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fiume della vita

martedì 5 febbraio 2013

L'EMOZIONE D'IMMAGINARE AL DI LA' DELLA PICCOLA DIMENSIONE


 ...la verità?...  Solo attraverso i propri occhi, ( chiuso e aperto ) il proprio cuore, il proprio cervello in sintonia con  entrambi.



...e in quel cielo del colore d'un arancio, vive furono ogni figura in mutamento





Anche un teatro a dimensioni ridotte a una grande sala, può rappresentare una fonte inesauribile di emozioni ai voli più liberi e fantastici, a  palpiti che si azzuffano e, stringerci la vita in un "vorticismo magnetico" che allontana dalla realtà mettendo radici dove il Tempo si è fermato procurando piacere e stupore.
Un palco più largo che profondo, un sipario ricco che, anziché scoprire la scena sollevandosi in alto, si calava sino a sparire in un solco o canale aperto lungo il proscenio. Palchetti in più ordini sovrapposti e in semicerchio e sulla stessa linea orizzontale, appena lievemente inclinata man mano che si allontanavano dal proscenio.  Tra l'uditorio e la scena, la porta d'ingresso dalla platea, all'uso dei teatri romani e greci, l'orchestra nel Golfo mistico.    Chi è stato  a Sabbioneta sa cosa voglio dire. Ovviamente la prova non si svolgeva  lì, in quel teatro commissionato dai Gonzaga e chiamato "La piccola Atene", purtroppo non agibile  per l'esecuzione di spettacoli.
Questo è ciò che mi si presentò agli occhi. Nelle tante teste dei musicisti, nei loro vari strumenti, nell'unico occhio rivolto al Maestro mentre si accingevano a suonare L'Ouverture -Leonora n 3 di L. van Beethoven.

Penultima delle "ouverture" scritte per il singspiel "Fidelio", unico sperimento teatrale di Beethoven, la Eleonora n. 3 è senz'altro la più bella delle composizioni di questo genere che il musicista abbia concepito.   Un vero e proprio capolavoro di musica sinfonica che, presto trascesa l'originale funzione introduttiva al lavoro scenico, vive l'invidiabile vita propria nel repertorio concertistico.
La Eleonora n. 3 fu concepita per la ripresa del 1806 come elaborazione della ouverture precedente, la n. 2, scritta invece per le rappresentazioni viennesi del novembre del 1805. Questa, infatti, non soddisfece interamente l'autore, pur considerandola un buon passo in avanti dalla n. 1 ritenuta da lui piuttosto deboluccia. Eccessiva la lunghezza, complessa la scrittura, pletorica gli sviluppi, così da renderla inidonea ad aprire il singspiel. Nel riprenderla in mano, Beethoven volle soprattutto compiere opera di semplificazione e insieme di intensificazione espressiva. Ne venne fuori la presente ouverture modellata in forma di sonata dilatata e liberamente intesa, in cui la ricchezza del materiale impiegato a simbolismo del dramma, trova un adeguato sforzo architettonico decisamente rivolto ad ottenere un "maximum" d'efficacia rappresentativa mediante l'essenzialità delle immagini e la forza dei contrasti. L'Allegro cui è anteposto un Adagio introduttivo di carattere intensamente patetico. Tanto l'uno quanto l'altro elemento tematico derivano da passaggi dell'opera;  il primo- (aria di Florestano) è pieno di slancio e impulsivo nella sua configurazione sincopata. Pacato è invece il secondo, a cui si aggiungono altre idee nel corso di uno sviluppo serrato che alterna gli elementi fondamentali, opponendolo l'un l'altro con sicuro e intenso risultato drammatico. Imprevisti e molto efficaci i due misteriosi squilli di tromba (nell'interno) che spezzano il discorso sonoro di fervida alacrità. Tutto poi si fonde nel finale e conducono a una conturbante e gioiosa conclusione attraverso le varie sequenze.

E grazie a questo affiatatissimo gruppo orchestrale, alla musica di Beethoven che imperò dentro, fuori e dappertutto, oltre che ascoltare, vidi. Brunelleschi, Bramante, Paolo Uccello, il Mantegna e il Melozzo da Forlì, le parole del Vasari quando diceva del Brunelleschi  "Attese  molto alla prospettiva allora molto in malo uso per molta falsità che ci si facevano; nella quale perse molto tempo per fino ch'egli trovò da sé un modo che, ella potesse venire perfetta che fu il levarla con la pianta e profilo e per via dell'interpretazione, cosa ingegnosissima e utile all'arte del disegno".

Si. Da tutto s'impara. Io sempre d'innocenza stupita che meraviglia lascia all'anima e a tutto il corpo anche se dolorante per cattiva postura.

Mirka





"Ouverture Leonora 3" (L .van Beethoven)
















6 commenti:

  1. Sabbioneta, quasi mie origini. Il piccolo, grazioso teatro ce l'ho ben presente. Inadatto ad un pubblico borghese, nato per una corte rinascimentale e per quell'uso surgelato, fisso nel tempo e nello spazio.

    E il chiaro di luna, che ricordi.... Londra, agosto 1978. Studiai in 3 settimane la chiaro di luna e la patetica. Tutto per una ragazza :)
    Allora le dita rispondevano bene, eh....

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  2. ...scalpitavano le dita quel tempo eh MARZIO? Nell'desso la "sapiente" prudenza che nella forza accarezza.

    Mi piace ritornare a Sabbioneta.Misteriosamente ritrovo quel tempo appiccicato ai muri delle case nella sacralità della Sinagoga. Mirka

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  3. E' vero.Quando la musica è eseguita bene,porta l'immaginazione a volare molto lontano.Bellissimo post,cara ghepardina.Ti abbraccio.Carlotta

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  4. Se la cultura rende pensoso il pensiero e,non tolgo l'armonia pensosa,la musica porta a "vedere" ogni cosa immaginata evolvendosi ad altro in stupore mai neppure immaginato.Baci,Mirka

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  5. Oh si che si può immaginare cosa possa procurare la bellezza e dove possa portare,soffermandosi su queste foto,leggendola,ascoltando questa musica.Giorgio S.

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    1. Bene GIORGIO,questo è un'incipit veramante stuzzicante per altre pseudo delizie.Grazie infinite,Mirka

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