraversava la pelle. Libidinosa di conoscenza  anche se in modo disordinato personale e discontinuo entro i cui sentieri mi ci tuffavo senza mezze misure in maniera esagerata e assorbente come Carta Primordiale. Insomma un vulcano e,come tutti i vulcani pericolosi, imprevedibili e irruenti senza un segno che li preannunciasse.

 E così davanti a quel signore che spruzzava intelligenza ed erudizione mi sentivo trascinata da più correnti sotterranee,dall'entusiasmo prorompente e dal piacere lento che dà l'apprendimento vero. E Carlo M. Della Rocca fu la prima lanterna che la vita mi mise tra le mani. Raggio di luce necessaria per un cammino in progresso a corrente alternata ma che non ebbe a spegnersi mai. Che per me Arte e Conoscenza, Musica e Sapere erano e resteranno uno inscindibili forza di vita inarrestabile. Inarrestabile come la Libertà. Come il mio spirito libero. Una libertà avulsa da ogni schiavitù ma consapevole della responsabilità di pensiero operante. Operante come una necessità fuori da ogni vanitosa  ambizione competitiva ma della quale non se ne può fare a meno.  Era il tempo dove portare l'eskimo dava orgoglio da mostrare insieme alla risata dura, la due cavalli (la famosa auto a due posti 2 CV)  presa in affitto e ostentata in modo scanzonato come simbolo di libertà che include quella d'essere perennemente in bolletta senza farsene un problema che, essere magri era bello anche coi brontolii nel basso ventre e svolazzanti come farfalle in lotta di polline. Era il tempo della beffa. Dei movimenti popolari in sviluppo e propulsori di forze nuove. L'improvviso di risate collettive che si dissolvevano nell'aria come bolle di sapone. Di irruenza esplosive e fuori da consuetudini e schemi.  Il tempo della NON delega.  Il tempo di motivi forti e così travolgenti da non lasciare spazio a puerili giustificazioni piccolo borghese.  Il tempo degli appassionati Apprendistati, dei Sognatori pronti ad inseguire la luce intravista fuori e oltre ogni meschinità, e infischiandosene dello scherno della stessa ma sperimentando la passione del ferro che recide ogni ipocrisia senza curarsi troppo di morire in battaglia che, le strategia per preparare la guerra la si lasciava agli altri e non a noi, purtuttavia  avendo coscienza che i problemi di ognuno avrebbero dovuto essere quelli di tutti e solo insieme si poteva arrivare a risolverli senza affidarli ai mercanti di giuggiole e lontani dalla scena reale oltre la quale  vive la tirannide del bieco potere e il "nulla" che uccide la Speranza, la vita e rende l'uomo un robot.  Era il tempo dell'arte vitale sotto la pelle ma incapace di esprimersi. Il tempo dell'amore come legge che sovrasta ogni freddo ragionamento, vitale se ti fa pulsare anche il cervello. Ed era il tempo che sentirsi Italiana era ancora sinonimo di fierezza che racchiude Storie (grosse) comuni, il coraggio di continuare scardinando ogni ciarpame, i residuati incancreniti da quel nero verniciato a nuovo e ibrido. Il tempo di Enrico Berlinguer. Questo e altro penso divagando nel tempo dei ricordi,mentre una lacrima "reale" rotola come palla su un piano inclinato rivedendo una Madre che come formichina racimolava i soldi per dare a sua figlia la possibilità di realizzare un "Sogno" custodito in un cassetto profumato di bucato  e con fiori di lavanda per sacchetti. E mentre inseguo con l'anulare sinistro quei disegni liquidi sul volto,un poco mi rammarico per tutti quei sogni così concreti e belli finiti nella polvere e dispersi in memorie distratte da ben altro che da quell'immaginare alla Fede che uniti li teneva e alti. Alti come una corrente che ha raccolto i tanti ruscelletti sparsi con a mezzo un filo intriso nell'oro.

Mirka



"Perfect Day"

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