spiraglio di verità sempre da dubbio contrastata
L'abbaiare insistente d'un cane, ci dice che c'è un cane. Il suo esistere è tutto in quel "dettaglio".
E' così che prendono il via tanti frammenti di vita percorsa come il battere di un tempo ternario sospeso sul levare. E alla fine in sul finire del giorno e in prossimità della Grande Sera, sarà solo "quel" particolare a ricordarci che siamo esistiti, e chi incontrammo a ogni incrocio, è stata come una luce che ci camminò a fianco o come angelo di buio senza neppure il lanternino dell'inganno.
Bagna la pioggia come lumaca lenta che lascia la sua scia sul selciato, sul viale fiocamente illuminato, sulla foglia appesa ancora all'albero, sul l'inferriata col suo squarcio di ruggine e di verde. Solo la testa è preservata dal bagnato. Lei lavora. In lucidità e in involontaria febbre per l'arrivo di quei lampi. E' lì che pulsa il suo destino che lampeggia e le attraversa l'anima, la scuote con quelle piccole porzioni di umanità fatta spugna di codici e qualche chiave per interpretato a posteriori, o come un'ernia che nutrì le api. S'interrogano i lampi e paiono persino gemere, dibattuti negli intrecci, e ognuno ch'è già è strato senza fare più paura. Senza priorità o interne relazioni di un insieme che sfugge nel mentre si riunisce.
Ed è una bocca vorace subito seguita da un'altra, appena abbozzata, falciata da un'altra imparentatisi con la nuvola mutevole e spruzzata. E sono oceani l'intensità degli occhi riemersi freddi come un vetro d'inverno, o sfuggenti come Giuda quando i trenta.
Grande la mano che suona il violoncello, sinfonia di pace a tutto il corpo, mentre l'altra una brace che subito fa cenere.
Uno sguardo che buono accarezza bisbigliando di purezza, intorno il falco gira, scruta e poi ti squarta.
Un calzino di seta blocca il passo, un altro porta la fuga col chiodo fisso nella testa.
Il dono che guarda diritto e in festa, l'altro si volta, mesto è il sembiante che quasi a sembra lutto di sconsolata vedova.
Un seno succhiato come da incesto, l'altro indifferente.
Della gelatina sul vestito verde mai andata via, altre ridonando il quasi originale la lavatrice nei suoi giri.
Un orecchio teso a mordere la panchina del giardino di un collegio, a invocare la campanella del parlatorio, il muto che tutte e due le riempì come cera d'alluminio.
Un cuscino. Nel sotto e ben protetto un cioccolato sottratto alla badessa e un libro censurato, un genuflettorio d'ore a penitenza e la montagna di giaculatorie.
La povertà nascosta come scettro mai svenduto nei ricami amorevoli di un vestito ricamato dalla zia, girovagano intanto spilli di occhi e tu li vedi.
Una casa piccola con la veranda vicino all'unica stazione del paese aspetta la bambina che trema e trama per nascondere l'odore dello studente, non ci riesce e sono botte.
Il gioco della settimana per fare venire la sera foriera d'un buon fritto espanso per le vie, sgambetti e corse, poi la quiete .
La locomotiva dal nome così buffo da richiamare alla testa la bersagliera Lollobrigida, le rotaie come lunghi fiumi, i volti rumorosi quanto i soldini che tasca si portava in tasca per il panino col prosciutto o il bombolone, in disparte, silenzioso un colbacco a tessere i suoi sogni.
Corse da schiantare il cuore nel tempo di febbraio maggio giugno e così via per conquistarsi un'autonomia del niente.
Giorni cronometrati a morto o a festa per far quadrare i conti, musica rock quando non ha deluso.
Gli alieni davanti al lungo tavolo dei cinici padroni, scudi alzati e pugnale in alto che inchiodano tavolo e spettacolo, per quel giorno, coscienti del Pirro ma nel trionfo dell'Aida.
Agitazioni addomesticate da mobilità mappata in territori così stranieri da togliere ogni speranza a voi che entrate, i figli con lo studio in piedi.
L 'imperioso bisogno di comprendere l'arte del vivere restata sui libri di sociologia o del gran Rousseau.
La relatività come grande bilanciere, noi estranei e sradicati immersi nel grattacapo della cabala.
Costante ricerca di una sicurezza che lasciasse fuori dall'uscio ogni straccio di dubbioso, per trovare la burla che intrappola senza neppure il sentore d'amicizia.
Il canto delle allodole come dono di natura per riempire i silenzi di onirica memoria.
La paura per un ventre squarciato impudico forcipe assassino, la gioia che si lecca la ferita aperta perché sano era il Pupo e bello nel suo rosso urlante voglio il nutrimento.
Una piccola macchina per proteggere i segreti senza offendere la vita, solo di poco lontano, la tragedia delle belle di notte nei loro inventari di miseria e di forzati orrori.
I polmoni a mantice da far invidia a Orfeo e ai mille cherubini in coro.
Il mare di Sabaudia coi suoi echi di conchiglia e per sabbia i riccioli biondi dei giornali.
Un biglietto d'aereo prenotato per la festa del ritorno.
I giovedì dell'Enrico con musica e fuori la politica.
La pioggia di fiori allo Chatelet io stordita e quasi ebete se non fosse stato per gli occhi lucidi di orgoglio.
Le mura di Villa Pamphili scalpellate di rosso da un Radames inferocito in irragionevoli durezze.
Una tavola di selvaggi nel giorno dell'Epifania nel mentre la neve... trasformati in pettirossi in marcia e saltellanti da villa Pamphili sino alla Piazza dove la fiaccola sta sempre accesa.
Un profumo "famme" regalato con la timidezza dei cioccolatini incartati nella pasticceria dell' avenue Louise come fosse un peccato da non rivelare e neppure da svelare.
Un urlo nella notte per l'inaspettato artiglio che perfora il braccio, lo stupore del dolore che si ritrae e pensa.
Una faccia liquefatta dalle lacrime con inciso un grazie solido, ma incapace di dar voce per l'emissione, che il tempo non conosce se non fosse che ora è morto
Questo e poche altre cose ancora faranno crescere i lampi sull'erba ancora verde del prato mentre le sabbie immota ne prenderanno la consistenza di ombre e forme.
Però. Adesso,TU che mi cammini appresso, dimmi cosa pensi quando cammini. Io ti dirò quello che, nel silenzio penso e un poco forse anche lascerò scappare che un sorriso nè estragga l'anima perché si ha vissuto.
Mirka
"Le stagioni dell'amore" (F.Battiato)
Toccante questa Storia al femminile d'inesausta ricerca attraverso i sentimenti della verità che scalda senza che la legna finisca! E sarà la "mano grande" a darne la gratifica,l'incoraggiamento,il valore,lo sguardo che non teme di guardare negli occhi mentre dona,la fierezza per aver lottato contro il potere e il male affinchè fosse la vita a trionfare e non un'ipotesi falsa di progetto,bacato fin dall' inizio.Fortissimamente ti abbraccio.Maria R.
RispondiEliminaGrazie MARIA del bellissimo commento. Esigenza morale fu sempre in quella inesausta ricerca di verità e, sarà "quella" mano a scaldarci nella stagione fredda che precede la verità dell'ultima istanza,o lo sguardo che,donando non ebbe a sfuggire il dritto degli occhi, rassicurandoci che nulla si tralasciò nei doveri verso gli altri,nè in quello richiesto a se stesso per farti crescere nella tua identità così faticosamente cercata così fortemente difesa anche se difficilmente se ne esce indenni.Ricambio il fortissimo,Mirka
EliminaL'"arte della vita",cara Mirka,sono i talk-show o su un compromesso negoziato a tavolino o anche davanti a un bel piatto. Arduo è il cammino di chi come lei non ha voluto rappresentazioni di verità solo apparenti.Giorgio S.
RispondiEliminaLa "mia" arte di vivere è dentro a tutti questi minuscoli particolari,GIORGIO,universo dato in appalto ad altri viandanti come me affinchè si svincolassero dalle trappole che ne imprigionavano immaginazione e sentimenti a mò di teatro con al centro la vita.Altro non mi riguarda. Grazie,Mirka
EliminaIn questo post non si vendono fantasie o compiaciuti voli pindarici,ma il cammino eroico di una donna che non smise mai la sua veste d'umanità,percependone la grandezza morale anche attraverso e dentro ai suoi errori.Complimenti vivissimi per questo post,per la soffusa malinconia lucida di critica e d'intelletto,le foto bellissime.Enrico S.
RispondiEliminaBrandelli di vita,ENRICO, rivissuti in quei lampi, testimoni feroci di malinconia per aver seguito l'ideale, difficile da salvare quando ci piomba addosso la prova che ci misura.Grazie sinceramente e umilmente grazie.Mirka
EliminaIl "dettaglio". Ecco cosa ci resterà in prossimità della Sera! Il nostro cammino (femminile soprattutto) è proprio questa mescolanza di lampi che ci danno la consapevolezza di cosa siamo riuscite a portarci in groppa.Fatiche silenziose o urlanti,la forza e il valore personale che ha visto germogliare e crescere la meraviglia non inventata e neppure immaginata d'avere "fatto" e "dato" con infinità generosità, magari con la tristezza per non esserne mai state veramente riconosciute e apprezzate per ciò che si meritava.Bel post da donna a donna! Un abbraccio.Grazia
RispondiEliminaDettaglio di un arazzo,GRAZIA, dove a seconda degli stati d'animo,degli umori,delle analisi impietose, si ripropone e ti dice che tu hai amato,sofferto lottato "quasi" sempre col sorriso. Donna è anche questo.Un bacio,Mirka
EliminaNon so cosa penso mentre cammino.So che continuerò a camminare, perchè in questa compagnia non conoscerò la noia nè l'insincerità del vero. Bellissimo da capo a fondo.F.
RispondiEliminaF. So che è così e allora ti lascio piena la condivisione di questo post.A te interpretarlo come credi e ti fa piacere.,Ciao,Mirka
EliminaDuro,delicato,umanissimo e molto bello questo tuo snudare la vita di noi donne. Forse per molte di noi,l'unica cosa che vale è ciò che abbiamo conquistato con l'orgoglio e la consapevolezza piena d'essere stato valore "autentico",tale da meritare il rispetto che fa chinar la testa.Mi manchi.Orietta
RispondiEliminaSi,ORI,per molte donne è solo questo.L'unica sicurezza che si tengono ben stretta al cuore e alla testa,per aver fatto al meglio tutto e anche qualcosa in più di ciò che potevano fare.E se questo non fosse capito,per comodità,per egoismo o per poca intelligenza,che almeno il rispetto lo si lasci intero nel silenzio, che per la comunicazione ci pensiamo noi.N'est pas cherie?...Bacio,Mirka
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